Antonio Mascolo: “Siate appassionati fino all’intelligenza, ci sarà sempre una storia da raccontare”

TRE VITE PASSATE AD "ABITARE LA BATTAGLIA", IL RACCONTO DI CHI DAL '72 RACCONTA

Antonio Mascolo è un ‘gigante’. Proprio come diceva Bernardo Di Chartres, è uno di quei giganti sulle cui spalle si dovrebbe salire per cercare di vedere e capire il mondo oltre quello che ci è consentito dalla nostra nanesca statura. Lo si capisce subito, dal momento in cui ti stringe la mano e ti porta nel suo studio che pare uscito da un libro di Tolstoj. La sua macchina fotografica, il mezzo che da ormai più di un anno usa per raccontare le storie dell’Oltretorrente, è poggiata su una pila di libri, evidentemente appena posata.

Per lui la fotografia è “il dio delle piccole cose”, quell’arte del dettaglio che non cogli al primo sguardo, e che a sua volta ti guarda dentro. Finita la sua vita da reporter con le parole, è cominciata quella con gli scatti rubati delle vite degli altri. Si definisce “un cronista”, fedele all’idea che “ci sarà sempre una storia da raccontare” e qualcuno curioso pronto a leggerla. Quella sua stanza è il posto dove i suoi oltre trent’anni di storie si sono accumulati, ricoprendo pareti ai piedi delle quali non si può non sentirsi piccoli.

Penso che non si possa smettere di essere giornalisti“, ammette. “Io ho cambiato linguaggio, ma è da un anno e mezzo che, tutti i giorni, faccio foto in Oltretorrente per un progetto fotografico di cui sono l’unico pienamente convinto”. Confessa di essersi imposto un anno sabatico dalla scrittura, ma quasi al termine di questo gli è tornata la voglia di scrivere. “Continuerò ad ‘andare, vedere, raccontare’, ciò che mi ha accompagnato per qualche decennio di vita”. 

Antonio Mascolo 10 anni fa fondava RepubblicaParma.it, il primo vero giornale web di un grande editore con una redazione locale. “Credo che abbiamo dimostrato che è possibile imprimere anche qualche microfrattura nei monopoli” dice con orgoglio.
“Con il web – afferma – la questione è diventata un po’ più complicata rispetto a quella che era”. Quando Mascolo ha iniziato a fare giornalismo, il mondo funzionava ancora come diceva il direttore de Le Monde: “La radio dava le notizie, la tv le faceva vedere e il giornale le spiegava”. Oggi è cambiato tutto, “anche se sono convinto che un buon giornalismo si trovi anche sul web”. Secondo Mascolo la diffusione dell’informazione è possibile, “il problema è l’approfondimento e la qualità. Non tutta la vita è il Grande Fratello”.

A suo dire, i giornali oggi vivono delle crisi profonde al livello editoriale anche perché la gente dà agli stessi giornali la colpa di tutto, i quali però, per una contraddizione che è il postmoderno, vendono un decimo di quello che vendevano anni fa. “Mi ricorda quel meccanismo secondo cui i lettori davano la colpa ai giornali di parlare sempre di cronaca nera e poi erano loro che andavano a comprarli solo quando c’era la cronaca nera e non quando c’erano i fatti di approfondimento” dice non nascondendo una forma di rimorso. “È il paradosso dell’informazione – come scriveva Servain Shriber a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 – e non è mai stato attuale come oggi. Noi non abbiamo mai avuto tanti strumenti per imparare e per sapere ma non siamo mai stati così disinformati”.
Il paradosso è che non abbiamo il tempo? “Ma non è vero –afferma – il tempo c’è sempre. Il problema è che dobbiamo iniziare a capire che ci sono diversi tipi di tempo: il tempo obbligato, il tempo liberato, ci sono tempi da prendere, la calma, la fretta. Il mulino di Amleto è il problema dell’uomo – afferma citando Shakespeare -, il mulino continua a girare, ma l’acqua gliela dobbiamo dare noi”.

Antonio Mascolo ha vissuto tre vite: nel 1972, giovanissimo, ha cominciato la sua carriera alla Gazzetta Di Parma come cronista, rimanendoci poi fino all’88. Per vent’anni, poi, ha diretto la Gazzetta di Modena, dalle cui colonne ha raccontato storie che hanno dell’assurdo, approdando poi alla più recente ma rivoluzionaria esperienza a ParmaRepubblica.it. Con la pacatezza che lo contraddistingue, racconta quale idea si è fatto del giornalismo parmigiano in quest’anno di assenza“Credo che assomigli molto a quello nazionale, anche il Corriere e Repubblica perdono copie, è inutile raccontarci delle storie. Ai tempi del sequestro Moro, Il Corriere e Repubblica vendevano 800.000 copie, anche 1 milione. Oggi non ci arriverebbero nemmeno se le regalassero”.
Il lettore, a suo dire, vive uno spaesamento e non riconosce più dei ruoli né ai giornali, né alla tv, né ai siti web: “Probabilmente è tutto da ricostruire. L’impressione, guardando da fuori, è che il lettore dia per scontato che questi mezzi siano troppo scontati, non hanno una capacità di sorpresa. E l’approfondimento dovrebbe essere la vera sorpresa per il lettore”.

