L’asticella dell’indignazione che scende: Scanzi e ‘Renzusconi’

IL GIORNALISTA DE IL FATTO QUOTIDIANO AL TEATRODUE

Quando Raffaele La Capria chiese a Ettore Bernabei perché mai leggesse un libro di un autore commerciale come Fabio Volo, lo storico giornalista e a lungo uomo di punta Rai rispose che il modo migliore per capire e cogliere la sua contemporaneità era leggere il primo libro in classifica. Da quella lettura, a suo dire, ne veniva fuori “L’espressione di una società che vive il momento, non sa niente del passato e non si pone il problema dell’avvenire”.

Sono queste le parole che Andrea Scanzi, il giornalista de Il Fatto Quotidiano, riprende con forza nel il suo ‘Renzusconi’, lo spettacolo teatrale tratto dall’omonimo libro e andato in scena lo scorso 13 febbraio al TeatroDue, di fronte a ben 500 ‘ arrabbiati’  spettatori.

Sì, perché come gli affezionati fan del giornalista aretino immaginano bene, nessuno chiude le sue quasi due ore di spettacolo senza andar via arrabbiato, senza sentirsi provocato.

Nessuno di loro a fine spettacolo ha saputo togliersi dal volto una serie di riflessivi punti interrogativi.

UNO SPETTACOLO ENTUSIASMANTE – Per gran parte dello spettacolo, Scanzi punta a far ridere lo spettatore, carico di quell’ironia a cui ha abituato i suoi lettori.
Il suo compito, come annuncia dopo appena qualche minuto, sarà dimostrare che il Renzusconismo, ovvero l’indissolubile legame che romanticamente vive nelle menti e negli animi di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, esiste, e tutti noi ne siamo vittime consapevoli.

“Se pensi a Matteo Renzi – afferma Scanzi con sarcasmo e un malcelato sorriso – pensi a un uomo che ha come cifra stilistica l’umiltà. Perché ridete?
Cos’è il renzismo? Se c’è un problema bisogna semplicemente far finta che non ci sia: l’ottimismo è il profumo della vita”, spiega facendo eco allo spot televisivo interpretato da Tonino Guerra.
Già, i 500 punti di spread c’erano anche se Berlusconi ci diceva che tutto andava bene, e sappiamo com’è andata a finire. Ecco, secondo Scanzi, Renzi fa o tenta di fare esattamente la stessa cosa, non riuscendo però a raggiungere i risultati del maestro Silvio. “L’allievo ripetente che (non) superò il maestro”, come sottotitola il libro appartenente alla collana diretta da Marco Lillo per Il Fatto Spa.

Scanzi evidenzia le enormi analogie che sussistono tra i due leader dal punto di vista politico e non solo, soffermandosi a lungo su quelli che lui ritiene i più grandi difetti (anche comici) del segretario del Partito Democratico.
Da una credibilità all’estero che rasenta l’assurdo, al circondarsi di una classe dirigente abituata a cinguettare i vari #ciaone (vedi Ernesto Carbone, parlamentare renziano che commenta così il mancato raggiungimento del quorum al referendum sulle trivelle), fino al tristemente e limitatamente giornalista Maurizio Gasparri che ha la democratica abitudine di bloccare su twitter chiunque osi contraddirlo.
Aiutato spessissimo da immagini e video proiettati, Scanzi sottolinea l’infinita comicità di Renzi e la sua capacità, del tutto singolare, di essere la versione comica di se stesso.

IL SILENZIO DEGLI INTELLETTUALI – I momenti di maggiore intensità, però, lo spettacolo li raggiunge quando finalmente Scanzi si arrabbia, quando la delusione pervade ed arrossa il suo volto e si ricorda di quando quelli che si dicevano intellettuali di sinistra facevano veramente gli intellettuali di sinistra, e rappresentavano qualcuno a cui aggrapparsi per resistere alle barbarie politiche degli ultimi 30 anni.
Scanzi si chiede che fine abbiano fatto quelli che prima urlavano al mondo la loro indignazione e che ora paiono essersi ritirati nelle “case in collina” di pavesiana memoria senza rispondere all’appello e al bisogno che l’Italia ha di loro. Dove sono quelli che quando Berlusconi faceva le leggi ad personam erano lì ad urlare dalle pagine dei giornali, dalle trasmissioni tv e dietro le cineprese, ora che Renzi sta facendo praticamente la stessa cosa facendo finta di niente. Presto detto: secondo lui è facile che ora che finalmente questa sinistra è al governo, ‘la Buona scuola non sia poi così male come la dipingono gli insegnanti, l’articolo 18 non così utile e forse al referendum avrebbe dovuto vincere il Sì’.

Sta qui la vera magia dello spettacolo di Scanzi: urlare la sua delusione nei confronti del silenzio di chi dovrebbe parlare, di quelli in cui lui stesso credeva e che ora pare abbiano deciso di tacere, forse perché stanchi di perdere per così tanto tempo. Sono stati felici di salire finalmente sul carro dei vincitori, a dispetto del “gabbiano ipotetico” di Gaberiana memoria che avrebbe voluto ‘fare del bene di uno il bene di tutti’, soffrendo, forse, ma facendo di quella sofferenza la sua vera essenza, nel nome di un’etica che oggi è relegata alle belle parole, alla bella forma e allo stile.

No, Andrea Scanzi non ci sta, e quella che pare una figura dalla presenza scenica non troppo importante, si trasforma in un ingombrante uomo fatto di rabbia e delusione che tenta ancora di aggrapparsi a degli ideali e a dei valori.
Renzi, a sentire Scanzi, è stato l’uomo del “cambiar tutto perché nulla cambi”, facendo sì che gli intellettuali si trasformassero in megafoni di partito smettendo di essere i veri anticorpi della società.
Stiamo correndo il rischio che tutto diventi normale – dice in chiusura il giornalista, deluso nel volto ma ancora vibrante nell’animo – ed è pericoloso quando l’asticella dell’indignazione si abbassa”, si corre il rischio di non sapersi più arrabbiare.

 

di Pasquale Ancona

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