HumaniSea Challenge: la ricerca si fa nomade per studiare l’immigrazione

IN BARCA PER 7 MESI NEL MEDITERRANEO PER INCONTRARE ESPERTI, ONG E MIGRANTI

Da emergenza a fenomeno strutturale, l’immigrazione sta cambiando i lineamenti demografici delle singole città e dei Paesi, ridefinendo lo scacchiere geopolitico dell’Europa e non solo. È uno dei temi che occupa più spazio nel dibattito della nostra società: sui giornali, nei salotti televisivi, nelle campagne elettorali ma anche a livello accademico. Ricercatori di svariate discipline cercano di tracciare una linea per definire un fenomeno estremamente complesso. È il caso del progetto di ricerca HumaniSea Challenge che vede attualmente impegnato all’Università di Parma Thomas Leclerc come visiting researcher. Il progetto, svolto in collaborazione con il Centro Studi in Affari Europei e Internazionali dell’Università di Parma, è stato al centro di un incontro, il 12 marzo nell’aula Bandiera della Sede Centrale, presentato dalla direttrice del Cseia, Laura Pineschi. Tema principale è l’immigrazione nel Mediterraneo, ma la novità è il modo in cui il progetto verrà condotto: su una barca a vela.

LA SPEDIZIONE – Ideatori di HumaniSea Challenge sono Thomas Leclerc, dottore di ricerca in Diritto internazionale alle Università di Bordeaux e Leida, e Antoine Clément, capitano di navi mercantili e diplomato all’Ecole Nationale Supérieure Maritime. “Come si può intuire, veniamo da diversi ambienti, ma abbiamo alcune cose in comune: amiamo viaggiare, navigare ed esplorare”, spiega Thomas Leclerc rivolgendosi al pubblico in inglese. “Vogliamo farlo non solo per il piacere di navigare, ma anche per poter esplorare, analizzare e riflettere su una sfida del nostro tempo”, continua. Prendendo spunto da un altro progetto di ricerca, il Tara Expedition, una missione scientifica con il fine di comprendere l’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi, è nata così l’idea di applicare questo stesso metodo allo studio sull’immigrazione.
Al centro vi sarà il Mediterraneo, da Marsiglia passando per Cipro, fino allo stretto di Gibilterra. Durante la prima fase del progetto, Leclerc è stato ospite del Cseia dell’Università di Parma per approfondire il tema da un punto di vista teorico. Da aprile, i due esploratori viaggeranno per sette mesi (fino a novembre 2018) e faranno diverse tappe durante le quali incontreranno altri ricercatori di scienze umane e sociali. “Parliamo di storia, filosofia, legge, geografia, antropologia, economia. Il punto è voler creare un centro di ricerca nomade dove poter discutere di questo tema ricollegandosi alle varie discipline“, spiega Leclerc.

Diversi punti di vista, diversi approcci, soprattutto diverse esperienze sul campo. L’idea di staccarsi dall’ordinario approccio scientifico nasce dall’esperienza diretta di Thomas come dottorando: “Quando lavoravo a Leida ho seguito diverse conferenze in giro per il mondo e sono arrivato ad una conclusione, del tutto personale: quando partecipi a questi eventi, prendi un aereo, arrivi alla conferenza che di solito si svolge in un hotel, trascorri una notte lì; se sei abbastanza fortunato partecipi ad una cena e il giorno dopo torni indietro”. Diventa difficile rendersi conto di dove ci si trova, vedere con i propri occhi ciò che ci circonda. Soprattutto, non si ha tempo di riflettere su ciò che si è ascoltato.
Viaggiare in barca vuol dire invece restare per lunghi periodi lontani da tutto il resto, con la possibilità di fare un passo indietro per analizzare ciò che ci viene descritto prima di ripiombare nella routine quotidiana. “Il nostro obiettivo è tornare alle origini, alla spedizione via mare e portare a bordo altri ricercatori, invitandoli a discutere con noi delle loro ricerche”, aggiunge Leclerc. “Vogliamo che sia il centro di ricerca a spostarsi verso il luogo in cui il ricercatore lavora, non che siano loro a doversi ritrovare in un posto fisso”.

