Lettera ipocrita a Giulio Regeni

Caro Giulio,
ti scrivo questa lettera nel tentativo di tenere a bada la mia coscienza.
Oggi, 3 febbraio, ricorre il secondo anniversario del ritrovamento del tuo corpo, e noi non sappiamo ancora nulla sulla tua morte. Oggi, dopo più di due anni da quel 25 gennaio, noi non sappiamo ancora nulla.

Eppure non siamo abbastanza arrabbiati.

Abbiamo appeso striscioni, fatto manifestazioni, concordato ipotesi, ma nulla che possa essere anche uno stralcio di verità.
Ti scrivo questa lettera per confessarti quanto mi senta inutile ora, quanto tutta la mia generazione si senta inutile rispetto ad un mondo che non fa altro che fagocitarci, giorno per giorno, mentre cerchiamo risposte che probabilmente non otterremo mai.

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L’hanno chiamata “sparizione forzata”, e sembra quasi un altro modo per non farci un’idea di come sono andate le cose, quasi a nascondere la tortura che hai dovuto subire nel nome della verità.
Perché la verità porta a questo, caro Giulio, e tu e i tuoi genitori lo sapete meglio di chiunque altro oggi: la verità che cercavi tu, noi per te non siamo stati ancora in grado di trovarla.
Dopo due anni da quel 25 gennaio, le autorità egiziane si ostinano, imperterrite, a non rivelare i nomi di chi ha ordinato, eseguito e poi coperto le prove della tua tortura e del tuo omicidio.

E noi non siamo abbastanza arrabbiati.

Siamo scesi in piazza, abbiamo cantato per te, abbiamo disegnato e abbiamo scritto per te, per farti arrivare il nostro pensiero, ma forse ancor di più per mettere a tacere anche le nostre coscienze. Nel rispetto del dolore di tua madre e di tuo padre, nel rispetto della missione che svolgevi, nel rispetto di una tua idea di mondo, noi, però, non ci crediamo abbastanza.

Non crediamo ancora abbastanza nei cortei, nelle parole, nel nero su giallo degli striscioni fatti per te che raccontano la ricerca di una verità che non sappiamo tirar fuori perché troppo impegnati a sopravvivere passivamente alla nostra esistenza, come se tu fossi solo un altro appuntamento sul calendario, un post per i social per far finta di fare la differenza.
Non ho avuto il coraggio di immaginare davvero la tua immagine all’obitorio. L’ho vista di sfuggita, impaurito da ciò che avrei potuto vederci, spaventato dalla sofferenza che pure un po’  conosco e che non avrei voluto riconoscere sul tuo viso. Chi ha il coraggio di immaginare tutto il male del mondo riversato sul volto di un ragazzo di 28 anni? Nessuno, te lo dico io. Tranne i tuoi genitori, nessuno è stato in grado di guardarti davvero, cercando tra le ferite la forza per cercare la verità.

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Tanto ormai è andata così, tanto ormai non c’è modo di fare la differenza, tanto ormai le lacrime si sono asciugate e abbiamo indossato di nuovo gli occhiali da sole della nostra indifferenza, pronti a farci un altro selfie.

Sorridi Giulio, e guarda nell’obiettivo, abbiamo impostato il filtro per le coscienze arrabbiate.

di Pasquale Ancona

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