Dialogo col vero protagonista de… Il filo nascosto

INTERVISTE IMPOSSIBILI: CONFESSIONI DI UNA RECENSIONE

Continuano gli speciali faccia a faccia di ParmAteneo, dove un nostro inviato incontra e chiacchiera con i protagonisti delle più grandi pellicole del momento. Questa settimana, procediamo con la lunga carrellata in vista degli Oscar 2018 intervistando il vero protagonista de Il filo nascosto, pellicola scritta e diretta da Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis e Vicky Krieps, candidata a 6 nomination, tra cui miglior film.

Salve, desidera presentarsi?
Preferirei che lo facesse lei, data la situazione è il caso di rispettare l’etichetta e le regole tipiche di queste piacevoli occasioni. Solo perché la modernità ha dimenticato la galanteria, non mi sembra una buona giustificazione per incedere alla mediocrità e allo squallore.

 

Giusto, approvo la sua richiesta. Del resto, stiamo parlando di un film che fa della raffinatezza il suo cavallo di battaglia. Sono lieto di presentarvi il quaderno degli schizzi usato da Daniel Day-Lewis nei panni dello stilista Reynolds Woodcock. Grazie per averci concesso un poco del suo tempo.
Grazie a lei. Sono onorato di poter finalmente esprimere la mia opinione dopo che la stampa mi ha bellamente ignorato, da un capo all’altro dell’oceano. Ma la sua intervista all’Acqua protagonista di The Shape of Water mi ha spinto a contattarla, per avere lo spazio che merito visto che anche io sono una fondamentale risorsa sconosciuta di un film di cui tutti parlano.

Lieto di poterle dare la vetrina che desidera. Ci parli del suo ruolo nella pellicola.
Interpreto me stesso, ma nelle mani di un genio. Io sono un quaderno a foglio bianco rilegato in pelle, paradiso immacolato di ogni artista che negli anni 50′ ha cercato di mettere su carta le proprie intuizioni, di dare loro una forma. Non c’è niente di più meraviglioso: attraverso me, le idee escono dalla fantasia prima di diventare concretamente reali. Ogni grande mente ha bisogno di un angolo immacolato dove proiettare le proprie intuizioni e io sono onorato di aver ospitato quelle di Reynolds Woodcock, il personaggio di Daniel Day-Lewis.

A proposito, come giudica la sua performance? Non è certo il caso di stupirsi, visto che per Day-Lewis si tratta della sesta nomination con già tre statuette vinte…
No, infatti. Anzi, le parti dei suoi vecchi premi sembrano avere molto in comune con quella del film. Il suo Woodcock traccia quasi una linea, un “filo nascosto”, con un’altra sua grande performance: quella ne Il petroliere, non a caso diretto sempre da Anderson. Entrambe ci parlano di un uomo, della sua figura e della sua complessità.

Però, si tratta di due ruoli molti diversi: il cercatore di oro nero e lo stilista…
A pensarci, fa un certo effetto. Sembrerebbe impossibile pensare che si tratta dello stesso attore. Nei panni di Woodcock, Day-Lewis è il cuore e l’occhio stesso del film, il motivo per cui la cinepresa si muove, ciò che da un senso e un perché alla storia. É anche vero che la parte sembra “cucita” per lui. Soprattutto, è stato fenomenale negli sguardi, nel portamento, nel vestire e nella presenza, cosa importantissima perché gli abiti non vanno solo ideati ma vanno anche degnamente indossati. Ma specialmente è incredibile come restituisce questa figura del genio, dell’artista puro, mostrandone pregi e difetti: la sua ossessione, la ripetizione spasmodica dei gesti, il bisogno viscerale di una ferrea routine, l’estro, l’immensa professionalità però anche il lato candido, puerile. Perché l’artista non è altro un bambino che si diverte all’infinito col suo gioco prediletto e non pensa ad altro.

Ma questo non solo il ritratto di una personalità sfaccettata ed estroversa, bensì il racconto di un amore tra due persone…
Ovviamente, le pare che io possa dimenticarmi una cosa così importante? Ricordare in eterno è il mio lavoro.

