Giù la maschera: com’è la vita degli artisti di strada?

STORIA DI CHI NE HA FATTO UNA VITA E DI CHI "HA TROVATO UN LAVORO VERO"

Mangiano il fuoco o le spade, raccontano storie, incantano con  musica e disegni e perfino con la magia. Artisti di strada, tanto bizzarri quanto affascinanti. The Leading Guy, cantautore folk artisticamente nato per le strade d’Europa e oggi conosciuto sul piano nazionale e internazionale, svela l’essenza più profonda e romantica dei buskers: “L’importante non è chi sei o da dove vieni, ma cosa mi stai comunicando in quei pochi attimi in cui mi fermo a osservarti. Penso che proprio in questo scambio sottile risieda la bellezza dell’arte di strada. È unica per questo motivo, è una biografia in istantanee. Sulla strada non hai storia, puoi essere semplicemente qualsiasi cosa desideri“.

Al di là però dello stereotipo che spinge a immaginarli come dei viaggiatori dall’indole sognante, della vita degli artisti di strada si conosce relativamente poco.  Non si sa neanche bene chi siano, in realtà, questi buskers: possono essere dei senzatetto che provano a racimolare qualche soldo con le proprie capacità senza cedere alle lusinghe della malvivenza, ma anche viaggiatori di passaggio che chiedono un contributo per riuscire a girare il mondo mantenendosi esclusivamente con la propria arte.
È il caso del giapponese Keiichi Iwasaki, balzato agli onori delle cronache qualche anno fa: partito da Tokyo nel 2002 con l’equivalente di 1,50 euro in tasca, riuscì ad arrivare in bicicletta fino in Italia dopo aver scalato l’Everest e vissuto altre avventure incredibili nel corso di un viaggio durato oltre dieci anni. L’artista giapponese, stabilitosi per qualche tempo nel nostro Paese, con le sue abilità di prestigiatore guadagnò persino la semifinale di Italia’s Got Talent 2016.

In certi casi i buskers sono invece più vicini di quello che pensiamo: molti di loro, per esempio, sono semplici studenti di musica o teatro che, concluse le lezioni, decidono di esibirsi per strada per maturare esperienza, come ha fatto Simone, giovane studente del conservatorio: “Suonare nelle vie è una grande prova per un artista, incontri mille persone che suonano con te e ti confronti con loro”, racconta. “Conoscersi per strada è molto utile perché permette di creare contatti e di comprendere nuove realtà. Anche quelli che non hanno mai studiato hanno un metodo incredibile, e da queste persone impari un sacco di cose. Suonare per strada, per alcuni, diventa anche una prova: quando hai un progetto nuovo e vuoi vedere se funziona, vai prima per strada e lo proponi alle persone comuni. Se alla gente piace, puoi riutilizzarlo anche nei locali e ai festival di musica. Per me non è un lavoro, anche se mi capita di guadagnarci qualcosa”.

Enzo, originario del Salento, ha iniziato a fare il giocoliere per conciliare il divertimento e la necessità. Con il tempo, però, il mestiere è diventato anche il suo stile di vita: “Ho 39 anni e faccio questo lavoro da quando ne avevo 19. La mia disciplina circense preferita è la giocoleria.” L’esperienza di Enzo è cominciata per un puro caso: “Sapevamo giocare col diablo e, trovandoci a un festival di artisti di strada nel profondo Sud, ci intrufolammo in una postazione vuota per provare a fare il nostro numero e guadagnammo 15mila lire. Il giorno dopo, ne guadagnammo 80mila. Finì che decidemmo di continuare l’avventura, sfruttando qualsiasi occasione ci capitasse in Puglia, dopodiché iniziammo sessioni di lavoro e allenamenti più assidui per poter alzare il nostro livello artistico.”
Anche la compagna di Enzo, Monica, fa l’artista di strada. Questa condivisione, secondo il giocoliere, ha reso più semplice la loro situazione di coppia: “Rispetto a tante altre storie, per noi è più facile perché stiamo sempre insieme e abbiamo gli stessi interessi. Le difficoltà naturalmente esistono, ma sono compensate dalla bellezza del nostro stile di vita: totale mancanza di abitudini e posti sempre diversi aiutano a scoprire tante cose e a incontrare belle persone. L’inverno è il momento ideale per rifiatare e dedicarsi alla creazione di nuovi progetti, nelle stagioni più calde ci dedichiamo ai viaggi e agli spettacoli”.
E di viaggi, in effetti, Enzo ne ha fatti davvero tanti: “In questi vent’anni ho girato non soltanto il Sud e l’Italia, ma anche l’Europa. I viaggi decisivi per la nostra carriera sono stati quelli con i progetti europei in Repubblica Ceca e i festival di promozione in Belgio e in Francia: qui, più che promuoverci, siamo riusciti ad assorbire nuove idee che ci hanno portato a rinnovarci profondamente dal punto di vista artistico”.
Della vita degli artisti di strada, però, si dice anche che non sia fatta per tutti. Non è l’opinione di Enzo: “Io sono sicuro che ognuno di noi è un potenziale mago, clown o giocoliere. L’errore sta nel credere che il talento sia fondamentale perché, in realtà, a fare davvero la differenza sono il sudore e l’allenamento. Queste due cose, insieme, valgono il 99% del risultato finale.”

