Ogni anno i celiaci sono +10% ma ancora alta è la disinformazione

COME SI VIVE SENZA GLUTINE? TRA PREZZI ALTI, RISTORATORI IMPREPARATI E BUONI STATALI RIDOTTI

 

Dalla pasta agli snack, confezioni leggermente differenti di colore, ma prezzi tutt’altro che leggeri. Di cosa stiamo parlando? Di tutti quei cibi con l’etichetta ‘gluten free’ ormai entrati appieno tra gli scaffali della grande distribuzione. Da qualche tempo a questa parte, infatti, molti dei più grandi supermercati ne sono forniti e non mancano neanche nelle principali farmacie. Chi di noi non ci ha mai buttato l’occhio e, per pura curiosità, non si è domandato perché siano lì? In questi ultimi anni c’è stato un boom sugli scaffali di prodotti senza glutine ma sappiamo cosa sono? Talvolta si scambiano per ‘alimenti dietetetici’ nell’accezione più popolare e sbagliata del termine, ossia ‘prodotti per dimagrire’, ma il livello di zuccheri contenuto spesso è superiore a quello dei prodotti con glutine. Alta infatti è ancora la disinformazione sulla malattia della celiachia. E un’altra domanda sorge spontanea: mangiare fuori per i celiaci è ancora una ardua sfida?

FACCIAMO CHIAREZZA – Questi prodotti sono principalmente destinati ai soggetti malati di celiachia. La celiachia è un’infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine, una proteina presente in alcuni cereali. Dolori addominali, problemi intestinali, in alcuni casi anemia e sfoghi cutanei, sono tra i principali campanelli d’allarme. Per dirla in parole semplici, non si tratta di un’allergia che può provocare shock anafilattici, ma di una intolleranza che diventa nel lungo e nel breve periodo un grave problema per la salute. Come riportato dall’Aic (Associazione Italiana Celiachia), il principale metodo di diagnosi è la biopsia della mucosa duodenale in corso di duodenoscopia, in seguito alla quale è accertata tale patologia. Inizia così il percorso di ricerca di alternative gluten free, in quanto la dieta è l’unica terapia possibile e va seguita per tutta la vita. Ad oggi, i celiaci diagnosticati in Italia sono 198.427 (secondo i dati raccolti nella relazione annuale al Parlamento sulla celiachia, anno 2016) e, in virtù delle restrizioni alimentari a cui sono obbligati, per loro è ancora difficile avere una vita sociale ‘normale’: andare a cena fuori, per esempio, può rivelarsi complicato. Non tutti i ristoratori sono a conoscenza delle pratiche da rispettare in questi casi.

“STANCHI DI ANDARE NEI SOLITI POSTI” – Erica, 27 anni, studentessa leccese residente a Parma da

diverso tempo e madre di una bimba anche lei affetta da celiachia, riferisce che la disinformazione è ancora molto alta e ritiene la situazione abbastanza arretrata: “I ristoranti normali non riescono a gestirla, in particolar modo per quanto riguarda le contaminazioni aeree dovute al fatto di cucinare entrambi i piatti nello stesso ambiente: questo li manda ancora oggi in confusione, specialmente se c’è un bambino coinvolto”. Il suo racconto prosegue amareggiato, soprattutto nel dover constatare la scelta quasi forzata del doversi sempre recare negli stessi locali specializzati. La sua esperienza è analoga a quella di molti altri, come emerge da un nostro sondaggio sottoposto a un campione di 22 persone celiache di tutta Italia: il 72,7% degli intervistati ritiene che non ci sia abbastanza informazione e propone di sensibilizzare soprattutto i titolari di esercizi commerciali perché “non è possibile che un celiaco non riesca a sentirsi accolto come qualsiasi altra persona”. Della stessa opinione è Piera, celiaca dall’età di 19 anni, attualmente domiciliata nella provincia milanese, che nota una maggiore attenzione verso questa patologia rispetto agli anni precedenti – grazie anche al lavoro dell’Aic -, ma lamenta ancora la differenza tra centro città (in cui vi è più offerta, con proposte adeguate anche diversificate fra loro) e periferia (in cui la possibilità di scelta è davvero limitata). Essendo stata anche lei studentessa a Parma, ci rivela che la criticità maggiore consisteva nel reperire prodotti freschi, non offerti ad esempio dalla mensa universitaria, e la difficoltà nell’accedere a servizi specializzati spesso dislocati fuori città e raggiungibili solo in macchina. Una situazione, dunque, complicata per chi viveva nella zona come fuorisede.

