La triste commedia di Father John Misty

"PURE COMEDY", TERZO ALBUM DEL CANTAUTORE STATUNITENSE, È UN CONCENTRATO DI MALINCONIA E IRONIA VERSO LA MISERIA UMANA

 

Ci ho provato ad evitare questa recensione, ci ho provato. Non che avessi qualcosa contro Father John Misty, per carità, per un’altra ragione molto semplice.

Per quanto mi riguarda, Joshua Tillman in arte FJM appartiene a quella schiera di nomi che mi riprometto di ascoltare da una vita (altri nomi della lista: Gold Panda, Bauhaus, Slint) ma che per un motivo o un altro non ho ancora incontrato. Avendo già pubblicato ben due dischi sotto questo pseudonimo, avevo addosso un po’ la sensazione di entrare al cinema dopo l’intervallo; non è detto che il resto del film non sia bello, ma ormai l’omicidio è stato compiuto. Inoltre ho sempre la morettiana abitudine di non parlare di cose che non conosco. Avevo dunque respinto al mittente l’invito all’ascolto ma è cambiato tutto in breve. Una notte quel gioiello di trasmissione radio (si, avete letto bene) che è King Kong, su Radio Rai 1, presentava entusiasticamente Pure Comedy passando un brano, “Ballad of the dying man”. Avrei voluto farvi rendere conto della situazione, di quanto particolare fosse la ballata dell’uomo che muore ascoltata da un uomo che muore, girando per l’ultima volta i viali della sua città natìa in auto, la notte prima di ripartire. In quel momento ho capito che era il disco che aveva scelto me, non potevo più dire di no. Così mi sono fermato e ho premuto play. Quel che è accaduto dopo ha del magico.

La copertina dell'album, opera del cartoonist Edward Steed

La copertina dell’album, opera del cartoonist Edward Steed

Iniziando da “Pure Comedy”, il brano che dà il titolo all’album e che pare rubato direttamente dalle canzoni mai pubblicate da Tony Bennett, che del suo stile porta anche l’atmosfera fumosa del brano, da club. Non pensate che sia un brano allegro, la Comedy dantesca che descrive l’ex batterista dei Fleet Foxes non è altro che la misera commedia umana. C’è su Youtube un video in cui il nostro FJM canta questo brano al Saturday Night Live, ed è sintomatico dell’esperienza che si vive ascoltando questo album e delle sensazioni che si provano, come se Elton John si fosse fatto crescere la barba negli ultimi anni. Passiamo subito al brano successivo, “Total Entertainment Forever”, che è tutt’altra roba a livello di tessitura musicale e che parla dell’onnipresenza mediatica nelle nostre vite, al centro di uno spettacolo perenne. Molti si sono fermati solo alla prima frase ma è un brano – e un disco in generale – che punta molto sui testi.
Così incontriamo anche “
In Twenty Years or so” e “Two Wildly Different Perspectives”, che innescano lo stesso discorso ma su un tappeto meno acustico, più elettronico.
Ballad of the Dying Man” è per me una delle perle del disco, un disco intimista ma che non se la mena col nessuno mi capisce, piuttosto tende a dire “Ecco, questo sono realmente io”, consegnandosi a noi in tutta la sua integrità. Questa ipotesi è ulteriormente riscontrabile in “Leaving LA”, una suite dolorosa, dove i 13 minuti sono quasi tutti cantati, in una sorta di stream of consciousness Joyceiano inarrestabile e che spiazza. È irresistibile il commento di una non meglio identificata Mara, che nel testo liquida Tillman dicendo “Oh great, that’s just what we all need. Another white guy in 2017 who takes himself so goddamn seriously”.

Più che altro però tocca essere noi quelli che prendono sul serio Father John Misty, capace di un disco confessionale e che non ho problemi nel definire epico. Un meraviglioso esempio di impop, musica impopolare. Non è per tutti ma se fai parte di quelli che ottengono la chiave, apri la porta e lascialo entrare.

Mario Mucedola

Father John Misty

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