Processo strage di Bologna, generale Mori nega rapporti tra neofascisti e intelligence

L'EX GENERALE DEL ROS: "MAI INDAGATO SUI NAR. INCHIESTA SU GLADIO TRASMESSA AI SUPERIORI"

Ha ricevuto la delega per svolgere le indagini sulla strage di Bologna ma si è trasferito prima di iniziarle. Così Mario Mori, generale in pensione del Ros dei Carabinieri, si è giustificato davanti alla Corte d’assise emiliana chiamata a giudicare l’ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nell’attentato del 2 agosto 1980 in cui persero la vita 85 persone.

Mori, all’epoca dei fatti esponente di spicco della sezione anticrimine di Roma, era stato convocato in veste di teste dalle parti civili per aver coadiuvato il lavoro dei magistrati bolognesi impegnati a risolvere il cubo di Rubik della bomba alla stazione dei treni.

Egli però smentisce. Non si è occupato di destra eversiva ma di terrorismo rosso.

A maggio del 1985, Mori ha ricevuto la delega delle indagini dal giudice istruttore Vito Zincari. Ad agosto peró si trasferisce all’ufficio criminalità organizzata lasciando la ‘patata bollente’ ai suoi colleghi.

Le domande poste dagli avvocati della parte civile hanno seguito un filo conduttore molto preciso: ricostruire la storia e gli oscuri legami del nostro servizio d’intelligence attraverso la testimonianza del generale Mori. Obiettivo? Trovare le prove di un punto di contatto tra le organizzazioni di destra eversiva e i servizi segreti. Un fil rouge svelato proprio nella strage di Bologna perché, oltre agli ergastoli per i Nar Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, sono stati condannati anche i vertici dei servizi per aver depistato le indagini.

Mario Mori, in aula, ha più volte alzato la voce: “Lei si ricorda quello che ha fatto 35 anni fa? Sono altre le indagini che mi sono rimaste nella memoria”. “Sospettano – spiega la difesa di Cavallini – che abbia fatto attività di copertura della strage. Ma non centra nulla”.

I rappresentanti legali dei parenti delle vittime non ci stanno e incalzano Mori con domande sempre più precise e datate nel tempo sui presunti contatti tra uomini dell’intelligence e l’eversione nera.

Ed è una storia inquietante quella che si apre.

A partire dal febbraio del 1974, quando i superstiti di Ordine Nuovo (sciolta per decreto nel novembre 1973) organizzano una riunione a Cattolica per programmare le stragi del 1974. Molti anni più tardi, l’esponente di Ordine Nuovo Umberto Zamboni affermerà non solo di aver lavorato per il Sid, il servizio segreto militare, come infiltrato, ma addirittura di aver riconosciuto Mori come uno dei partecipanti al meeting romagnolo. Il verbale d’interrogatorio del criminale nero però non è stato depositato dalle parti e Mori ha smentito di aver preso parte a quella riunione.

Sono i misteriosi rapporti tra i servizi di sicurezza e i gruppi neofascisti ad interessare le parti civili nel processo sulla strage di Bologna. Presunti legami nei quali, per un caso o per un altro, rispunterebbe fuori il generale Mori. Come nella perquisizione del covo torinese di Via Monte Asolone di Terza Posizione, nel quale vennero rinvenuti due pezzi di targhe della macchina usata dai killer di Piersanti Mattarella per scappare dopo averlo freddato in centro a Palermo nel gennaio 1980. Il verbale di sequestro redatto riporta la data del 26/10/1982.

Il materiale ritrovato nel covo è stato poi spedito alla Procura di Roma e a quella di Torino oltre alla sezione anticrimine della capitale, dove lavorava lo stesso Mori. Viene così steso un altro verbale il 13/06/1983 nel quale vengono riportati solo alcuni dei reperti sequestrati.

I legali rappresentanti dei familiari delle vittime del 2 agosto sostengono che ad aver firmato l’ultimo rapporto sia stato lo stesso Mori, che però smentisce: “La firma è di Cardoni, il mio superiore“, spiega l’ex militare.

In merito allo stesso delitto Mattarella, Mori ha negato di aver indagato sulle presunte implicazioni di Giusva Fioravanti. La vedova dell’ex presidente della Regione Sicilia riconobbe il killer del marito nell’ex terrorista dei Nar. “Forse – illustra Mori – il capitano Tesser mi aveva fatto una telefonata per chiedermi di indagare ma non ricordo”.

Non potevano mancare richiami anche al processo sulla Trattativa Stato – mafia, per il quale Mario Mori ha subito una condanna in primo grado a dodici anni. Gli avvocati di parte civile domandano all’ex generale del Ros di Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale che avrebbe avuto contatti anche con l’estremista di destra Sergio Picciafuoco (che testimonierà in aula il 10 ottobre).

Bellini, negli anni Novanta, era stato avvicinato da esponenti dell’Arma dei Carabinieri per trattare con la mafia siciliana il recupero di alcune opere d’arte rubate a Modena nel 1992. Mori ha smentito sostenendo che Bellini si offrì di infiltrarsi in Cosa Nostra per carpire informazioni sulla strategia stragista in corso.

Mario Mori durante una pausa del processo

La ricostruzione dell’episodio è descritta dalla sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-mafia che però non è stata possibile richiamare in aula perché Mori è ancora implicato in quel procedimento.

La strage di Bologna, però, non è solo un mistero che coinvolge servizi segreti ed eversione nera. Nel corso degli anni si è vociferato di presunti ruoli ricoperti dalle organizzazioni atlantiste e anticomuniste Gladio, Stay Behind oppure dalla stessa P2. Chiamato in causa, Mori ha risposto: “Ho passato le carte ai miei superiori quando ho ricevuto la delega dalla Procura di Bologna e Milano”.
La parte civile è rimasta a bocca asciutta. Nessun nuovo indizio né di implicazioni dell’intelligence nell’attentato e neanche sulla disponibilità da parte dell’eversione nera dei depositi di armi dell’esercito sparsi nel Friuli.

Destino leggermente diverso per quanto riguarda le domande all’ex generale sulla massoneria di Gelli: “Ho contestato l’appartenenza alla loggia dei miei superiori Maletti e Labruna quando ero al Sid e mi cacciarono“, spiega Mori in aula.

Le liste P2 furono scoperte nel 1981, mentre Mori è uscito dal servizio segreto italiano nel 1975. Gli esponenti del Sid sapevano quindi tutto sulla massoneria gelliana già sei anni prima della sua ufficiale scoperta? Sapevano quindi della P2 anche prima della strage alla stazione di Bologna?

“Si parlava già a metà degli anni 70 nell’ambiente militare dei rapporti tra Gelli e la massoneria, come dimostra l’indagine della sezione anticrimine di Roma”, chiarisce l’ex militare. Perché però nessuno denunciò l’esistenza della loggia massonica? E perché esponenti dei servizi iscritti alla P2 si sono spesi per depistare le indagini sulla strage?

Il processo Cavallini in corso, forse, potrà dare una risposta.

 

di Mattia Fossati

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*