Silenzi che distruggono

LUCI SUL CAMMINO PER USCIRE DA SITUAZIONI VIOLENTE

ESN Assi ParmaCome si esce da una situazione di violenza? A chi ci si rivolge quando nella sfera domestica si è vittima di abusi? Come mai la donna vive immersa nello stereotipo della fragilità e della vittima? A tutte queste domande rispondono Arianna Gatti e Eva Siliprandi, volontarie del Centro Antiviolenza di Parma, nella conferenza sulla violenza sulle donne in data 11 dicembre.

Nel clima generale di fervore per gli abusi sulle donne, anche gli Erasmus vengono coinvolti nell’iniziativa di sensibilizzazione. Per Erasmus intendiamo gli studenti stranieri che frequentano da quest’anno l’Università di Parma grazie alla borsa di studio europea. L’evento è organizzato da ESN Assi Parma in collaborazione con la “Associazione no profit O.N.L.U.S. Centro Antiviolenza” di Parma e con la presenza dell’Assessore alle Pari Opportunità Paci. L’evento lascia spazio alle domande da parte dei ragazzi sia italiani che stranieri sulla tematica della violenza femminile.
Le scelte fatte dalle due volontarie del centro, Arianna Gatti e Eva Siliprandi, mettono in evidenza alcuni spetti della violenza sulla donna che spesso non vengono prese in considerazione durante l’analisi del fenomeno. Infatti, dopo una breve presentazione su cosa davvero è la violenza in tutte le sue facce (economica, fisica, psicologica e verbale), si soffermano sul concetto di silenzio. Il problema sociale e culturale, la violenza, è alimentato dal silenzio da parte delle vittime che consapevoli o inconsapevoli, non si riconoscono ancora a pieno titolo persone abusate. Questo nasce da una lettura errata del fenomeno: la violenza non è raptus, bensì si introduce in un ciclo che ha fasi di alti e bassi. “Non è imprevedibile, non è improvvisa, e nell’80% dei casi non è per mano di uno sconosciuto, per quanto sia di lui che abbiamo paura”, spiega Arianna Gatti. violenza sulle donne

SOCIAL COME DIFFUSIONE DELLO STEREOTIPO – Un punto importante della loro discussione si basa sull’idea che i social trasmettono della violenza. Campagne per la sensibilizzazione famose a livello nazionale ed internazionale, ci mostrano volti di personaggi famosi, tumefazioni gravi al viso di donne conosciute, o l’immagine di un uomo lontano, cattivo, raffigurato senza volto. L’immagine comune nata dai social media porta ad una visione lontana da quella domestica che non permette alla donna in questione di identificarsi nella situazione e anzi a trovare giustificazione per una violenza subita che non ha a che fare con quella che vede in televisione. Le campagne pubblicitarie “depersonalizzano” la donna quasi a renderla oggetto attraverso il possesso. La donna viene rappresentata come vittima, ma attraverso il lavoro di centri come quello in questione, l’immagine è quella di una sopravvissuta. Sopravvissuta ad una situazione difficile ma adesso ancora più forte.
Il “Centro Antiviolenza” in questa ottica di superamento del periodo subito di abuso, di qualsiasi natura, permette alle donne di raccontare ciò che è successo attraverso degli sportelli. Altra parte importante del progetto è la sensibilizzazione nelle scuole, perché la consapevolezza rende liberi da stereotipi e pronti a cambiare la situazione con l’avvento della nuova generazione. Le donne, una volta accolte all’interno del centro, seguono colloqui di natura anche legale o psicologica gratuiti e infine vengono inserite nuovamente nel mondo del lavoro. Più forti e pronte a rifarsi una vita.
Non è la fine, si può andare oltre e uscirne ancora più forti. Tutto parte dal coraggio di fare il primo grande passo: rendersi conto della propria situazione e non vergognarsi nel chiedere aiuto.

 

di Giulia Moro

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