Il taser in Italia: “Uno strumento che va usato con raziocinio”

DOPO IL VIA ALLA SPERIMENTAZIONE RESTANO DUBBI SULL'USO DI QUEST'ARMA CONTROVERSA

Gli agenti di Polizia potranno usare il taser. È una delle misure introdotte dal decreto Salvini, il primo ‘pacchetto sicurezza’ varato dal governo Conte per combattere l’immigrazione clandestina e per aumentare la sicurezza nelle città italiane. Ma cos’è questo famigerato taser?

Taser è l’acronimo di Thomas A. Swift’s Electric Rifle, dove per Thomas Swift’s è il personaggio di un fumetto. Soprattutto è il nome dell’azienda più famosa al mondo, la Taser International (ora Axon), produttrice di pistole che usano l’elettroshock. Inventato alla fine degli anni Sessanta, solo a partire dagli anni Novanta sono stati progettati i modelli di pistola che permettono l’immobilizzazione totale di una persona. Una volta azionato, il taser lancia due piccole sonde legate da fili elettrici al dispositivo che, a contatto con il soggetto, trasferiscono una scarica ad alta tensione in brevi impulsi. A quel punto la scarica elettrica – della durata di 5 secondi – provoca una contrazione muscolare e un sovraccarico del sistema nervoso che induce la persona colpita a cadere a terra.

IL DECRETO – La legge è abbastanza chiara: i comuni con più di 100 mila abitanti possono dotare la propria polizia municipale “di armi comuni ad impulso elettrico” per un periodo sperimentale di 6 mesi ed in seguito rendere definitiva la misura. Dopo 4 anni di dibatti – nel 2014 la Commissione Giustizia aveva già votato un emendamento simile – è stata avviata dal 5 settembre la sperimentazione del taser in diverse città: Torino, Genova, Milano, Padova, Bologna, Reggio Emilia, Firenze, Napoli, Caserta, Brindisi, Palermo e Catania. Sono settanta i taser disponibili alle forze dell’ordine nelle 12 città. In particolare, come riporta il Fatto Quotidiano, stiamo parlando del modello TX2 risalente al 2011.

Questo significa che le 70 armi comprate avranno “una scatola nera incorporata che fornisce le registrazioni d’uso”, ma al contempo non saranno munite di telecamere con registrazione automatica. Ovviamente il personale dovrà essere addestrato all’utilizzo dei taser e il costo per l’addestramento, e degli stessi dissuasori, dovrà rispettare “i limiti delle risorse disponibili” nei bilanci dei Comuni. È stata poi cambiata la denominazione ufficiale prevista dalla legge: da “pistola elettrica Taser” a “arma comune ad impulsi elettrici”.

Il taser ha rivoluzionato la sicurezza del personale di polizia ponendo una distanza (dai tre ai sette metri) tra gli agenti e i potenziali aggressori. Anche quest’ultimi, si ipotizza, ne trarranno beneficio, non costringendo le forze dell’ordine a prendere decisioni, spesso difficili, nell’arco di pochi secondi. Il taser non andrà a sostituire l’arma da fuoco, ma si affiancherà ad essa. In ogni caso, verrà usata solo nei casi in cui l’uso legale della forza da parte dell’agente risulti inevitabile. Si contraddistinguerà per il suo colore giallo. Obbligo degli agenti, secondo le ‘linee guida tecnico operative’, è la richiesta d’intervento medico a seguito del suo impiego e il rilascio di un’apposita certificazione descrittiva. Nel 2007 l’Onu l’ha dichiarato strumento di tortura, ma non viene riconosciuta come arma mortale. A questo proposito, non venendo riconosciuta come letale potrebbe essere usata con troppa leggerezza.

GLI STUDI  Il dilemma sull’uso o meno dei taser riguarda soprattutto il campo medico, dove molto si è discusso sulle possibili conseguenze dell’uso su un corpo umano. Questo dissuasore elettronico, mirando al sistema nervoso, paralizza il soggetto colpito per pochi secondi con scariche elettriche ad alto voltaggio. I risultati degli studi sono però controversi: secondo un report del 2015 sul ‘Electronic Control Weapons ‘ di Jena Neuscheler e Akiva Freidlin dello Stanford Criminal Justice Center, è innocuo se usato su una persona sana. Diverso è il discorso per coloro che fanno uso di alcool, droghe o presentano malattie mentali, per non parlare delle donne incinte.

