Ogni giorno Siria: testimonianze dirette di vita sotto le bombe

UOMINI E DONNE DI TRE AREE DIVERSE DEL PAESE RACCONTANO LA LORO QUOTIDIANITA'

Dicono tutti che vogliono aiutarci, ma tutti ci massacrano“: esordisce così Omar dall’altro lato del telefono quando gli chiediamo di raccontarci la sua vita oggi in Siria.
Assad, i ribelli, l’Occidente, le associazioni: tutti dalla parte dei civili. Ma allora se è tutto vero, perché nessuno li fa mai parlare questi civili?

In Siria, a livello umanitario e informativo, regna il caos: ogni novità arriva legata alla sensazione di diffidenza verso chi la diffonde. Quello che sappiamo per certo è che la guerra procede imperterrita da ormai sette anni, si sposta e si trasforma con l’utilizzo di nuove armi e l’intervento di nuovi protagonisti; dal 2011 ha reclamato oltre 460.000 vittime e costretto 5,4 milioni di persone a fuggire all’estero. L’estrema mediatizzazione del conflitto ha messo a disposizione di tutti una quantità spropositata di notizie dal fronte, talvolta in assoluta contraddizione. In questo schema mediatico, schiacciato tra gli annunci dei potenti e gli effetti dirompenti della guerra, viene spesso a mancare la testimonianza diretta di chi sta subendo questo conflitto.
Mettiamo da parte i dibattiti politici e l’indignazione social per parlare di persone. Anzi parliamo con le persone. Che da sette anni vivono la guerra e a cui nessuno ha mai chiesto ‘tu, come stai?’ Noi abbiamo provato a farlo, intervistando diversi abitanti della provincia di Aleppo, Idlib e Damasco.

“Come vuoi che stia? Per colpa della guerra ho perso il lavoro, hanno ucciso mia madre, i miei amici e mi hanno bombardato la casa“, racconta Alì, papà di 4 bambini della città di Ariha, in provincia di Idlib. La madre di Alì è morta dopo un attacco aereo in cui sono state liberate sostanze nocive in città. Sostanze che portavano, soprattutto i bambini e gli anziani a causa del loro sistema immunitario più debole, a uno stato di coma e poi alla morte. “Ci sono molte cose che sono cambiate. Tutta la nostra vita è cambiata” aggiunge Bayan, sua moglie.

Se prima infatti la giornata di un siriano era simile a quella di qualsiasi altra persona al mondo – con una routine fatta di lavoro, scuola e amici – oggi non è più così. La preoccupazione principale di un siriano è una sola: sopravvivere. Dunque tutte quelle aree relative alla vita, e non solo alla stretta sopravvivenza, vengono messe in secondo piano. “Prima della guerra facevamo delle gite, andavamo a trovare i parenti, giocavamo e ci divertivamo. Ora dobbiamo solo pensare a come guadagnare i soldi per un pezzo di pane. Non possiamo più permetterci di pensare alle altre cose, ad avere tempo per vedere i parenti o gli amici – spiega Omar, anche lui di Ariha  – e nonostante tutta la fatica per provare a sopravvivere, basta una bomba a spazzare via tutto.”

La giornata di un siriano inizia controllando che non ci siano bombardamenti in corso, e purtroppo non c’è un’applicazione che permetta di verificare il ‘meteo’ del giorno. Per prevedere la caduta di un missile il massimo che si può fare è alzare gli occhi al cielo e ascoltare il rumore degli aerei sorvolare. “Ogni giorno ci svegliamo e per prima cosa controlliamo la situazione per vedere se ci sono degli aerei che bombardano. Se non ci sono possiamo mandare i bambini a scuola, altrimenti no” racconta Bayan. Subito dopo bisogna andare al lavoro, ovviamente. “Io ogni giorno mi sveglio alle 6 di mattina, prego, faccio colazione e vado a lavorare prima come dipendente statale, poi come commesso in una cartoleria. Faccio un’ora di pausa pranzo e torno a lavorare fino alle 21 o 22. Solo dopo posso tornare a casa e dormire. Questa è diventata la mia routine quotidiana. La mia unica preoccupazione è diventata guadagnare i soldi per dare da mangiare ai miei figli” racconta Omar. Bisogna lavorare il doppio del tempo per poter mangiare, poichè uno dei problemi maggiori della guerra è l’aumento dei prezzi, anche dei beni di prima necessità, come l’acqua e il cibo: “Se prima anche il più povero riusciva a vivere, oggi anche chi prima era benestante è costretto quasi ad elemosinare per mangiare” spiega Miriam, abitante della capitale Damasco.