Cosa pensa di Vicky Krieps nella parte di Alma, la musa ispiratrice e poi moglie di Woodcock?
Come dicevo prima, Day-Lewis è il centro del film, tuttavia non si tratta certo di un recital (spettacolo dove appare un solo attore, ndr). Infatti abbiamo Alma, il perfetto contraltare di Woodcock, l’elemento di disturbo che incrina la quotidianità dell’artista dando il via alla vicenda. La loro presenza si equilibra in un gioco di contrappesi e chiaroscuri. Da una parte abbiamo l’artista, il talento, dall’altra la persona normale, la donna semplice ma forte che si innamora di quest’uomo all’apparenza perfetto, per quanto detestabile, eccessivo e insopportabile. Lei il fattore determinante che fa uscire fuori il dramma vero, intenso di Woodcock, uno stilista che ha deciso di indossare una una vita fatta a suo uso e consumo, ma che rischia anche di rinchiuderlo in una gabbia dorata da cui è difficile uscire. Ma Alma, determinata, non demorde mai e arriva perfino ad una soluzione drastica per tirarlo fuori, per salvarlo da se stesso e dalla sua ossessione.

Da quello che mi dice, dev’essere una pellicola estremamente raffinata, colta, capace di veicolare una moltitudine di messaggi tutt’altro che banali…
Assolutamente. E mi dispiace, perché molti non potranno capirli, accuseranno il film di lentezza e di noia, ne sviliranno il senso. Purtroppo, è la superficialità a comandare in questi tempi moderni. Invece, un tempo era tutto diverso, c’era un altro rispetto per la raffinatezza, per la cultura, per i modi cortesi…

Scusi, la prego di non divagare e cercare di concentrarsi sulle domande.
Mi perdoni, ha ragione. Sono stato maleducato.

Dicevo del film: dev’esserci un lavoro dietro di un certo peso per ottenere un simile risultato.
Senza dubbio. Paul Thomas Anderson ha pensato e diretto un’opera sontuosa, curando ogni suo aspetto, verrebbe da dire che l’ha “cucita” direttamente con le sue mani. Del resto, bastano pochi minuti di visione per capire con cosa abbiamo a che fare: regia pulita e conseguenziale, fotografia scrupolosa, sempre di Anderson, costumi sensazionali, non a caso anche l’autore Mark Bridges ha preso una nomination, poi troviamo una ricostruzione del periodo perfetta, coinvolgente e un uso sensoriale della telecamera. Un uso a cui contribuisce la colonna sonora, che alterna pianoforte e archi, costante per tutta la durata del film e che lo accompagna passo dopo passo, a restituire l’atmosfera e una certa sensazione di raffinatezza. Non a caso, il compositore Jonny Greenwood è stato candidato all’Oscar per il suo lavoro.

 

 

Invece, della candidatura di Lesley Manville nei panni di Cyril Woodcock, la sorella di Reynolds?
Meritatissima. Interpreta un personaggio non facile, che non compare molto sulla scena, eppure riesce a proiettare la sua presenza in tutte le sequenze dov’è assente e, quando la vediamo, è impossibile non notarla. Un’altra performance straordinaria.

Secondo lei, Il filo nascosto ha delle possibilità agli Oscar?Ha preso molte candidature e tutte per i premi più importanti.
Non mi sbilancio perché non ho ancora avuto occasione di vedere le altre pellicole in gara, ma devo dire, anche se sono un po’ di parte, che Il filo nascosto è uno di quei film sublimi che elevano le potenzialità del mezzo cinema a pura estetica dell’immagine. É cinema puro, in un certo senso. Riesce a coinvolgere tutti i sensi con la musica, il movimento, la recitazione, la visione di elementi che richiamano odori, suoni e sensazioni varie. Ad esempio: vengono fatti vedere gli abiti realizzati, i tessuti indossati, i colori perfetti, le modelle che le indossano e sembra di poterli effettivamente toccare, tutto colpisce come se fosse lì davanti a te veramente.

“Tutto si può nascondere in una fodera del vestito”, cosa significa per lei questa frase?
Che dentro noi stessi, sotto la nostra pelle, nel nostro personale abito, o corazza, se preferisce, possiamo inserire qualunque cosa per portarla vicino a noi, ma spesso quella cosa finisce per diventare un peso, un macigno gravoso su cui vengono fissate le corde che ci incatenano ad un’esistenza vuota e ossessiva.

 

di Elia Munao’

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