Scusate se voglio fare il giornalista

UN PARZIALE SPACCATO SULL'EDITORIA (?) 4.0, TRA TEMPI SERRATI, DUBBI ETICI E ARTICOLI SCADENTI.

Ho quasi 25 anni, e dopo aver frequentato ParmAteneo ho trovato lavoro in una piccola – eufemismo – redazione, 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana, guadagno più o meno 1000 euro al mese, vivo con mezzo affitto pagato dai miei genitori e riesco a mettere via qualcosa mensilmente.

Questo è il contesto.

L’altro giorno, verso le 16.30, il mio responsabile è arrivato in ufficio, mi ha rimproverato per non aver pattugliato un argomento che sarebbe stato trattato in serata durante un programma televisivo. Noi le consideriamo News, occupano uno o due articoli al giorno e sono studiate per avere il miglior posizionamento possibile sui motori di ricerca, Google in primis. La giornata lavorativa sta già volgendo al termine, manca un’ora prima di poter mollare, è un mese che salto più o meno completamente la pausa pranzo per riuscire a fare tutto con un minimo di calma, ma mi piace l’idea di uscire sempre con lo stesso numero di pezzi e credo piaccia anche al mio responsabile.

Ho un’ora a disposizione, apro cinque o sei nuove tab sul browser, cerco una rosa più eterogenea possibile di fonti on-line, mi barcameno scegliendo a primo acchito quelle che sembrano più valide. In poco meno di un’ora scrivo l’articolo, concepito per massimizzare la possibilità di essere SEO friendly, trovo le immagini, rapida modifica su Photoshop e carico tutto sul backend del portale. Google ci indicizza in meno di 10 minuti. Riesco a non fermarmi oltre a lavoro.

Scusate se voglio fare il giornalista

Il giorno dopo in redazione squilla il telefono, è un ufficio stampa, quello che si occupa dell’argomento trattato nell’ultimo pezzo pubblicato. Chiedono un responsabile, passano a me il telefono, l’articolo non era firmato ma mentre mi spiegano che lavoro di merda ho combinato non riesco a mentire, confesso di averlo scritto io. Sottolineano quanto è grave che non abbia fatto richiesta a loro, che mi sia fidato di cose scritte on-line magari dal primo scappato di casa, mi intimano di fare le dovute correzioni il più velocemente possibile.

La telefonata ha l’effetto di un pugno nello stomaco, sento di aver tradito quel pezzo di me stesso a cui piaceva così tanto pensarsi giornalista e, forse soprattutto, ama condividere storie. Chiamo il mio responsabile con la morte nel cuore, racconto tutto e ogni cosa va per il meglio. Mi spiega come il fatto che se la siano presa così tanto restituisca un’idea di quanto siamo presi in considerazione. Dice che le cose si muovono, che non devo assolutamente preoccuparmi, anzi. Non c’è fretta.

Quando metto giù il telefono non sto affatto meglio. Correggo l’articolo con calma, leggendo attentamente la cartella stampa fornita dall’agenzia, prendo le loro immagini, un’altra ora e mezza di lavoro, ma almeno adesso il risultato è decente.

Cosa avrei dovuto fare? Mi sarei dovuto mettere di traverso con il mio responsabile e rifiutarmi di scrivere l’articolo? O sarei dovuto rimanere a lavoro un’ora in più per fare un lavoro di cui essere orgoglioso? Me la prendo con il mio responsabile, che non capisce la necessità di avere tempo per scrivere o con il sistema, che stronca, a prima vista, chi non riesce ad essere abbastanza veloce? Devo abbandonare il mio attuale lavoro in favore di una posizione meno stabile economicamente ma che mi permetta di essere contento del mio operato? Dovrei rinunciare alla mia seppur parziale indipendenza economica per una questione di principio? O semplicemente arrendermi all’idea che tutti dobbiamo fare gavetta, e contribuire alla quantità articoli scadenti che circola sul web?

Questa è la mole di domande che mi pongo bene o male ogni giorno, non sapendo fondamentalmente che pesci pigliare. Mi chiedo se sia così dappertutto. Ma forse soprattutto se le persone fuori da questo settore se ne rendano conto. Del resto capita addirittura di vedere chi si lamenta dell’abbonamento richiesto da certe testate per i loro articoli online. Qualcuno potrebbe descrivere questa situazione come un circolo vizioso, in cui la qualità dell’informazione non è dettata – solamente – da giornalisti incompetenti, ma da un meccanismo che non riesce a tutelarli. Ora ci starebbe veramente bene una morale, una conclusione, ma più ci penso più realizzo che se fosse alla mia portata trovarla non sarei qui a scrivere questo articolo. Detto questo, comunque, scusate se voglio fare il giornalista.

di Ernesto Seveso

1 Commento su Scusate se voglio fare il giornalista

  1. Da vecchio ex giornalista, da docente di Giornalismo, da blogger per hobby: le critiche vanno sempre ascoltate perchè possono avere almeno un pizzico di verità, da chiunque provengano. Poi ci si mette davanti allo specchio e ci si dice spietatamente quanto quelle critiche erano giuste e quanti altri difetti abbiamo notato noi nel nostro lavoro, ma anche quanto c’era di buono in quel lavoro o quanto si poteva fare diversamente nel tempo a disposizione. E poi via verso il prossimo articolo: facendo tesoro degli eventuali (veri) errori, con umiltà e con voglia di migliorarsi, ma anche giudicandosi con obiettività (non è detto che i rimproveri siano sempre giusti oggettivamente…) e senza mai demoralizzarsi. L’articolo che hai appena scritto dimostra la tua passione e anticipa che non ti arrenderai certo per un episodio, peraltro tutto da discutere. Buon lavoro !

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