La domanda allora sorge spontanea: in un tempo di totale mancanza di intellettuali, di qualcuno che spieghi alla gente le complessità dei nostri giorni, i giornalisti potrebbero sopperire a questo vuoto?
“Non lo so, non ne sono convintissimo. È uno dei ruoli dei giornali ‘educare’? I genitori che non sapevano educare i propri figli chiedevano ai giornali di educare gli studenti. Credo sia un’abdicazione continua. A me hanno insegnato che il giornalista deve ‘banalmente’ “andare, vedere, raccontare”. Mi sembra già difficile, oggi, far questo. Non vedo una gran corsa nel farlo. Non sovraccarichiamo i giornali di ruoli che non sono loro”.

John Reith, il fondatore della BBC, nel 1922 però diceva che il servizio pubblico dovesse “Informare, educare, intrattenere”.  “Oggi, se Reith rinascesse, dovrebbe dire che oltre a tutto questo, il giornalista dovrebbe anche un po’ rompere le scatole per noi. Baldassarre Molossi, che portò La Gazzetta di Parma a cifre enormi di copie vendute, diceva che bisognava non annoiare. Bisognava farsi capire dalla massaia senza far arrossire il docente universitario. È un problema di linguaggio, di cultura, di sfumature, di scelta delle notizie”. In Italia, secondo lui, i tentativi di far bene ci sono, le storie ben raccontate non mancano, ma forse manca chi le legge.

Quando era alla Gazzetta Di Modena, Mascolo portò a casa una storia, tra le altre, che rimane un unicum nel giornalismo italiano. Invitato ad un pranzo, uno psichiatra che stava esaltando i servizi psichiatrici modenesi, gli disse fra le tante cose ‘Guarda il nostro servizio funziona talmente bene che qui, a Modena, abbiamo da 20 anni il figlio di Togliatti e nessuno lo sa’. Il distacco con cui ci racconta la storia è specchio di quanto la cronaca sia comunque parte del suo essere. “Io, che un po’ di cronaca l’avevo già fatta, rimasi immobile, cambiai argomento e il giorno dopo mi misi a lavorare con un collaboratore, Sebastiano Colombini. Andammo in questa clinica che era di fatto legata all’allora PCI e di fatto custodiva da vent’anni Aldino Togliatti, il figlio del Migliore, Palmiro Togliatti”.
Ai tempi, il ragazzo fu accusato di essere matto perché voleva andare in America, spiega, “e la cosa più ‘carognetta’ che facemmo come cronisti fu che domandammo, il pomeriggio precedente alla pubblicazione, a tutti i mega esperti di Togliatti, dal suo segretario a Giorgio Bocca, se sapessero qualcosa di Aldino Togliatti e pubblicammo le loro risposte.
Credo ancora nella cronaca, e l’approfondimento quando si fa la cronaca è avere più pezzi d’appoggio possibile. Questo è un Paese che ci ha insegnato quanto le cose vengano cambiate, a volte, anche sbianchettate in corso d’opera. Questo è il paese degli omissis, come si dice”.

Ascoltando questa storia non ci si può non chiedere come abbia cominciato. All’inizio degli anni ’70, giovanissimo approda alla Gazzetta Di Parma e lì comincia a fare il cronista.
“Era molto difficile – ricorda – ed era ancora più difficile di oggi pensare di essere assunti. L’abusivato era molto più crudele di oggi, secondo me. Entravi facendo gli orari che gli altri non facevano. I giornali chiudevano alle 3 di notte, e qualche signor giornalista alle 19.30 era già a casa e quindi bisognava coprire anche quei buchi”.
Per 12 anni Mascolo ha fatto anche il critico teatrale per la Gazzetta, vivendo una giornata che iniziava alle 9 del mattino e terminava alle 3 di notte. Per 12 ore faceva il cronista, poi andava a teatro e scriveva il pezzo “In diretta eh – tiene a sottolineare -. Il giorno dopo la rappresentazione c’era la critica, e alle 3 di notte agli attori veniva portata la copia dei giornali e si interloquiva con chi aveva scritto”.
Con nostalgia racconta quegli anni come di quelli in cui, per fortuna, c’era una conformità tra opinione pubblica e informazione che ora non c’è più: “Oggi c’è una disintegrazione del rapporto tra mezzi d’informazione e informazione, anzi oggi il singolo è diventato il depositario e dispensatore di informazione, attraverso i social. I giornali avevano un livello culturale molto più alto, secondo me. Si viveva molto anche nelle redazioni che erano una piccola scuola dove ciascuno limava una cosa dell’altro, ci si arricchiva, c’era un confronto”.

