Quando l’ansia “amica” diventa vera patologia, “Un pensiero fisso: morire”

TRA ORIGINE E CURE, PAROLA A SPECIALISTI E A CHI VIVE IN PREDA AGLI ATTACCHI

Sfatiamo fin da subito un mito: l’ansia non è nostra nemica. Anzi, il più delle volte è una nostra alleata. Potrà sembrar strano ma è così: la prima cosa da sapere, infatti, è che provare ansia in determinate occasioni rientra perfettamente nella normalità. Colloqui di lavoro, esami universitari, incontri importanti sono solo un esempio dei momenti in cui possiamo sperimentare uno stato emotivo che si manifesta talvolta con tremolii, sudorazione eccessiva o battito accelerato, sintomi che però ci consentono di rimanere svegli, attivi e pronti ad affrontare la prova davanti a noi. Nulla di cui preoccuparsi, dunque, si tratta solo di imparare a conviverci. Tuttavia, in alcune persone questa “ansia amica” si tramuta in qualcos’altro. Qualcosa di peggiore che può interferire in maniera invadente nella vita di tutti i giorni, rendendola impossibile.

QUANDO SI PARLA DI PATOLOGIA – Ed è in questi casi che bisogna intervenire immediatamente, come afferma Marta Viappiani, psicoterapeuta a indirizzo cognitivo-comportamentale, specializzata in psicoterapie brevi ad orientamento analitico che da 15 anni a Parma si occupa di ansia e attacchi di panico. “Con l’ansia la persona vive sensazioni molto intense di paura, un disagio come se ci fosse un pericolo imminente o un qualcosa che la fa vivere non nel benessere e nella serenità”, spiega innanzitutto la dottoressa. Ci sono diversi modi per capire quando queste sensazioni devono destare preoccupazione. Per essere considerata una patologia che necessita l’intervento di uno psicoterapeuta, infatti, “lo stato d’ansia deve essere continuo per almeno 6 o 8 mesi. Inoltre, le paure che si provano devono essere immotivate, non causate da eventi reali. Tantissime volte, ad esempio, si pensa che possa succedere qualcosa, che ci possa essere un pericolo dietro la porta quando in realtà non c’è”, aggiunge Viappiani, sottolineando come il nostro cervello in quei momenti non sia in grado di distinguere tra reale e virtuale. A queste paure seguono diverse risposte da parte del nostro organismo. “Interviene una scarica di adrenalina forte che si riversa nel sangue. Di conseguenza tutti gli organi, muscoli compresi, sono pronti o all’attacco o alla difesa. La persona può provare sudorazione eccessiva, senso di un nodo alla gola, tachicardia, tremori, senso di nausea, tensioni e dolori muscolari. Questi sintomi sono reali – afferma – non sono fantasie, e può intervenire addirittura il panico”. Ed è così che l’adrenalina nell’organismo diventa eccessiva, tramutando l’ansia in patologia. Non è difficile immaginare come un soggetto, in queste condizioni, possa provare un forte senso di spaesamento e confusione. E a volte non si reagisce nella maniera giusta. “Quando la persona sviluppa l’ansia – continua Viappiani – si dovrebbero attivare svariati processi e percorsi per capirne l’origine, invece molti si mettono a bere o a fumare. Però non bisogna attaccarsi a queste cose – sollecita la psicoterapeuta – le persone devono imparare a capire il perché dell’ansia, devono guardarsi allo specchio e chiedersi ‘perché sono così agitato oggi?’” Davanti a questi campanelli d’allarme è importante, anche se difficile, scavarsi dentro. “C’è sempre un motivo, l’ansia è una mia amica e sta dicendo che c’è qualcosa che non va”.