Oltre alla disinformazione, essere celiaci significa anche confrontarsi con i buoni spesa mensili offerti dallo Stato. A questo proposito Anna, 23enne del parmense, diagnosticata celiaca dall’età di 14, riflette sull’adeguatezza del tetto dei rimborsi che riescono a garantire un ampio margine di libertà nella spesa, forse anche troppo: “I buoni riescono a coprire il fabbisogno giornaliero di tutti, considerando che molte cose possono essere fatte in casa e, personalmente, non mangio pane e pasta tutti i giorni, quindi la mia spesa si estende anche agli altri prodotti non inclusi nei rimborsi e spesso a fine mese avanzano diversi alimenti rimborsati”.

I RISTORANTI PARMIGIANI NON SONO ATTREZZATI?– A confermare questo sentore sono stati proprio alcuni ristoratori di Parma che nel corso della nostra indagine hanno ammesso di non essere attrezzati per cucinare cibi senza glutine, avendo tutti la cucina unica e non garantendo, quindi, la non contaminazione. Su 4 ristoranti del centro storico, 3 hanno liquidato la questione con un: “Non ci prendiamo questa responsabilità“. Solamente una attività ci ha riferito di avere una clientela celiaca e che, pur non essendo specializzata, cerca di offrire prodotti gluten free (pane, grissini..) e si impegna ad avere cautela nell’utilizzare, in fase di preparazione, strumenti distinti. Salvo alcuni casi, dunque, la città non sembra mostrarsi all’altezza del problema.

E NOI…CONOSCIAMO LA CELIACHIA? – Se da una parte i celiaci tentano di far sentire la loro voce, ritenendo di essere spesso ‘marginalizzati’, dall’altra, che conoscenza hanno in merito a questa malattia gli italiani? Paradossalmente, si tende a pensare che i celiaci siano in gran numero. Dati emersi da un nostro sondaggio sottoposto a 40 persone documentano quest’idea: quasi la metà crede che la percentuale di persone celiache sia tra il 5% e il 20%. In realtà, i potenziali affetti si stima corrispondano a 600.000 persone, quindi solamente l’1% della popolazione nazionale. Tra gli intervistati, inoltre, il 52,6 % conferma le testimonianze di Erica e di Piera, sottolineando come nei servizi di ristorazione che sono soliti frequentare non siano presenti alternative senza glutine. Nonostante quasi tutti sostengano di aver sentito parlare di celiachia almeno una volta nella vita, il 71,1% di loro ne è venuto a conoscenza solamente dopo averne avuto esperienza diretta (amici, parenti o conoscenti con tale disturbo) e solo il 26,8% attraverso canali di informazione come televisione, internet o libri.

FINTI CELIACI, PER MODA?  L’intervistata Anna mette in risalto come negli ultimi tempi mangiare senza glutine sia diventata anche una moda, dettata dalla “falsa convinzione che questi prodotti siano più salutari”. In realtà basta leggere il retro delle confezioni per rendersi conto che è assolutamente falso. Davanti ai prodotti ‘senza’ bisognerebbe infatti chiedersi con cosa sostituiscono certi componenti? Pasta, biscotti e altri prodotti gluten free sopperiscono a questa sostanza con ingenti quantità di amido di mais e olio di palma, tutt’altro che salutari. Ossessione per il gluten free, dunque? Questo aumento di finti celiaci è problema che riguarda tutto il mondo e anche in Italia si sta seguendo questo trend: come denunciato dall’Aic, sono 6 milioni gli italiani che comprano prodotti senza glutine pur non avendone bisogno, per un totale di 105 milioni spesi all’anno. Ma seguire questo regime alimentare da ‘finto celiaco’ è corretto? A sentire il parere degli esperti no. Anzi, a lungo andare risulterebbe rischioso: da una parte perché i prodotti gluten free presentano una maggiore quantità di elementi che tendono a far alzare l’indice glicemico, dall’altra perché si priverebbe il corpo di sostanze nutrizionali di cui ha bisogno come, ad esempio, le fibre alimentari.