Sono quattro i ricercatori che hanno accettato di partecipare alla spedizione: Martina Buscemi , ricercatrice post- dottorato in diritto internazionale all’Università di Firenze; Elena Carpanelli, ricercatrice post- dottorato in diritto internazionale al Centro Studi in Affari Europei e Internazionali di Parma; Adrien Foucher, dottorando francese in geografia all’Università di Tours e Paloma Maquet, dottoranda francese in geografia all’Università di Poitiers. Durante la traversata si aggiungeranno altri ricercatori e un tassello importante del viaggio saranno anche le testimonianze di volontari delle Ong impegnati nelle operazioni salvataggio nel Mediterraneo e ovviamente i migranti stessi che la squadra di ricerca incontrerà.

La spedizione via mare si ricollega anche ad un altro aspetto, storiograficamente più recente: “L’uso della barca come mezzo per emigrare ha portato negli anni 80′ alla nascita di un termine specifico per indicare questi migranti: ‘boat people‘. La prima volta venne usata negli anni ’80 per indicare l’esodo in massa dei vietnamiti durante la guerra. Negli anni ’90 per descrivere, invece, le migrazioni dall’Albania, Cuba o Haiti. Questo fenomeno di persone che prendono il mare alla ricerca di un luogo sicuro o condizioni di vita migliori non è nuovo”, afferma il capitano Clément. L’imbarcazione a vela, una ‘checchia’ con due alberi chiamata l’Incroyable, diventa uno strumento per capire, unire i punti per cercare delle risposte. Dieci metri di lunghezza, capace di ospitare fino a 5 persone, con due cabine e una zona comune dove poter lavorare.

DIVERSE DISCIPLINE, UN SOLO TEMA – L’immigrazione è un fenomeno difficilmente ascrivibile a una sola causa, troppi sono i fattori in campo. Da qui l’esigenza di un approccio interdisciplinare. “Viviamo in un modo di competenze e quando qualcuno diventa esperto riguardo a un particolare tema, è sempre impressionante trovare qualcun altro con una conoscenza enciclopedica. Qualcuno capace di discutere di storia, filosofia o geopolitica saltando da un tema all’altro. Non è qualcosa che tutti riescono a raggiungere – sottolinea Clement – ma quello che noi vorremmo fare è di incontrare altri esperti e scambiarsi reciprocamente punto di vista“.

Il dibattito prenderà forma anche su una piattaforma online, ‘Inc-o-Lab’, dove verranno caricati articoli e contributi di vario genere per raccontare il progetto in corso. “Vogliamo condividere la nostra esperienza con più persone possibili. Cerchiamo di perseguire l’obiettivo di ‘divulgare’. Non possiamo diffondere il sapere usando ad esempio la mia tesi di dottorato da 600 pagine, sarebbe difficile da leggere senza addormentarsi!”, scherza Thomas. Una volta al mese verrà pubblicato anche un podcast. “È molto interessante perchè ascolti il ricercatore come se stesse parlando con te bevendo un caffè. Nel podcast ogni autore parlerà di un tema specifico collegato all’immigrazione e del suo approccio di ricerca“. Il fine è anche quello di dare a chiunque a possibilità di capire, allontanando dal dibattito le cosiddette fake news. “Essendo anche accademici, cercheremo di basarci sempre su fatti avendo un approccio di ricerca, ma quando leggerete i contributi, vedrete che non sarà un normale articolo accademico, anche ci sarà comunque sempre una lista di fonti”, sottolinea Lerclerc.

LO SCOGLIO DELLE DEFINIZIONI – “Molte persone usano l’espressione  ‘refugee crisis’ (crisi dei rifugiati), ma io e Antoine non ne siamo molto entusiasti – spiega Lerclerc -. Quando parliamo di immigrazione, si possono usare termini come ‘migranti’, ‘rifugiati’, ‘sfollati’ e altre. Si prende una categoria e la si divide in ulteriori sottocategorie“. Il termine migranti contiene al suo interno innumerevoli altri concetti, un insieme così grande da non avere una definizione legale sempre precisa. A seconda dei criteri che si usano, si analizzerà solo una parte del fenomeno: migranti internazionali o interni, se si usa un criterio geografico; migranti di lungo periodo o breve periodo se ci si basa sul fattore tempo. “È basilare che il punto di partenza di ogni discussione sia chiarire le definizioni. Sono certo che buona parte della nostra ricerca sarà proprio una discussione su questo tema”, sottolinea Leclerc.

 

di Carlotta Pervilli

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