ORIGINE DELL’ANSIA E TRATTAMENTO – Il motivo dello stato ansiogeno può risiedere in un trauma che non è stato elaborato. “Se di fronte a un lutto, un divorzio o una separazione non ci si ferma a razionalizzare quanto accaduto, l’organismo si attiverà vivendo il fatto come un pericolo” dichiara Viappiani, che sostiene la necessità di intraprendere un percorso psicoterapeutico per accettare quanto accaduto. “Così si trovano le risposte, si capisce come mai si è entrati in questa condizione e l’ansia si placa”. Anche la familiarità può incidere sullo sviluppo dell’ansia. “Si può trattare di una labilità del sistema neurovegetativo che si ripresenta all’interno dell’albero genealogico del paziente, a volte si scopre che c’è una mamma, uno zio, un nonno che ha sofferto di esaurimenti, crisi depressive e attacchi di panico”, continua la psicoterapeuta. In entrambi i casi, l’iter da intraprendere è il medesimo. “Il primo passaggio dovrebbe sempre essere il medico di base, il secondo è farsi aiutare da uno psicoterapeuta – illustra Viappiani – il terzo passaggio è facoltativo, poiché sarà lo psicoterapeuta ad indirizzare il paziente, se necessario, da un neurologo che somministrerà dei farmaci“. Essendo l’ansia un problema di nervi, infatti, deve essere trattata specificatamente da un neurologo, e non da uno psichiatra che, precisa Viappiani “cura le malattie mentali, e l’ansia non lo è”. Il lavoro dello psicoterapeuta (in cui rientrano tecniche di rilassamento) unito all’aiuto dei farmaci facilita quindi la persona ad uscire dallo stato ansiogeno, portando a graduali miglioramenti.

I DIRETTI INTERESSATI  Spesso, quando si parla d’ansia si tende a confondere quella comunemente definita come ‘ansia da prestazione’, da quella dovuta alla patologia, che può comparire anche quando meno te lo aspetti, in momenti di massima tranquillità, finendo per provocare crisi di panico. Sanno bene la differenza le moltissime persone che soffrono di questo disturbo e ci convivono talvolta sin dalla più tenera età. “Avevo soli sei anni – racconta Maria – quando è comparsa l’ansia. Improvvisamente, avvertivo che il petto cominciava a bruciare, quasi come se stesse prendendo fuoco, e il dolore allo sterno mi rendeva molto difficile la respirazione. Inizialmente non capivo cosa fosse. La frequenza e la durata degli attacchi poteva essere varia: a volte andavano avanti per 4/5 giorni fino a manifestarsi in una crisi ancora più grande; oppure non mi accadeva nulla per due o tre mesi.” E’ all’età di 8 anni che Maria, oggi ventitreenne, ha cominciato ad andare in cura da uno psicoterapeuta, per lei indispensabile per capire di che cosa si trattasse nello specifico. “Passare del tempo completamente sola – spiega – rappresentava per me una grande difficoltà; se fossi stata preda di un attacco di panico, era necessaria la presenza di qualcuno che fosse a conoscenza della mia situazione, dal momento che reagire e mantenere il controllo era impossibile”. Ancora oggi è costretta a fare i conti con questo problema che, seppur in misura ridotta, talvolta riappare, pronto a infliggerle nuovamente dolore. “Chiaramente – continua la ragazza – la patologia ha influito moltissimo sulla mia vita e anche sulle mie relazioni interpersonali. Per molti anni mi sono stati somministrati diversi medicinali, la maggior parte dei quali, essendo psicofarmaci, non mi permettevano di condurre un’esistenza ‘normale’. Era come se vivessi in balia degli eventi. Talvolta mi era perfino difficile distinguere la realtà dalla finzione”.