Da considerare tuttavia che sono in forte crescita le persone affette da ‘Gluten Sensitivity‘. Questa sensibilità non porta a danni intestinali marcati come nel celiaco, ma presenta una sintomatologia che comprende fastidi intestinali anche forti come diarrea, stipsi, meteorismo, addome gonfio, cefalea, sonnolenza, apatia e tutta una serie di sintomi aspecifici che però scompaiono dopo 2-3 giorni di dieta a senza di glutine. Il consumo continuato di glutine può portare queste persone a soffrire di una infiammazione intestinale. La sensibilità al glutine tuttavia non è diagnosticabile perché non presenta precisi marcatori come le immunoglobuline A e G per la celiachia.  Uno dei motivi per cui i casi di sensibilità aumentano, a detta di alcune teorie, sarebbe da ricercare nel grano che troviamo oggi sul mercato, dal quale si ricavano tutte le farine e tutta la pasta di uso comune. Un grano che è stato selezionato da anni di agricoltura intensiva per aumentare sempre di più il suo livello di glutine che rende i prodotti soffici, gonfi, elastici, adatti alla lavorazione industriale.

COSA DICE LA LEGGE? – Essendo riconosciuta come malattia sociale, lo Stato si sta impegnando a tutelare i cittadini affetti da tale patologia. La normativa attuale, infatti, prevede interventi diretti a effettuare una diagnosi precoce e relativa prevenzione delle complicanze correlate, migliorare le modalità di cura, agevolare l’inserimento dei celiaci nelle varie attività lavorative, scolastiche o sportive, favorire l’educazione sanitaria in merito. Il contributo statale avviene anche sul piano economico: concretamente, infatti, i soggetti vengono sostenuti attraverso buoni mensili da spendere nell’acquisto di prodotti dietoterapeutici senza glutine. Nel 2001, il decreto Veronesi ha fissato la soglia di spesa mensile per adulti a 140 euro per gli uomini e 100 per le donne. Ciò che salta all’occhio quando si parla di questi beni, però, sono i prezzi che sembrano così eccessivamente alti. Vi siete mai chiesti perché i prodotti senza glutine costano così tanto? Una spiegazione c’è: le aziende produttrici fissano il prezzo e lo propongono al Ministero della Salute, che – senza trattare – compra e, a sua volta, distribuisce tra supermercati e farmacie. La totale assenza di libero mercato spiega i costi così elevati: non vi è concorrenza tra le imprese. Una volta acquistati i prodotti, poi, sta alle singole regioni decidere le modalità di erogazione, non vi sono infatti regole valide su tutto il territorio italiano. Come hanno confermato le tre donne intervistate, insieme al 63,6% del nostro campione, gli attuali rimborsi sono più che sufficienti a garantire una spesa ‘normale’, essendo calcolati tenendo conto del fabbisogno calorico medio mensile e del costo medio a caloria ma facendo sempre base ai prezzi decisi dalle imprese.

Negli ultimi mesi,  in Parlamento, è stato discusso l’eventuale taglio ai buoni mensili per rendere sostenibile la spesa sanitaria e in vista del calo dei prezzi dei prodotti, scesi circa del 7% nel prezzo medio in farmacia e circa del 33% nella grande distribuzione negli ultimi decenni. Saranno perciò ridotti di conseguenza i tetti per adulti e bambini, passando dai 140 ai 110 per i soggetti maschili e dai 100 ai 90 per quelli femminili (ddl n. 199 del 28 Agosto 2018).

QUINDI? SERVE INFORMAZIONE – In previsione di un aumento dei soggetti celiaci, abbiamo chiesto al nostro campione quali proposte avessero per sensibilizzare maggiormente gli italiani. Tutti richiedono più informazione, soprattutto da parte dei gestori di esercizi commerciali e di ristorazione, proponendo corsi di formazione obbligatori e chiedendo più servizi adeguati alle loro esigenze nelle zone in cui vivono. A tal proposito è da evidenziare e lodare l’iniziativa della stessa Università di Parma che sta mostrando una particolare attenzione alle esigenze dei suoi studenti. Le addette al servizio della mensa universitaria, infatti, fanno sapere che si stanno attrezzando (con particolari macchinari appositi) per poter finalmente offrire pasti ‘gluten free’ a tutti gli studenti e le studentesse celiaci. La maggiore attenzione che si sta mostrando verso questa patologia fa sperare in un migliorando della situazione che garantisca a chiunque il diritto di non sentirsi escluso.

 

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