L’uomo flessibile

DAGLI ORARI ATIPICI AI CONTRATTI A CHIAMATA, DALLA MEDICINA DEL LAVORO ALLA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA

aperto24ore“Si, anche Vigilia e Santo Stefano. Orario continuato signora” risponde il commesso della Coop alla vecchietta che domanda informazioni sull’apertura del supermercato.
“Ormai siamo peggio della macchine –  aggiunge quasi sorridente, ma con gli occhi bassi – non ci fermiamo mai”.
Ma la sua arzilla interlocutrice è già fuori che trascina il trasportino carico di spumanti e panettoni.
Sempre di più sono i negozi che aderiscono a questo tipo di politica.
Aperti a tutte le ore del giorno e della notte, 363 giorni l’anno.
L’Italia nella flessibilità degli orari di apertura atipici è all’avanguardia in Europa.
Quanto questo aspetto possa però renderci fieri è discutibile.
Tanto è vero che altri Paesi con una economia più solida della nostra, vedi Germania, non prevedono né l’apertura domenicale né quella notturna.

Molti e svariati possono essere gli esempi di flessibilità, si parte dalla chimera del contratto a tempo indeterminato e si arriva ai cosiddetti ʻcontratti a chiamataʼ.
Questo tipo di contratto nasce come soluzione all’abolizione dei voucher.
Forse questi ultimi non avevano smosso abbastanza gli animi.
Ma come è risaputo, in Italia si fa in fretta a rimediare e a partorire una ʻporcataʼ più grossa della precedente. Anche in materia di leggi elettorali ne sappiamo qualcosa.
Ma torniamo a noi.
Il contratto a chiamata, detto anche contratto a intermittenza, prevede che la prestazione lavorativa venga effettuata solo all’occorrenza dell’azienda, in concomitanza di eventuali picchi di produzione (festività o periodo estivo nel settore turistico).
Tale tipo di contratto, così come fu per i voucher, si rivela fin da subito come un ottimo terreno sul quale coltivare abusi di ogni genere.
Come? Il datore copre un lavoro a tempo pieno con i contratti a intermittenza.
Per dissimulare questa pratica, l’azienda non registra in busta paga le ore di lavoro totali.
Risultato? Evasione fiscale e minori garanzie per il lavoratore.
Il contratto garantisce sì gli stessi diritti di un qualsiasi lavoratore (tredicesima, ferie, TFR) calcolati in relazione alle ore svolte, ma se le ore dichiarate sono troppo poche ci si gioca tutto.
E poiché la pratica del licenziamento illegittimo è facilmente applicabile, il lavoratore è costretto a tacere per tenersi stretto quel poco che ha.
“Dietro di lui ce ne sono tanti altri” ragionamento tipico dell’arguto imprenditore made in Italy. E non si tratta solo di giovani. Il contratto a chiamata può infatti essere stipulato per i ragazzi fino ai 25 anni, ma anche per gli adulti di età superiore ai 55.
I dati : l’osservatorio sul precariato dell’Inps certifica un aumento dei contratti a chiamata da gennaio a luglio del 2017 pari al 125,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il massimo della flessibilità, però, è fare da anziano lo stesso lavoro logorante che facevi quando avevi vent’anni, perché la pensione è rinviata. Aumentano in questo modo gli incidenti sul lavoro, per ovvi motivi : quali la diminuzione della capacità di reazione ed attenzione.Infatti,  in percentuale il numero più alto di vittime sul lavoro è costituito da  operai anziani. I settori che detengono questo triste record sono quelli dell’edilizia, dell’agricoltura e dell’autotrasporto.
FotoJet1La flessibilità sembra essere, insomma, uno degli elementi sui quali si tende a puntare negli ultimi anni.
Ma fino a che punto si può essere flessibili?
Fino a che punto l’uomo può piegarsi senza rischiare di spezzarsi?
Precisazione : i concetti di flessibilità e cambiamento non hanno lo stesso significato.
Ci è ben chiaro come il cambiamento sia una condizione normale degli organismi viventi, in quanto l’unica condizione di non cambiamento è indubbiamente la morte.
Allo stesso tempo un’organizzazione, socialmente sostenibile, ha un dovere dal quale non può prescindere : assicurare stabilità ai propri dipendenti, salvarli cioè dalla condizione esistenziale di quell’eterna incertezza di cui la flessibilità è la causa.
Non c’è quindi tanto da ironizzare sulla ʻmonotonia del posto fissoʼ.
La medicina del lavoro, infatti, sta individuando i nuovi fattori di nocività, oltre alla fatica fisica, che sono collegati direttamente allo stress del lavoro precario o se preferiamo, alla condizione dell’uomo flessibile.
Il professor Paolo Vineis, ordinario di Epidemiologia all’Imperial College di Londra, analizza nel suo libro “Salute senza confini. Le epidemie al tempo della globalizzazione” come i concetti di salute e malattia stiano cambiando: non più semplici processi biologici, ma fenomeni complessi che investono la sfera ambientale, sociale, economica, politica e culturale.
Ai giorni nostri, lavorare costa sicuramente meno fatica rispetto al passato, ma ci sono nuove forme di nocività come lo stress psicosociale.
Vineis spiega come l’appartenenza a una classe sociale bassa, e quindi lo svolgimento di un lavoro manuale precario poco qualificato, non solo comporta un’elevata fatica e la continua esposizione ad agenti chimici, ma anche affaticamento mentale e psicologico.
E’ possibile, inoltre, quantificare la diminuzione dell’aspettativa di vita di chi fa parte di questa categoria, la quale si aggira a circa due anni di vita perduti.
Aumenta anche il rischio di malattie cardiovascolari, verosimilmente legate all’ansietà provocata da un lavoro a intermittenza. Bisognerebbe forse dirlo a quelli dell’Istat?

Magari prima o poi il concetto di uomo flessibile sarà quello con cui si farà riferimento alla nostra era, oppure, rimarrà sempre attuale.
Di certo, l’uomo flessibile deve confrontarsi con la rivoluzione tecnologica e con i robot e affrontare il nuovo dubbio : il lavoro servirà ancora?
Lo spazio che le tecnologie aprono alla persona nel suo approccio al mondo del lavoro infatti, consentono sì una maggiore libertà di iniziativa, ma allo stesso tempo la garanzia di una occupazione sarà la prassi in sempre meno settori.
Si rende indispensabile un impegno concreto da parte delle varie forze imprenditoriali e politiche, affinché le grandi trasformazioni della nostra epoca producano effetti positivi, limitando il più possibile i rischi sul posto di lavoro.
Solo in questo modo si potrà guidare il cambiamento.
Coglierne le opportunità senza rimanerne schiavi.

 

Di Simona Pellegrini

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