Un ‘Atomo di verità’ nella storia italiana: Damilano racconta Moro

A QUARANT'ANNI DAL RAPIMENTO BR, IL DIRETTORE DELL'ESPRESSO PRESENTA IL SUO NUOVO LIBRO

Il 19 marzo, a pochi giorni dal quarto decennio della morte di Aldo Romeo Luigi Moro, noto semplicemente come Aldo Moro, Marco Damilano, giornalista e direttore de L’Espresso, ha voluto ripercorrere quel 16 marzo 1978 a un pubblico attento che si è ritrovato nell’aula magna del Liceo Artistico ‘Paolo Toschi’.
Il suo libro ‘Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia’, edito da Feltrinelli, parte dall’incrocio romano tra via Fani e via Stresa dove è avvenuto l’agguato da parte delle Brigate rosse mentre Moro si dirigeva verso il Parlamento nel giorno di presentazione del nuovo Governo di Giulio Andreotti. “Per me –  confessa il Direttore de L’Espresso -l’incrocio tra via Fani e via Stresa, era ed è un incrocio familiare in cui mi fermavo ogni giorno col pulmino prima di andare a scuola perché lì abitava un bambino. Così alle 8.40 di quel 16 marzo 1978, mentre noi aspettavamo quel bambino che scendesse dal palazzo, situato proprio di fianco quella siepe dove si erano appostati due dei quattro brigatisti, questi aspettavano Moro. Questo libro, lo volevo scrivere da sempre perché incrocia la mia vita, infatti questa volta, rispetto al resto dei miei articoli, scrivo in prima persona.”

La vicenda Moro fu raccontata sia dagli ex-terroristi – che ne avevano fatto una sorta di autocelebrazione –  e sia dai politici – che hanno raccontato la dinamica del Palazzo, scosso, dal sequestro del suo principale esponente.  E’ stata raccontata molto meno, invece,  alla luce delle vittime, dando poca voce alle loro famiglie ed è stata raccontata ancora meno dalla parte di noi cittadini italiani, che seppur indirettamente, quel giorno, abbiamo tutti perso qualcosa. Quindi il mio libro racconta un viaggio – sia fisico che temporale –  per capire cosa abbiamo perso in quei giorni e come possiamo in qualche modo ritrovarlo.” Fondamentale per la stesura di questo testo è stato il Centro documentazione Archivio Flamigni onlus a Oriolo Romano (VT). Il suo non è un libro sul caso Moro – già scritto, a suo dire, da altri sicuramente più preparati di lui – infatti non si sofferma su i misteri legati al caso perché il suo obiettivo non è ricostruire il perché o il come è stato ucciso ma cosa ciò ha provocato sul piano politico nazionale ed europeo.

Dopo via Fani, secondo Damilano, comincia la lunga fine della Prima Repubblica. Il libro è un racconto autobiografico che non parla solo del sequestro e assassinio di Aldo Moro ma attraversa la dissoluzione della Democrazia Cristiana, la morte di Berlinguer, la caduta del Muro, Tangentopoli e la latitanza di Craxi in Tunisia, interessandosi anche ad altre figure intellettuali che, seppur marginalmente, hanno punti in comune con Moro, come Sciascia e Pier Paolo Pasolini, fino all’ultima stagione inaugurata dalla sua metafora televisiva: il Grande Fratello.

In ‘Un atomo di verità’, Damilano immagina di accompagnare Moro in un viaggio nei quarant’anni successivi alla sua morte cercando di fare ordine tra i tantissimi documenti rinvenuti ma ancora troppo confusi.

Parole centrali nella vita di Moro sono state: libertà e giustizia. “Moro è quella persona che, in piena crisi di governo -nel gennaio 1976 – invece di pensare ai problemi di Stato, teneva le sue lezioni universitarie sulla pena di morte e su quanto questa fosse sbagliata e lo fa, tenendo seguendo i criteri di una vera e propria lezione giuridica. Ciò è solo uno degli esempi che ci fanno capire quanto Moro ci tenesse alla formazione dei suoi studenti, lo fa con un linguaggio chiaro e concreto rivolgendosi ai suoi studenti con toni chiari e amichevoli”. Damilano, per spiegare la politica di Moro riporta poi una delle sue citazioni, scritte nero su bianco dall’allievo, poi collega del politico, Francesco Saverio Fortuna: “Occorre avere una professione prima di fare politica perché il vero politico non può e non deve essere ricattabile”.

Guardando le quindicimila foto che l’archivio Flamigni ha caricato sul suo sito, in occasione della mostra virtuale allestita per il centenario della nascita di Moro, dal titolo ‘Immagini di una vita’, Damilano fa notare come Moro – forse perché figlio di maestri che gli avevano  trasmesso un particolare senso del decoro – si presentava davanti la stampa sempre in giacca, cravatta e doppiopetto scuro: “Quella di Moro è una politica che vuole tenere in equilibrio la penisola, senza distinzione tra nord e sud, impegnandosi a favorire uno sviluppo economico e industriale del Paese in un clima di cambiamento come gli anni ’60 e ’70, e lo fa cercando di introdurre nel suo governo democristiano – proprio quel 16 marzo 1978 – politici di sinistra senza passare dai big mondiali  quali Usa e Unione Sovietica.”

Una parte importante del libro è dedicata alla questione sul Memoriale di Moro, un testo che non è stato mai ritrovato l’originale ma che si presenta comunque come un importante testo politico. Nonostante la sua prigionia, Moro ci fa capire quanto era consapevole di tutto di ciò che gli stava accadendo intorno, parlando, nelle sue lettere pubblicate solo parzialmente, anche dei rapporti tra l’Italia e l’America e del rapporto tra Stato ed editoria: “Ciò che mi inorridisce – spiega Damilano  – è quell’atteggiamento di omertà da parte di chi sa ma non dice nulla e quell’autocelebrazione delle Brigate rosse nell’aver combattuto una guerra che nessuno ha mai dichiarato […]. Ciò che è importante è strappare quella loro immagine di rivoluzionari che hanno combattuto per nobili motivi, che in realtà, non avevano nulla di nobile.”

Per il giornalista romano, il peggior nemico di Moro fu proprio quella destra profonda che cercava di distruggerlo non solo come politico ma come essere umano, con lo Stato che non fece nulla nulla per evitare la sua morte. A poco è valso l’intervento di papa Paolo VI, che il 13 maggio officiò una solenne celebrazione funebre per il suo amico e alleato. Cerimonia che venne però celebrata senza le esequie di Moro, per voler esplicito della famiglia che non si sentì protetta dalla politica. L’unico gesto dello Stato fu quello di Oreste Leonardi, capo della scorta, che fece scudo col suo corpo nel vano tentativo di proteggere Aldo Moro.

Un viaggio nella storia lungo quarant’anni pieno di dubbi irrisolti, compresa la posizione delle Brigate rosse che non esplicitarono mai richieste in cambio della liberazione del politico pugliese.

“Moro è un uomo destinato al potere – conclude Damilano – che ha identificato la politica in sé stesso, eppure, nei suoi articoli giovanili, affermava che ‘bisogna andare al di là della politica, perché la politica non racchiude in sé tutta la ricchezza dell’essere umano‘.”

 

di Marilina Leggieri

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