L’appello alla politica di una giovane fannullona italiana

NON CERCHIAMO UN REDDITO MA LE OPPORTUNITA' PER POTER ESSERE LIBERI

Lo sport più di tendenza in Italia non è più il calcio ma la recrimanazione verso i giovani. Il ‘nuovo’, in un Paese ormai stantio, porta con sé il più pericoloso fra i mali: la promessa di una rivoluzione che, laddove è tutto insudiciato, deve essere estinta alla prima scintilla. Concedere spazio e considerazione ai giovani non è, infatti, prerogativa italiana. Le generazioni che ci precedono si tengono forte i loro privilegi e il posto fisso dei nostri padri è ormai utopia. Quel che è peggio è che siamo stati educati a credere che questa sia una realtà incontrovertibile.

Il successo riscosso dai Cinque Stelle nelle scorse elezioni è stato nuovo pretesto di sfiducia verso i giovani (meridionali). Pare, in base a chi o a che cosa non ha importanza, che (al Sud) la gente abbia votato M5S invogliata dal reddito di cittadinanza. L’apparenza vuole condannare il ripiegamento politico degli elettori (giovani meridionali) come una forma di comoda arrendevolezza sociale. Questo il panorama dipinto per tutti quelli che, secondo i più, hanno scelto la strada facile pensando al proprio rendiconto. Si è votato per ottenere i soldi necessari a poltrire, insomma, nonostante sia stato più volte spiegato, a torto o a ragione, che questo benedettissimo reddito non sia pensato né tantomeno in grado di far vivere a scrocco tutti i nullafacenti d’Italia. E se all’Italia tutta non vogliamo riferirci, allora tanto vale parlare del Mezzogiorno, designato capro espiatorio. Potrebbe funzionare, potrebbe non funzionare: il punto è che nessuno dei ragazzi del sud pensa sia la soluzione per il suo futuro.

Lo scrittore Pino Aprile, esperto della questione meridionale, sintetizza così le condizioni alla base di una scelta elettorale che di scelta ha ben poco:

In dieci anni lo Stato italiano ha sottratto al Meridione 850 miliardi di euro. Ogni anno i governi centrali assegnano al Sud , rispetto al Nord, 6 miliardi e mezzo in meno per gli investimenti. È in corso un saccheggio epocale, anche di risorse umane. Ogni anno vanno via almeno 50mila giovani meridionali che qui sono nati, cresciuti, hanno studiato e si sono formati: un impoverimento di uomini e valori.”

Io che scrivo faccio parte di quei 50mila giovani meridionali andati via. La mia, come per moltissimi altri, non è una questione di povertà ma di libertà. Due concetti interscambiabili tra loro se parliamo di costi. La libertà ha un prezzo e la povertà è il debito che uno Stato ha con i suoi cittadini per la privazione di quella stessa libertà. Io, ad esempio, non sono stata libera di restare a casa mia per poter fare quello che volevo: la specialistica che avrei voluto, le opportunità di lavoro che cerco. Il mio Paese non mi ha concesso questo lusso.

Garantire a chi è in difficoltà un supporto finanziario non è certo cosa da poco, ma non basta. Da studentessa (e da meridionale) pretendo di più. Ho fame di opportunità, di lavoro e anche un po’ di speranza. Sono stanca di un’Italia in cui, alle lauree, si brinda inneggiando con amara ironia a una futura e certa disoccupazione. Stanca di un Paese che guarda alla mia generazione con sufficienza e sospetto. Stanca di un’Italia diffidente nei confronti del nuovo, dei giovani, del futuro. La pena per questo Paese è stata la perdita di una libertà che nessun reddito è in grado di risarcire.

Non voglio avere 30 anni ed essere costretta a ripetere ad altri quello che mi sono sentita dire milioni di volte: “Va’ via dall’Italia che è meglio”. Voglio avere la libertà di scegliere cosa fare, e preferibilmente, a casa mia. Voglio un Paese in cui il lavoro non sia una chimera e in cui un reddito di cittadinanza non si trasformi in un’arma politica per screditare i giovani.

Certo, quello che voglio io è irrilevante, ma la volontà di una generazione ha il diritto di essere pesata. Come me, tanti sono i giovani operosi, pronti al riscatto, in attesa di una possibilità che dia modo di distinguerci da quei fannulloni giovani italiani tanto decantati.

Aristotele chiedeva alla politica di realizzare la felicità dell’uomo. Non basta avere i soldi per sopravvivere per essere felici. Non serve a niente rimettere in moto l’economia se non si investe anzitutto nei giovani, nei sogni e nella dignità del lavoro in quanto strumento sociale oltre che politico. Non pretendiamo tanto quanto Aristotele dallo Stato, ma auspichiamo che esso ci conceda i mezzi per guadagnarci la dignità per vivere.

 

di Vittoria Fonzo

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