Patrizio Dall’Argine: “Vorrei un teatro stabile di burattini al Parco Ducale”

COSTRUISCE E DA' VOCE A 65 PERSONAGGI. DIETRO LE QUINTE DI UN TEATRO CHE E' MIX DI ARTI, TRADIZIONE E INNOVAZIONE

“Andare a bottega, guardare, osservare umilmente. Mi piacerebbe che qualcuno bussasse alla porta e dicesse: voglio imparare. È un mestiere molto complesso, non hai a che fare solo con te stesso.”

Patrizio Dall’Argine di mestiere fa il burattinaio. Ha studiato animazione, regia e drammaturgia ed è anche pittore. È andato in scena con Veronica Ambrosini e la compagnia del ‘Teatro Medico Ipnotico‘ al Teatro Due di Parma con quattro spettacoli per tutte le età. È lì che qualche minuto prima di ‘Black Varietà’, tra prove degli effetti di scena e adrenalina pre esibizione, racconta che cosa significa essere un artista burattinaio nel 2018.

“La maggior parte dei burattinai avrebbe voluto fare un altro mestiere”, scrive nel suo ‘Manuale per un burattinaio’. Accade come agli sventurati marinai dell’800 che da un giorno all’altro si ritrovavano sul ponte di una nave, in alto mare. “Il lavoro di un artista non si basa su verità, ma piuttosto su delle possibilità. Per questo non credo che ci possa essere un modo per diventare burattinai. Come per l’attore, si tratta di vivere la propria vita in dispersione.”

Da piccolo giocava per ore in una soffitta polverosa con vecchie marionette, da ragazzo ha ammirato i teatrini del Museo dei Burattini di Parma. Da allora ha capito che una parte di lui non sarebbe mai uscita da quella soffitta.
Negli anni ha lavorato al Teatro delle Briciole e al Museo dei Burattini; ha realizzato testi teatrali, laboratori e scenografie, ha partecipato al Festival di Sebenico nella tregua di guerra in Dalmazia, poi in Sardegna, in Friuli, in Francia. “Un burattinaio non può fermarsi”.

Il Matto

Il Matto

Questo mestiere, nel 2018 (ma la tradizione la dice lunga), non permette di avere stabilità, di avere certezze. Ci si trova sempre in alto mare, sul ponte di una nave, o meglio, sotto coperta, “in un ambiente buio, tutto in legno e senz’aria da sembrare una bara”. È la baracca: la struttura in legno in cui il burattinaio si inabissa. E da cui emergono i burattini. Dal boccascena alto quanto il burattinaio – per raggiungerlo Veronica Ambrosini, burattinaia della compagnia, braccia e a volte voce, deve indossare il tacco 12 – si apre il Teatro Medico Ipnotico, con le sue quinte, i suoi fondali, i suoi personaggi. La muta della compagnia conta 70 burattini, tutti scolpiti da Dall’Argine. “Ho imparato da solo, non ho un metodo. Per realizzare un burattino, dalla scultura della testa di legno al ‘buratto’ che è l’anima, dalla veste in stoffa, fino a raggiungere l’espressione che cerco, ci vuole almeno una settimana di lavoro“, racconta Patrizio. Ma in scena il burattinaio non scompare, cambia forma: dà corpo e voce ai piccoli attori, ne è l’anima. “Tutte le personalità dei suoi burattini sono dentro di lui: è una questione delicata, un campo complesso. Patrizio fa 65 voci diverse”, racconta Veronica.
Tra i suoi burattini ci sono tipi strani e altri ancora più strani, ognuno con personalità e carattere propri, umani. Il più poetico è Amedeo Modigliani, “per scolpire quello sguardo perso ci ho messo un mese”. Il più inquietante è forse Il Matto, protagonista di ‘Black Varietà’, che è un’opera al nero. “La particolarità di questo spettacolo è il processo creativo: anche noi burattinai, tanto quanto un pittore o uno scrittore, viviamo un processo creativo, perché si tratta di opere d’arte, un po’ come le opere alchemiche”, afferma Patrizio. Nella tradizione dell’alchimia, l’opera al nero è la fase in cui emerge l’inconscio, quella di trasmutazione dei metalli pesanti in oro, in cui la materia deve essere condotta a putrefazione per permettere all’artista di rinascere a nuova vita. Così in ‘Black Varietà’ sei quadri raccontano come il personaggio sia arrivato a diventare matto, “un giorno, quando il suo spettacolo non è mai andato in scena”. È un disadattato che non produce Pil, che insegue i sacchetti nel vento e viene pestato dalle guardie dell’ospedale psichiatrico. Ma è anche trasfigurazione di Cristo che in una ‘danse macabre’ ricorda all’uomo che deve morire.

