Una popolazione mafiosa ‘perbene’

COMPLICI INCONSAPEVOLI DI UN SISTEMA CHE CONDANNIAMO?

arditaIl magistrato Sebastiano Ardita individua una netta separazione fra la mafia palermitana, in guerra contro lo Stato, e Cosa Nostra etnea, specializzata nel’infiltrazione tra le istituzioni e nel mercato. Il problema fondamentale nella lotta alla mafia, affinché si ridesti la società ormai anestetizzata, è certamente la questione minorile. È un dato, infatti, che i più famosi criminali e capi delle associazioni mafiose siano stati ragazzi di quel avviluppante quartiere, grembo della malavita. Alcune associazioni tentano di educare le nuove generazioni allo scopo di regalare ai ‘predestinati mafiosi’ una scelta. Si ricordi, a tal proposito, don Pino Puglisi, che col suo operato cercò di sottrarre i ragazzi dalle strade degradate del quartiere e che, per questo, fu ucciso dalla mafia. Le armi di coercizione mafiosa più potente erano infatti, e rimangono tutt’ora, la povertà e la miseria, lucrate dalla criminalità organizzata come espedienti per il reclutamento.

Pino_PuglisiDue approcci molto diversi, secondo il magistrato Ardita, quelli adottati dalla mafia di Palermo e di Catania. Se la prima attacca apertamente lo Stato, la seconda cerca di infiltrarsi in esso. Si tratta di una mafia padrona forte del consenso popolare che si traveste e si confonde in mezzo al popolo. Il ruolo della mafia catanese è stato fondamentale, quasi ispiratore, nella costruzione delle trattative Stato-mafia. La forza di questa mafia non è l’imposizione dell’omertà ma la conquista di essa. Soccorritrice nei momenti di crisi economica è riuscita a diffondere l’idea del successo, dei soldi facili e a creare un’illusione di fuga dalla strada e dalle sue miserie. Il parente povero della ‘Catania bene’ diventa quindi il capro espiatorio di un sistema ben più grande di lui. Le differenze da quartiere a quartiere si trasformano così in distanze, apparentemente insormontabili, che negano ogni possibilità di incontro e solidarietà, rivelando inoltre i diversi aspetti della polimorfica mafiosità.

1474447112802.jpg--ventisei_anni_fa_l_omicidio_di_rosario_livatino_il_giudice_che_puo_diventare_beatoAnche l’antimafia è una realtà composita dove al suo interno si trovano, certamente, generosi difensori della legalità. Si rammenta il magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 ad Agrigento. La storia del ‘giudice ragazzino’ ebbe un grandissimo impatto nella lotta all’illegalità e all’interno del panorama religioso. Venne definito “martire di giustizia e della fede” e ciò portò al processo canonico per la sua beatificazione, apertosi il 21 settembre 2011. La fede per il ‘giudice ragazzino’ non era un fatto estrinseco alla vita, così come testimonia la sigla ritrovata sulla sua agenda: STD (Sotto la tutela di Dio). Attraverso questa consapevole scelta di prospettiva Rosario Livatino ha condotto la sua vita di uomo e di magistrato, adducendo una rinnovata prodezza alla lotta contro il male, spirituale e politico.

Attraverso l’analisi della realtà mafiosa è possibile sia risalire alle cause del fenomeno che riconoscere le ‘armi’ attraverso cui arginarne l’insorgenza. Solo tramite una piena cognizione della realtà, con una lettura che guardi sia al contesto di formazione della criminalità che a quello di opposizione ad essa, si potrà demolire la cultura mafiosa insita in ogni ambiente, dal più ricco al più povero, quella del tacito assenso.

di Vittoria Fonzo

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