Ma riuscire a procurarsi il cibo non è l’unico problema oggi in Siria. “Viviamo senza elettricità e senza acqua – spiega Moustafa, della città di al-Bab, in provincia di Aleppo – Se vogliamo l’acqua la dobbiamo raccogliere nelle cisterne, comprando dei contenitori: 10, 15 contenitori di acqua, ne compri quanto te ne serve.” Esiste veramente un manuale di sopravvivenza alla guerra? “Cerchiamo di cavarcela. Spesso siamo costretti a vendere oggetti della nostra casa. Oggi ad esempio abbiamo venduto l’armadio, la televisione e il decoder. Ci tocca trovare altri modi per vivere: come usare il carbone per cucinare o riscaldare l’acqua bruciando carta e cartoni per fare il bagno. Questa è la nostra vita. Si può riassumere in questi episodi. Non esiste niente peggiore di tutto questo.” racconta Alì con voce arrendevole.

Certo la prima cosa a cui bisogna pensare è sopravvivere, ma dopo? Dopo che ci si è accertato che una persona non sta sanguinando a causa di un ordigno, e che è riuscita a mettere qualcosa tra i denti cosa accade? E anche un sopravvissuto come può continuare a vivere normalmente vedendo morire ogni giorno la gente attorno a sé e sapendo che lui potrebbe essere il prossimo? “Ero sul balcone quando lo vidi uscire di casa, lo salutai chiedendogli come stessero i suoi figli. Ma non fece nemmeno in tempo a rispondere. Un missile lo colpì in pieno, facendo di lui brandelli.” racconta Omar, ricordando la morte di un amico.

Ogni giorno sentiamo parlare di bombe, ma nessuno racconta mai come si sentono le persone quando gli aerei sorvolano sopra le loro teste. “Le persone vivono nel terrore, i bombardamenti soprattutto sono la cosa di cui abbiamo più paura – racconta Alì – e i bambini specialmente, quando sentono un qualsiasi rumore, pensano che sia un aereo, si spaventano e corrono a nascondersi.”
Molti di questi bambini soprattutto “sono arrivati al punto di aver bisogno di assumere dei farmaci per riuscire a superare questo stato di terrore – spiega Bayan, volontaria per un centro di supporto psicologico ai bambini in guerra -. C’è un livello di paura estremo che ha portato i bambini a diventare solitari, a chiudersi in se stessi e in alcun casi li ha portati anche a farsi del male da soli.” Oggi soprattutto i bambini più degli altri, stanno pagando caro il prezzo della guerra. Molti di loro sono stati obbligati ad abbandonare la scuola, chi perché non ha più una scuola in cui andare, chi perché non ha più una famiglia e quindi deve lavorare per sopravvivere. E quei pochi che ancora hanno la fortuna di andarci, la vivono come un incubo. “I bambini hanno iniziato a odiare la scuola e gli insegnanti, che spesso li picchiano. Mio figlio ad esempio ogni mattina ci fa una scenata perché non ci vuole andare. Sopra la sofferenza quindi altra sofferenza” afferma scoraggiato Omar.

In tutto ciò i siriani si sentono abbandonati dal resto del mondo: “Le grandi potenze stanno consumando i loro litigi qui da noi in Siria- afferma Moustafa – come la Russia o l’America. E le vittime sono sempre i civili.  Non ci considerano nemmeno come esseri umani. Dunque che importa se muoiono 100, 200 o un milione di persone?”
Dopo sette anni di bombardamenti, morti e sofferenze è diventato anche difficile quindi per un siriano sperare che la guerra finisca. “Spero solo di poter tornare a vivere in pace e sicurezza. Oggi però la speranza si sta facendo sempre più debole. Ogni volta che per un attimo speriamo che sia finita, la situazione peggiora solamente di più” aggiunge Alì. Il sogno di un siriano adesso è uno solo: una vita normale. Un sogno fatto di poche pretese che comincia da una nostra consapevolezza: capire che, pur parlando due lingue diverse, siamo uguali. Noi e loro: “Voglio solo che voi sappiate una cosa: qui le persone non sono come vi hanno fatto credere, qui le persone sono buone. Noi non siamo come l’ISIS, loro hanno sfigurato l’islam e la fede. Noi vogliamo e auguriamo la pace e il bene a tutto il mondo” conclude Omar.

 

di Yara Al Zaitr, Paolo Scarrone e Riccardo Tonelli

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