Manuale di sopravvivenza nel giornalismo secondo Peter Gomez

LEZIONE DEL DIRETTORE DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT PER GLI STUDENTI DI GIORNALISMO

“Facebook è morto, Twitter non lo usa più nessuno e Instagram non permette di monetizzare.” E allora, che dire del giornalismo?
Martedì 12 dicembre nell’aula B di via Massimo D’Azeglio professore per un giorno per gli studenti della magistrale in Giornalismo e Cultura editoriale del corso tenuto da Luca Sommi è stato Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it. Un’occasione per confrontarsi e capire in modo più approfondito le dinamiche del mondo dell’informazione e del lavoro dei giornalisti a 360 gradi tra le dinamiche della vita di un giornalista e la lotta – relativa – alle fake news.

Nato 8 anni fa, Il Fatto Quotidiano vanta circa 400 mila lettori per una diffusione copie intorno alle 50 mila unità.
Numeri che crescono nella versione online, toccando mediamente 1,3 milioni di lettori: “Siamo al terzo, quarto posto a livello nazionale – ha esordito in aula davanti agli studenti – dietro a Corriere, Repubblica e con La Stampa”, a testimonianza del fatto che il divario con gli altri competitor è tutt’altro che ampio pur essendo un giornale nato da poco e con una natura ben chiara: “Difesa di valori come legalità, antimafia e trasparenza. Per noi sono centrali notizie ad esempio sulla corruzione della casta e sulla trasparenza della cosa pubblica a differenza delle altre testate. Sono valori condivisi sia nella versione online che cartacea ma quello di carta è più un giornale da battaglia, un ‘giornale tribù’. Online siamo giù generalisti e nei nostri blog ospitiamo tutte le posizioni politiche“.
La versione online, che ha organizzazione e logiche proprie, nasce 7 anni fa da “un blog che avevo con Pino Correa e Travaglio. Ho copiato quello che facevano negli Usa, dall’Huffington post, e ci siamo dotati di un social media manager e di un Ceo manager infatti oggi abbiamo il 30% dei lettori da social e 3o% da Google. Per ottenere questi risultati dobbiamo avere uno stile di scrittura più didascalico, in modo da utilizzare tutte quelle parole utili per essere indirizzati. E poi perché non si deve mai dare per scontato che un lettore conosca tutti gli antefatti di una vicenda.
Più facile o difficile lavorare per l’online? “Ho lavorato dappertutto, ma non esiste lavoro più massacrante come quello dell’online. Si lavora su turni dalle 07:45 fino alle 23: aprono due persone alla mattina che guardano se ci sono state notizie di rilievo durante la notte e fanno ripartire la macchina dai pezzi ‘freddi’ lasciati in sospeso la sera prima fino all’ultimo ingresso delle 14. Alle 13:30 abbiamo la riunione ma sempre davanti pc; siamo 18, me compreso, e i nostri competitors molti di più: non possiamo lasciare le nostre postazioni, dobbiamo costantemente monitorare la situazione. Difficilmente lavoriamo meno di 10 ore al giorno.” Niente break, nemmeno per un panino: “Non ho mai chiesto a nessuno di non fare pausa pranzo, ma vedendo che io mangiavo sempre alla scrivania hanno fatto così anche gli altri.” Un lavoro che causa un forte stress, a testimonianza di come il lavoro sulla scrivania sia tutt’altro che facile: “Per far riposare i nostri colleghi, diamo la possibilità di due giorni a settimana per la realizzazione di servizi fuori dall’ufficio”, unico ‘riposo’ concesso per essere pronti ad affrontare il ritorno in ufficio avendo una condizione ottimale.

Evoluzione di una professione in cui anche i lettori sono cambiati: “Chi comprava il giornale 30 anni fa lo leggeva e basta, una determinata notizia poteva comparire o no, avere o non avere un’analisi particolare. Ora il lettore ha la possibilità di seguire e di verificare passo per passo quello che accade. Sei ‘costretto’ a confrontarti con i lettori, e trovo sia corretto scusarsi e correggere quando si ha sbagliato. Lo fanno in pochi ed aumenta la tua credibilità. L’aspetto negativo dell’online? Ha memoria, quello che uno scrive o dice, rimarrà sempre. Prendete Renzi: punta tutto sull’online ma è da lì che nascono moltissimi dei suoi problemi. ‘Stai sereno’ è diventato un boomerang perché la rete ha memoria.

Non l’unico pericolo della rete, infestata da fake news. Anche se… “per me è un fenomeno assolutamente sopravvalutato ma che comunque va tenuto sotto controllo. Spesso le pagine social che diffondono queste notizie hanno qualche migliaio di fan, non milioni. Ci sono sia notizie create ad arte per creare casino negli avversari più che vantaggi a sé e ci sono che signori che fanno molti soldi con la pubblicità sulle notizie false. Esiste poi una fabbrica dei troll a San Pietroburgo: noi abbiamo intervistato le persone che lavorano lì dentro, abbiamo visto come nei Paesi blocco sovietico c’è un forte intervento dello Stato nei social, è stato dichiarato pubblicamente dalle loro istituzioni, è in atto una guerra sul controllo delle menti ma chi pensa che Putin abbia fatto vincere Trump è fuori strada. Anche perché Hillary ha ottenuto 3 milioni di voti in più e con un diverso sistema elettorale avrebbe vinto.”

Ai giornali il compito di sgomitare per sopravvivere, salvati però dalla propria professionalità: “I social hanno bisogno di contenuti di alto livello per garantire un’informazione mirata ed efficace. Sono convito che entro una decina d’anni Facebook e Google pagheranno qualcosa agli editori, e questo sarà anche un modo per andare incontro a quei Paesi che da un punto di vista fiscale potrebbero ‘far male’ a questi colossi.”

Nel frattempo occorre sopravvivere, ognuno con la sua strategia: “Facciamo anche noi clickbaiting come fonte di finanziamento del giornale, non lo nego, anzi è giusto se gli articoli sono redatti in modo serio. Abbiamo due sezioni ‘Sesso e volentieri’ e  ‘Cervelli in fuga’. Questo è anche un modo di raccontare buone notizie, di gente che ce la fa. Dopo una lunga crisi ci siamo accorti che c’è molta voglia di buone notizie.”
Ma non c’è solo il clickbait: “Abbiamo 5mila abbonati digitali, è un risultato abbastanza buono se pensiamo che arrivando a 15.000 avremmo risolto i nostri problemi economici.  Non crediamo nei paywall: in Italia lo ha adottato solo il Corriere ma è facilmente aggirabile per nn perdere davvero troppi lettori. Succede perché l’Italia ha una piccola platea mentre il New York Times, che ha un limite di 5 articoli gratis, essendo in inglese ha 1 miliardo e mezzo di potenziali lettori.”

E allora cosa può fare la differenza per un giovane giornalista italiano? “Talento e perseveranza. Poi bisogna conoscere gli strumenti, saper lavorare con foto, dati e video, ma se non hai uno spiccato senso della notizia forse non lo avrai mai. Senza quello si può arrivare a livelli discreti ma non di più.”

 

di Lele Capu

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*