Già nel 2011 era stato pubblicato un articolo intitolato ‘Electronic Control Device: A Review of Morbidity and Mortality’ di Mathieu Pasquier e Pierre-Nicolas Carron, dell’University Hospital Centre di Losanna (Svizzera). Questo studio, pubblicato su Annals of Emergency Medicine, afferma che il 90% delle persone colpite dai taser erano appena trentenni e che di questi la maggior parte aveva assunto sostanze. Il report richiama i dati raccolti dal National Institute of Justice sulla pericolosità delle lesioni provocate dal taser. Si è riscontrato che le ferite sia di media sia di alta entità sono piuttosto rare, pur considerando le cadute dei soggetti immobilizzati. Il pericolo nasce quando il dardo viene sparato non rispettando le corrette distanze, causando ferite o bruciature. Oppure se si spara alle parti più sensibili del corpo come occhi o gola. Anche l’ambiente in cui viene utilizzato può aumentare i rischi: come materiali infiammabili nelle vicinanze oppure colpire soggetti in acqua o su un ripido pendio.

Amnesty International Italia ha commentato l’avvio della sperimentazione del taser nelle città: “Massima prudenza e consapevolezza che la non letalità dello strumento non comporta di per sé un uso più disinvolto”. Occorre, quindi, l’addestramento degli agenti e il rispetto dei principi internazionali di condotta delle Nazioni Unite sull’uso delle armi da fuoco. Non si possono poi trascurare gli studi clinici perché il rischio di nuocere al soggetto non è mai pari a zero. Amnesty sostiene che in Canada e Usa, dove il taser è utilizzato da quasi 20 anni, il numero delle morti direttamente o indirettamente correlate a quest’arma ha superato il migliaio. Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, dichiara a Redattore Sociale che il taser “è designato per essere utilizzato a distanza e quindi chi la usa non può avere la minima idea delle condizioni fisiche della persona nei confronti della quale verrà usata”. In un comunicato pubblicato a marzo dall’organizzazione internazionale sottolineano:”Nel Nordamerica (Usa e Canada), dal 2001, il numero delle morti direttamente o indirettamente correlate alle taser è superiore al migliaio. Nel 90 per cento dei casi, le vittime erano disarmate. Gli studi medici a disposizione sono concordi nel ritenere che l’uso delle pistole taser abbia avuto conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci o le cui funzioni, nel momento in cui erano stati colpiti, erano compromesse da alcool o droga o, ancora, che erano sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di una corsa”.

L’indagine ‘Shock Tactics’ della Reuters ha analizzato 1042 casi di persone morte dopo essere state colpite con il taser usato dalla polizia. L’indagine parte dal 2000: sul totale delle vittime censite, in 712 casi il taser è indicato come causa o fattore principale che ha causato il decesso. Negli altri casi è stato l’aggiunta di sostanze stupefacenti o problemi di salute al cuore. Un altro aspetto da tenere a mente è che in nove casi su dieci erano persone disarmate. Sempre Riccardo Noury sottolinea: “Il taser può essere usato al termine di un inseguimento con la persona inseguita in condizioni particolari di affanno, ciò significa che ci sono una serie di circostanze nelle quali il suo uso può essere letale, per questo bisogna essere particolarmente attenti”.

PAROLA AL GENDARME – Quando un’agente può usarlo? Dipende tutto da situazione a situazione, come sostiene l’ispettore Tramuta della Squadra Mobile di Parma: “Sette anni fa stavo fermando un indiziato che mi ha affrontato con un coltello. Ho aspettato fino all’ultimo, ma poi gli ho dovuto sparare. Se avessi avuto il taser non avrei dovuto usare la pistola”. Il taser è uno strumento per immobilizzare e neutralizzare un sospettato. Qualcuno che, per costituzione fisica oppure perché armato, non possa essere fermato da un solo agente. “Si tratta di evitare la colluttazione con soggetti particolarmente pericolosi” – sostiene l’ispettore parmigiano. Il taser costituisce un’alternativa all’utilizzo dell’arma di ordinanza.

Ovviamente i rischi ci sono. Sia da parte dell’operatore che dalla parte dei ‘fermati’. L’agente non può sapere se il sospettato soffre di qualche patologia cardiaca oppure se ha un pacemaker. “Il taser è una tutela per l’incolumità degli agenti in servizio – spiega Tramuta, che però avverte – è uno strumento che va usato con raziocinio e soprattutto sapendo che ogni agente si assume le proprie responsabilità quando utilizza una pistola elettrica”. Lo sostiene anche un giovane agente da poco entrato in servizio: “Può essere un’arma utile quando magari operiamo il fermo di un indiziato pericoloso, però non può essere usato in ogni occasione. Il buonsenso di ogni collega in questo caso farà la differenza.”

di Mattia Fossati, Francesco Scomazzon e Valentina Perroni

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