Ma oggi allora il direttore Antonio Mascolo assumerebbe un neoalureato alla magistrale di Giornalismo e Cultura editoriale senza esperienza? “Sì. Io ho fatto anche di peggio, ho preso a 15 anni Stefano Feltri, che oggi è vicedirettore del Fatto Quotidiano, e gli ho affidato da scrivere una pagina di scuola sulla Gazzetta di Modena. Io ho sempre assunto gente sempre abbastanza giovane. Non è questo il punto, è che il problema è la tenuta. C’è un vecchio detto giornalistico che dice ‘Se sei sicuro di essere curioso fino a 70 anni fai il giornalista, sennò cambia mestiere’.”
“Credo che la vera palestra, oggi, sia andare a guardare dove gli altri non guardano. Io sto facendo questo viaggio che si chiama ‘Oltretorrente on the road’ e io avevo l’idea che dopo 10 giorni mi sarei rotto le scatole perché, alla fine, chi fotografi? Invece sono passati 15 mesi e c’è ancora un mare di roba da fotografare. Secondo me ci sono da redistribuire le gerarchie delle notizie. Ci sono decine di storie da raccontare, non vedo spazi dedicati ai mendicanti, o a altre cose, alle difficoltà”.

L’esperienza di Mascolo, però, vive anche grazie al grande gruppo editoriale di cui è stato voce ed espressione per 30 anni, il gruppo L’Espresso. Scrivendo sulle pagine di Modena o di Repubblica, così come dei settimanali del gruppo, il Mascolo cronista ha potuto approfondire storie in giro per il mondo, sporcandosi le scarpe, “abitando la battaglia”.
“Effettivamente, se dovessi mai scrivere un libro sulla mia permanenza nel giornalismo, si chiamerebbe ‘Sono un giornalista fortunato’, nel senso che ho fatto in gran parte quello che ho voluto. Questo non vuol dire che non ci sia un futuro: io credo che i giovani devono veramente, io l’ho fatto e ne sono molto contento, fare quello che vogliono fare: siate appassionati fino all’intelligenza. Lavorate in maniera totale per quello che vi piace, qualcosa succederà. Detto così sembra retorica, ma vuol dire fare più e meglio degli altri. Sempre Baldassare Molossi diceva ‘Sì, scrivere più o meno san scrivere tutti, magari sciattamente ma tutti. Il problema sono le idee, ciò che bisogna fare è incrociare le idee’.”

 

di Pasquale Ancona

1 Commento su Antonio Mascolo: “Siate appassionati fino all’intelligenza, ci sarà sempre una storia da raccontare”

  1. Rosella Monico // 7 gennaio 2019 a 17:54 // Rispondi

    Gentile Sig. Mascolo,
    ho acquistato e letto con piacere il suo libro ” Oltre il Torrente Parma “. Mi complimento con lei per la narrazione della Parma di com’era e com’è. Abito in questo quartiere da quando mi sono trasferita da Lodi nel 1967 ed ho assistito ai vari cambiamenti che in questi decenni sono intercorsi e mi ritrovo con lei nell’analisi del quartiere che ha fatto. Detto questo, mi premeva però dirle che mi sarei aspettata di trovare fra l suoi tantissimi scatti ad abitazioni, attività, negozi, persone, anche uno dedicato allo studio di architettura di mio figlio, architetto Francesco Asti, ubicato in borgo Cocconi, 44, dal 2000 e che, oltre ad essere bello , ha all’interno uno splendido giardino. Si ricorda quando a Parma c’è stata la visita ai giardini aperti? Bene, questo era uno di quelli. E’ lo stesso architetto che ha ristrutturato la Casa Abelli, nella vecchia chiesa di San Bernardino che lei ha illustrato. Mi scusi, ma come madre, mi sarebbe piaciuto trovare il suo nome. Posso farle un altro appunto ? Perché non ha mai menzionato e fotografato “Il teatro del tempo “, splendido gioiello in borgo Cocconi? Ecco, mi sentivo di dire queste due cose.
    Le faccio i miei migliori auguri per un felice anno nuovo.
    Cordialmente
    Rosy Monico

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