ll volto antieroico della storia negli scatti di Pasini, dalle Alpi alla Siberia

IMMAGINI E PAROLE RACCONTANO LUOGHI E PAESAGGI DELLA 1^ GUERRA MONDIALE

“Le Dolomiti e la Siberia, la montagna e il deserto di ghiaccio che sembra cancellare qualunque possibile forma di ribellione, fisica e intellettuale”. Sono questi i temi della mostra’ Zhdat’: Dalle Alpi alla Siberia. Paesaggi di oggi, storie di ieri’ che a Palazzo Pigorini ha raccolto gli scatti di Fabio Pasini in un progetto curato da Andrea Tinterri.
Fotografo originario di San Secondo Parmense, Pasini ha da sempre affiancato all’esperienza professionale nel campo sportivo un personale rapporto molto stretto con la montagna. La mostra nasce in seguito ad un servizio riguardante il trekking svolto lungo il fronte della prima guerra mondiale. “Una volta inviato il pezzo, ho avuto la netta sensazione che mancasse qualcosa: mi sembrava di aver proposto buoni sentieri, ma di non aver rappresentato realmente cosa fossero state, un secolo fa, quelle montagne”, racconta Pasini. Da qui nasce la riflessione sulla storia dei luoghi che è alla base di questo progetto fotografico il cui titolo deriva dal russo ‘Ждать’, aspettare. Divisa in due parti distinte, la mostra raccoglie 21 “foto nere” che parlano del fronte di montagna della prima guerra mondiale, quelle “bianche” invece ritraggono la Siberia in 12 scatti. Il “protagonista assente” di tutte le immagini è l’uomo, le sue tribolazioni vissute in quei luoghi che hanno mosso Pasini durante la realizzazione del lavoro.

Foro stenopeico

LE FOTO NERE – Il progetto fotografico ha un carattere minimalista, a partire dalla scelta di non utilizzare una macchina fotografica delle più comuni ma un suo archetipo, un fotocamera con foro stenopeico, strumento che sfrutta il principio della camera oscura e non fornisce nè la possibilità di vedere ciò che si sta inquadrando nè di scegliere la lente più appropriata, a causa della mancanza dell’obiettivo.

 

75” Le tre cime di Lavaredo dal rifugio Locatelli-Innerhofer

8” Pasubio-Strada delle 52 gallerie

93” Tofana di Rozes e castelletto da una trincea italiana delle cinque torri

 

 

 

 

 

La dimensione delle foto volutamente ridotta (9.3 x 9.3) costringe l’osservatore a fare un passo avanti, spingendolo simbolicamente a prendere consapevolezza di ciò che in quei luoghi è successo, a guardare al di là della semplice bellezza estetica dell’immagine. Inoltre, le immagini di dimensioni ridotte, come spiega il curatore Tinterri, sono “un qualcosa di intimo, da nascondere o conservare come preghiera laica, come forma bidimensionale del ricordo”.
A sottolineare il principio di essenzialità sono anche i titoli degli scatti, espressi in secondi di esposizione, quelli necessari per realizzare ogni singola foto. I soggetti rappresentati, le Dolomiti, sono luoghi turistici già ritratti in centinaia di immagini. Nonostante ciò, “il foro stenopeico permette a Pasini di allontanarsi dalla tradizione iconografica delle Dolomiti, da un clichè pubblicitario ormai stereotipato, per spostare l’attenzione su immagini antiretoriche e antieroiche“, spiega Tinterri nell’introdurre la mostra.

 

Dvina

LE FOTO BIANCHE –  Le foto bianche sono state realizzate in un momento successivo, durante alcuni viaggi di Pasini in Russia. In questo caso, le dimensioni sono maggiori (100 x 150) e lo strumento prescelto è il banco ottico. Ad essere inquadrati sono orizzonti piatti, posizionati a metà dell’immagine, per dare l’idea di uno spazio sconfinato dal quale è impossibile fuggire, tranne che in un caso, nell’immagine “Mar Bianco”.

Mar Bianco. “Ho spostato l’orizzonte come se fosse in salita per rendere questa pianura in salita e per incrementare la difficoltà”

IL BACKSTAGE –  L’importanza e la straordinarietà dei luoghi protagonisti della mostra Zhdat e l’avventura in Russia è stata direttamente racconta dalle parole di Pasini durante un incontro con il pubblico sul backstage della mostra in cui l’autore ha anche presentato il suo libro, ‘Dal Garda alla Marmolada’. Passando da video che ritraggono discese tra le montagne, “la regina delle Dolomiti” e immagini documentate, Pasini racconta dell’importanza storica delle città visitate, tappe fondamentali per la fuga degli italiani d’Austria dalla prigionia russa. L’autore parla poi dell’arrivo a Mosca, dei suoi problemi iniziali nel comprendere il cirillico e di come sia rimasto impressionato dalla grandezza e dalla maestosità della Piazza Rossa e del Cremlino.

Archangel. “Nel 1915, quando l’Italia entra in guerra è alleata della Russia, con la quale stipula un trattato secondo cui tutti coloro i quali avessero disconosciuto l’Austria e riconosciuto l’Italia sarebbero passati da prigionieri a uomini liberi, ovvero una forma di irredentismo in Russia”. Dal porto di Archangel partirono le navi che riportarono a casa molti ex-prigionieri italiani.

Spostandoci di 1400 km, Pasini racconta di Arcangelo, città si affaccia sul mar Bianco, a poca distanza dall’estremo nord della Scandinavia, strategica dal punto di vista militare e per questo accessibile solo in parte agli stranieri. Tra le foto di Pasini che la ritraggono, c’è quella di un immenso fiume ghiacciato che sfocia nel Mar Bianco, “cui confronto il Po è un canaletto”. Luoghi remoti in cui però il fotografo ha avuto anche contatti con la gente del luogo, disponibile e aperta ad aiutare gli avventori, secondo la sua esperienza.
L’ultimo viaggio dell’avventura di Pasini conduce lungo il cammino della transiberiana. Partito da Mosca, il fotografo si è spinto fino a Vladivostok, a circa 9000 km e a 7 fusi orari di differenza dalla capitale. Vladivostok si affaccia sul Mar del Giappone e per arrivarci occorre percorrere tutta la transiberiana, un percorso noioso dal punto di vista fotografico secondo l’autore in quanto caratterizzato sempre lo stesso paesaggio: steppe immense e incontaminate. Unica eccezione alla routine siberiana è il lago Baikal, a pochi passi dalla Mongolia (il poco è sempre un “concetto utopistico” se riferito alle distanze russe) che offre uno scenario meraviglioso: un immenso lago ghiacciato con lastre di ghiaccio che emergono dall’acqua. Tra le immagini che Pasini tiene impresse nella mente, racconta anche delle ‘ice road’, strade di ghiaccio dove ci si transita circondati dal nulla ed è ovviamente complicatissimo non perdere l’orientamento. È l’immagine ultima di luoghi remoti che oggi come in passato muovono l’uomo a misurarsi con se stesso e con lo spazio fuori e dentro di lui.

 

di Lara Boreri ed Ernesto Vastola

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