Che sia per ragioni artistiche o per la naturale instabilità di fondo che la vita sulla strada comporta, tra i buskers c’è anche chi non ce l’ha fatta. Come Francesco, chitarrista di 26 anni che ha dovuto rinunciare all’idea di vivere della propria arte dopo aver constatato che questa non gli permetteva di costruirsi un futuro. Una decisione maturata in seguito a una presa di coscienza durata mesi, se non anni: “Ci sentivamo diversi da tutti gli altri e volevamo gridarlo al mondo, così abbiamo messo su una band e cominciato a viaggiare e suonare. Dopo l’entusiasmo dei primi anni, però, le cose hanno iniziato a non funzionare più. Noi non siamo mai stati in regola e un paio di volte sono venuti i carabinieri a prenderci il nominativo, altre volte siamo stati semplicemente cacciati via. Poi c’è tutto il discorso dei diritti d’autore, perché se vuoi suonare canzoni fatte da altri devi pagare una tassa annuale alla Siae oppure sperare che l’artista in questione abbia autorizzato i musicisti di strada a eseguire cover delle sue canzoni.
Credo però che le cose abbiano smesso di funzionare quando ci siamo resi conto di non essere poi così ribelli, così diversi dagli altri. Mostrare il nostro anticonformismo è diventato meno appagante. E, paradossalmente, è stata proprio la strada a insegnarcelo: tra le migliaia e migliaia di persone che ci sono passate davanti, molte ci assomigliavano. Io stesso mi sono abituato all’idea di non essere diverso abbastanza, mi sono fidanzato, ho iniziato a sentire un bisogno di stabilità che non c’era mai stato prima. Ho smesso di viaggiare e trovato un lavoro vero perché mi servivano soldi e le occupazioni saltuarie non potevano più bastare. Forse non era la vita adatta a me oppure sono semplicemente cresciuto”.

Ma com’era la vita da busker di cui non ha più voluto saperne? “Capitava che i miei genitori non avessero notizie per giorni e giorni. Se ci spostavamo in un’altra città, il più delle volte lo facevamo in autostop e non era facile trovare un veicolo abbastanza spazioso, considerando che eravamo tre e in più avevamo con noi gli strumenti. Più avanti, dopo aver preso la patente, abbiamo iniziato a guidare a turno la macchina di un nostro amico. Prendevamo autobus o treni soltanto nei casi estremi. Una volta arrivati in città, cercavamo un buon posto per suonare e ci mettevamo all’opera, cercando di racimolare dei soldi che poi dividevamo in parti uguali. Era come essere in tournée, solo che il nostro palcoscenico era la strada e non eravamo ricchi come i cantanti di professione, anzi, per risparmiare ci capitava persino di dormire in tenda o in macchina. A volte trovavamo ospitalità da qualche conoscente o tramite il couchsurfing, ma chiaramente non era una soluzione che poteva durare per troppi giorni. Altre volte andavamo negli ostelli della gioventù o cercavamo qualcosa di conveniente, soprattutto in inverno. Per il cibo ci arrangiavamo allo stesso modo: puntavamo sulla sostanza e sul risparmio, ma ci è capitato anche di andare alla Caritas. Non è che ne vada fiero, adesso. Semplicemente lo facevamo perché ci illudevamo di poter vivere liberamente, facendo unicamente quello che ci piaceva e che ci rendeva felici, senza magari trovare un lavoro noioso o diventare abitudinari. Alla lunga, però, non può funzionare. Se non riesci a farne un lavoro, e molti non ci riescono, devi guardare in faccia la realtà e fare un passo indietro per andare avanti”.

di Duna Viezzoli e Alessandro Caltabiano

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