Il tumore si evolve e si fa resistente: nuova scoperta Unipr

PUBBLICATO SU 'CHEMICAL SCIENCE' UN NUOVO STUDIO SUL CANCRO AL POLMONE

“Certi tipi di tumore al polmone si curano con un farmaco di quelli considerati intelligenti, non i chemioterapici tradizionali, che hanno meno effetti collaterali e un bersaglio d’azione specifico”, così esordisce Marco Mor, professore ordinario di Chimica Farmaceutica dell’università di Parma. Ciò a cui si riferisce è una recente articolo di farmaceutica computazionale pubblicato sulla rivista Chemical Science. Il team di ricerca, composto dal professor Marco Mor, il professore Alessio Lodola e la dottoressa Donatella Callegari, ha visto la partecipazione dell’Università di Bristol e il gruppo di ricerca di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria, guidata dal dottore Marcello Tiseo.

L’articolo riguarda le resistenze che il tumore sviluppa contro alcuni farmaci, in questo caso l’osimertinib: “Questo farmaco va ad agire su una proteina umana che si chiama EGFR. Quando un paziente ha la fortuna di avere un tumore che risponde agli inibitori di questo enzima, ha un buon tasso di risposta in termini di remissione del tumore, senza doversi sottoporre alla chemioterapia. Il problema qual è? Con il tempo si sono sviluppate delle resistenze a diverse ondate“, spiega il professore Mor.

LA SCOPERTA – Siamo ormai alla terza generazione di farmaci inibitori, ma il punto di svolta c’è stato all’ospedale di Parma quando si è riscontrata una resistenza mai incontrata prima: “In una paziente con un tumore polmonare non a piccole cellule di tipo adenocarcinoma, abbiano riscontrato una terza mutazione dell’EGFR”, spiega il dottor Marcello Tiseo. Nel trattamento di questo particolare tipo di tumore con la mutazione di EGFR è previsto che si formino delle resistenze: “I farmaci hanno target molecolari con mutazioni genetiche”, specifica il dottore Tiseo, quindi colpiscono quelle cellule il cui Dna è stato alterato da un agente cancerogeno, come il fumo di sigaretta o altri. La prassi prevede che si cominci il trattamento con farmaci di prima generazione, ma come in questo caso: “Nel giro di un anno e mezzo la paziente aveva sviluppato un resistenza”, afferma il dottor Tiseo. Il problema si è presentato quando il tumore è diventato resistente anche all’osimertinib, farmaco di ultima generazione: “È attraverso la biopsia – quindi prelevando del Dna dal tumore – che abbiamo riscontrato questa terza mutazione”, spiega il dottore Tiseo.

Qui entra il gioco il team di ricercatori: “Siamo chimici farmaceutici e ci occupiamo della progettazione e della sintesi di farmaci. Quest’ultima mutazione, individuata dal dottor Tiseo, ha un meccanismo che non è semplice da un punto di vista chimico. Quello che cambia nel ricettore è una amminoacido diverso, chiamato leucina-718”, spiega il professor Mor. È un amminoacido superficiale che apparentemente non dovrebbe contrastare il farmaco. “Con delle simulazioni al computer abbiamo visto che la cisteina – l’amminoacido a cui l’osimertinib si attaccata – c’è ancora, quindi in teoria il farmaco potrebbe ancora legarsi, solo che la leucina-718 quando muta ne cambia l’orientazione all’interno del sito“. In parole semplici, non si lega e il tumore continua a crescere.

Questa scoperta porta a rivedere l’approccio di ricerca: “Quello che noi abbiamo detto oggi è: attenzione, c’è anche un altro meccanismo, quindi bisogna prepararsi ad avere una strategia diversa“. I farmaci sviluppati finora sono stati creati per superare un certo tipo di resistenze. Ora, invece, se ne presenta una di cui è difficile comprenderne per il momento la natura. “Il paziente che ha un tumore sensibile agli inibitori dell’EGFR tradizionalmente viene trattato con inibitori di prima generazione. Nell’arco di un anno, un anno e mezzo è molto probabile che si sviluppi una resistenza, poi il tumore ricomincia a crescere. Ad oggi l’ultima arma, di terza generazione, è l’osimertinib“, continua il professore Mor.

Al momento è stato registrato solo un caso di resistenza a questo farmaco, ma come spiega il professore Mor: “Quello che si sta cercando di fare è mettere a punto i farmaci di quarta generazione che non ci sono ancora. Oggi molti gruppi stanno lavorando nel superare le resistenze che derivano dalla mutazione di quella cisteina a cui l’osimertinib si attacca, ma nessuno si è attrezzato per mettere a punto dei farmaci che superino invece resistenze di altro genere”.

E ORA? – L’osimertinib è stato approvato nel 2017 ed è l’ultima frontiera per il trattamento al tumore al polmone. Il processo per l’approvazione di un farmaco può durare anche 10 anni, ma in alcuni casi posso esserci delle vie preferenziali. Soprattutto, è raro vedere la collaborazione diretta tra medici e ricercatori. Gli studi clinici, quindi il contatto diretto con i pazienti, è l’ultimo passo di un lungo processo. In questo caso, invece, l’osservazione diretta ha permesso che due branche lontane tra di loro lavorassero in simbiosi.

Attraverso un cluster di calcolo, il team di ricerca ha ricreato dei modelli per poter osservare le varie ipotesi di interazione tra farmaci e proteine: “I calcoli che si fanno per fare questi modelli richiedono risorse notevoli, notevoli giornate di calcolo e soprattutto l’impiego di computer che non sono facilmente accessibili”. Una possibilità è quella di creare delle collaborazioni esterne, come nel caso della dottoressa Callegari, volata a Bristol durante il suo dottorato di ricerca in Scienze del Farmaco. Nell’università inglese la ricerca ha potuto fare ulteriori passi avanti sfruttando un cluster di calcolo, simile a “grappoli di computer che vengono configurati in modo da agire insieme per dare la possibilità di fare calcoli che la singola macchina non può fare”, semplifica il professore Mor. Recentemente ne è stato installato uno anche nel Campus delle Scienze e delle Tecnologie di Parma.

“È una lotta continua tra farmaci e resistenze”, sottolinea il professore Mor. Questa scoperta non significa che sia stato sviluppato un nuovo farmaco, quanto che sia stata aperta una nuova strada nella progettazione di farmaci inibitori. Ad ora, conclude Mor: “Andiamo avanti con lo studio e a questo punto proviamo a sintetizzare dei composti che possano superare le resistenze”.

 

di Carlotta Pervilli

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