Black Varietà

Black Varietà

Nel teatro dei burattini le arti si contaminano: pittura, cinema, animazione, musica, fotografia. “Si parla di cultura figurativa. Cultura, che è studio“, afferma Patrizio. “La pittura è visionarietà, è il seme originario e questo è un teatro di visione. E lo è anche il cinema, che amo molto.” Ed è in omaggio all’idea di ipnosi de ‘il Volto’ di Ingmar Bergman che il Teatro Medico Ipnotico è stato battezzato con questo nome nel 2008.

La carriera di Patrizio Dall’Argine è stata premiata nel settembre 2017 dalla Fondazione Ravasio di Bergamo che ha riconosciuto come “la sua arte è il risultato di una contaminazione colta e acuta tra la tradizione, della quale mantiene vivi i valori più profondi, e la sua personalissima innovazione espressiva”. Quindi innovazione nella tradizione. Ma cos’è la tradizione? “Il fantasma del burattinaio italico è quella di un uomo che girava le campagne e che si esibiva nelle aie, nelle stalle, nelle sagre – racconta nel manuale – era un mago perché aveva l’abilità di animare gli oggetti […] possedeva una voce tonante che riempiva lo spazio […] Perché con la parlata spigliata riusciva ad affabulare e a intrattenere un pubblico analfabeta. Perché burattinaio e spettatori facevano parte della stessa comunità, e avevano gli stessi sogni e bisogni, gli stessi problemi da dimenticare o su cui ridere. Ma questa figura d’artista non può tornare per il semplice fatto che non esiste più una comunità. Adesso ci sono gli spettatori.”
Un pubblico che, nel caso degli spettacoli della compagnia, è fatto sia di bambini, che di adulti. “I ragazzi sono molto critici, curiosi e appassionati. Lo vedo anche negli sguardi dei bambini alla fine: hanno capito tutto. Devi saper giocare e allora vedono che il loro gioco è qualcosa di serio. Capiscono che facciamo parte della stessa visione.” E gli adulti? “Loro ridono come dei matti, perché un po’ ritornano bambini e un po’ credono che la linea del boccascena, che forma questa realtà immaginaria, li possa incantare. È credere all’illusionismo.” E i bambini ritornano. “Li vedo crescere e sono loro che fanno tornare gli adulti.”

Non ha rimpianti Patrizio, che finito il Liceo Toschi voleva fare il guardiano di giardino zoologico. “Come artisti siamo il prodotto dei nostri errori, quindi se rimpangessi di aver fatto una cosa non sarei così, invece sono contento di come sono. È bello sbagliare, senza farsi troppo male.”
Sogni? Certamente, guai a non averne: un teatro di burattini, uno spettacolo fisso, non dover sempre montare e smontare tutto; qualche certezza in più. “È un mestiere anacronistico, ma è dura: perché un tempo c’erano luoghi che accoglievano i burattinai, i teatri della parrocchia, adesso non ci sono più”, spiega Veronica. Oggi in alcuni casi i burattinai lavorano e ricevono sovvenzioni tramite organizzazioni, come l’Unima, l’Unione Internazionale della Marionetta, ma non è il caso del Teatro Medico Ipnotico. “Non giriamo nei circuiti ufficiali. Abbiamo degli estimatori in varie parti d’Italia, ma non riceviamo nessun finanziamento.”
“Io vorrei un teatro stabile di burattini al Parco Ducale, essere un punto di riferimento”, dice Patrizio. “Vorrei un teatro così – indica la baracca alle proprie spalle – magari su ruote”. Non pensa nemmeno a fermarsi; non vuole, non può farlo. Speriamo non lo faccia.

 

di Duna Viezzoli
Regia, riprese e montaggio di Michela Benvegnù ed Enrico Nanni

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