A raccontarci la sua esperienza è anche Valentina, oggi ventunenne, anche lei tormentata dall’ansia durante l’infanzia e l’inizio dell’adolescenza. Probabilmente qui, ad avere un peso non trascurabile, è la componente genetica. Non è la sola, infatti, all’interno della sua famiglia a soffrire di ansia, anche il padre ne è affetto ormai da diversi anni. “Provavo vergogna, – racconta – paura del giudizio altrui, difficoltà ad allontanarmi da mia mamma. Lei era l’unica persona vicino alla quale riuscivo a sentirmi protetta”. Valentina parla delle difficoltà riscontrate nello stare a contatto con gli altri, nell’interagire a scuola, della paura di essere additata come “diversa”. Inizialmente anche lei non si era resa conto di quale fosse la natura di tali inquietudini, sensazioni talmente negative che la portavano ad isolarsi completamente dal resto del mondo. “Pensavo – continua Valentina – si trattasse solo di ‘ansia da prestazione’; solo dopo, con l’aiuto di una specialista, sono arrivata a comprendere la portata del problema”. Durante gli anni della scuola elementare, era seguita da una psicologa per bambini, sostituita poi da una psicoterapeuta. “I periodi peggiori – spiega la ragazza – sono stati sicuramente la prima e la seconda media; ero colpita da attacchi di panico tutti i giorni, spesso anche più volte nell’arco di sole 24 ore. Ogni volta il pensiero fisso era uno: morire, credere di non farcela. Il cuore cominciava a battere fortissimo, il respiro diveniva corto, spesso completamente nullo. Le mani erano tutte sudate, il corpo tremava, a regnare sovrane erano la nebbia e la confusione più totale.” Una totale sensazione di negatività impossibile da controllare, finchè pian piano, con l’aiuto di uno specialista, ha imparato a riconoscere gli attacchi e a gestirli. Nonostante con il trascorrere del tempo il fenomeno sia rallentato, si tratta di una patologia dalla quale difficilmente si guarisce del tutto, una disfunzione che tende a ripresentarsi anche in futuro, a seconda delle circostanze in cui ci si trova coinvolti.

Quando gli attacchi si presentano in età adulta, spesso sono invece causati da un accumulo di vicende lasciate in sospeso. Un insieme di preoccupazioni, dispiaceri che, per forza di cose, non siamo più in grado di controllare. E’ questo il caso di Anna, donna oggi di 64 anni, che ci racconta di come, alle volte, si ha solo necessità della comprensione e dell’aiuto di qualcuno. “Ero per strada, probabilmente ad una festa di paese, ora non ricordo bene – racconta – ; c’era tantissima gente, forse troppa per quel momento. Improvvisamente mi sono sentita in preda al panico, non riuscivo più a respirare, dovevo uscire immediatamente da quell’enorme folla di persone da cui mi ero inghiottita. Quello fu il primo campanello d’allarme.” Da quel periodo, pochi giorni dopo la separazione del marito, Anna è stata vittima di attacchi sempre più accentuati in seguito alla morte della madre. Momenti “tra i più terribili mai vissuti”, piccoli attimi in cui a prevalere è la convinzione di non uscirne vivi. “Mi sentivo soffocare, come se qualcuno mi stesse strangolando, provavo repulsione verso ogni tipo di ambiente chiuso. Durante quell’intervallo di tempo che spesso durava anche per più di cinque minuti, non ero in grado di pensare a nulla, la mia mente era completamente offuscata”. Fondamentale, anche nel suo caso è stato l’aiuto di una psicoterapeuta, con la quale la donna è riuscita a far emergere questioni rimaste irrisolte sin dalla sua infanzia. “Inizialmente – prosegue Anna – mi era stato detto di assumere una serie di psicofarmaci, che però poi ho dovuto sospendere per l’effetto che avevano su di me. La mia mente era abitata da pensieri totalmente negativi, mi sentivo distante dal mio corpo, come se non potessi essere padrona di me stessa.” Con il passare del tempo e soprattutto con l’aiuto della specialista, gli attacchi sono cominciati a diminuire, ma ancora oggi non sono del tutto debellati.

Benché si tratti di esperienze molte soggettive, c’è sempre un motivo, una causa prima scatenante a monte di qualsiasi stato patologico di questo tipo; è con l’aiuto di uno psicoterapeuta che diviene possibile, se non eliminarlo completamente, quanto meno provare a controllarlo.

 

di Chiara Micari e Nicole Bianchi

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