Ma davvero, a 70 anni dall’Apartheid, dobbiamo sentire ancora parlare di razza bianca?

RIM, META' MAROCCHINA: "NON HO MAI SENTITO LE DIFFERENZE MA LA SENTO IN TV, PERCHE'?"

imageMi chiamo Rim Bouayad Tlemcani, ho 21 anni,  e il mio cognome non è italiano. Sono nata in Italia, ma sono per metà francese e metà marocchina.

 

Nel 2018 dover ancora scrivere delle differenze legate al colore della pelle sinceramente mi sembra banale; da tutto ciò che è successo in passato dovremmo aver imparato qualcosa che però non sembra essere servito a molto. E che invece ritorna, come nella follia di Macerata.
Cos’ha di più un individuo bianco da uno di un colore diverso? A me non viene in mente altro che,  al mare, evita di prendersi delle scottature. Scusate ma non trovo altre differenze perché io non l’ho mai sentita. Paradossalmente però, la sento spesso in televisione soprattutto nei discorsi dei politici che giocano molto su questo tema cercando di strumentalizzare il loro elettorato. Una differenza che non sento ma che mi fanno sentire, che credo che a volte possa essere un pericolo semplicemente perché esclude e lascia soli non in riferimento al tipo di persona, al carattere che ha, alle sue inclinazioni ma solo per apparenza.

Attilo Fontana, candidato per il centrodestra alle elezioni regionali della Lombardia, è l’esempio della strumentalizzazione: “Basta immigrazione, la razza bianca è in pericolo!” Il problema dell’immigrazione non lo metto in dubbio e capisco che debba esser risolto; ma il riferimento alla razza bianca proprio no. Cosa c’entra il colore? L’immigrazione porta problemi di gestione del flusso, una trasformazione di lingua e di cultura, nel bene e nel male. Colore e razza sono concetti da apartheid o da nazismo.  image

A me sembra tutta una questione vuota e di apparenza. Una ragazza mi ha raccontato un episodio: era andata in Questura con suo nonno e, in fila prima di lei, c’era una donna con il velo che voleva delle informazioni riguardo al passaporto: con lei l’addetto non fu cortese. Toccò il turno della ragazza che era vestita in modo occidentale e venne trattata in modo cortese anche se aveva il cognome straniero. Basta un velo?

Lo stesso però a volte vale anche per i nomi. Come si dice: “Si giudica un libro dalla copertina”. Può essere anche un soggetto bianco, italiano di cultura e di lingua, ma solo per il nome diverso si iniziano ad avere dei pregiudizi e a guardarlo con occhi diversi. Pregiudizi che tutti abbiamo verso chi ha qualcosa di diverso, ma bisogna saperli ponderare.

Farei un paragone Italia – Francia: in Italia molti si lamentano del fenomeno dell’immigrazione. Eppure qui per esempio non troviamo facilmente un nero che fa il cassiere oppure che lavora in ufficio, in Francia invece sì. Allora, visto che la Francia non mi sembra una nazione così diversa dalla nostra, mi chiedo: da dove nascono le differenze di cui si parla in Italia? Le creiamo da soli? Ce le insegnano?

A me hanno insegnato che dalle persone diverse, più che da quelle uguali, non si può far altro che imparare, perché avranno sempre qualcosa da insegnarci cosi come noi insegneremo a loro.
E poi mi hanno insegnato che, anche solo per educazione, è bene evitare di marcare le differenze. Pensiamo ai bambini che quando sono piccoli giocano con tutti bianchi, neri o gialli. Anche se ci sono differenze visibili agli occhi non danno importanza. Poi magari crescono e sentono in televisione o nei corridoi che le differenze sono importanti e cominciano a crederci. 

Al candidato alle elezioni della Lombardia manderei un messaggio ma non troppo complicato, un sms: almeno sa veramente il significato della parola razza?

 

di Rim Bouayad Tlemcani 

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