Accattonaggio in aumento: cosa c’è dietro?

È UN FENOMENO COMPLESSO E ORGANIZZATO, IN CUI MALAVITA E MERA SOPRAVVIVENZA GIOCANO UN RUOLO IMPORTANTE


Vendita di fazzoletti sui treni, distribuzione di santini davanti alle chiese, mazzi di rose offerti nei ristoranti. Sono scene a cui assistiamo quotidianamente, talvolta infastiditi se direttamente coinvolti. Si tratta di accattonaggio, una realtà sempre più viva nelle città, ma poco considerata ed investigata. Su questo si è discusso a Palazzo del Governatore di Parma, dove il 20 novembre è stato organizzato un convegno dedicato ai pochi studi esistenti su questa particolare forma di elemosina. Sono intervenuti docenti universitari, funzionari del Comune, ma anche mediatori culturali ed educatori professionali, constatando un dato importante: nei prossimi due anni il numero di persone che vivono mendicando nei comuni italiani salirà a 600.000.

IL FENOMENO – L’accattonaggio è una realtà estremamente vasta, diversificata e multiforme. Sono diverse le attività svolte, come anche le modalità di vendita che possono essere poco invasive o moleste. Diverse sono anche le condizioni economiche e sociali di chi lo fa e, soprattutto, sono disparati i motivi che portano all’accattonaggio. A seconda dei casi, dunque, cambia l’approccio a tale realtà e al soggetto interessato sia da parte degli operatori sociali, sia da parte della legge. “Queste caratteristiche rendono ibrido il fenomeno dell’accattonaggio ed estremamente delicato qualsiasi tipo di intervento“, spiega Paola Degani, docente di politiche pubbliche e diritti umani presso l’Università di Padova. Nonostante poche eccezioni in cui ciò non accade, si può affermare che l’accattonaggio interessa in gran parte stranieri inseriti in percorsi di sfruttamento da reti criminali che si arricchiscono grazie all’esistenza di persone riconosciute come deboli: chi versa in una condizione economica precaria o addirittura disastrosa, persone mutilate o inferme, disorientate o senza possibilità di scelta perché ricattate o minacciate. In questi casi, l’accattonaggio diventa, più che un problema di pubblico decoro, un grave esempio di sfruttamento. “Sospendere il giudizio di valore è un primo elemento fondamentale per riuscire a guardare queste persone con un occhio più adeguato”, afferma Paola Degani. Vi sono diverse modalità di accattonaggio che possono essere di tipo contrattualistico o non-contrattualistico: nel primo caso si offre un servizio in cambio di un’offerta. Rientrano in questa categoria i lettori della mano, i distributori di santini o i facilitatori in uffici pubblici. Si tratta di una pratica illegale, esattamente come nel caso dell’accattonaggio non-contrattualistico con frode, in cui non si offre alcun servizio in cambio di denaro ma si finge per ottenerlo: si simula una malattia, oppure si finge di essere religiosi, assicuratori o volontari.

Entrambe le modalità vengono effettuate in forme diverse che vanno dal porta a porta al pendolarismo sui treni. C’è chi si presenta suonando il campanello per vendere accendini o braccialetti e gadget di tutti i tipi, altri passano le giornate in treno distribuendo bigliettini con messaggi di disperazione ai passeggeri. “Le risorse che si offrono in cambio di denaro, nel caso dell’accattonaggio contrattualistico, dipendono dall’etnia di chi le offre – spiega la professoressa Degani – C’è un’etnicizzazione delle risorse.” Fenomeno che però varia da luogo a luogo. “Al nord i venditori di rose sono tutti del Bangladesh, i venditori di libri tutti senegalesi. Al sud è diverso”. Per comprendere queste realtà bisogna partire dal contesto, poiché tutto cambia da una città all’altra.

LA RICERCA – Nicola Pirani e Andrea di Stefano, operatori della Comunità Papa Giovanni di Bologna, hanno svolto una ricerca sull’accattonaggio a livello territoriale, concentrandosi sulla città di Bologna e i dintorni. “Il progetto ‘Oltre la strada’ – spiega Nicola Pirani – ha la finalità di far emergere il fenomeno di sfruttamento, nei vari ambiti in cui esso è presente, e di mettere in sicurezza le vittime attraverso l’accoglienza nelle nostre strutture“. Il primo caso di accoglienza che ha messo in luce il fenomeno risale agli inizi del 2000: “Un uomo romeno, mancante degli arti inferiori a causa di un incidente avuto in patria, viene convinto a trasferirsi a Bologna dove avrebbe potuto richiedere delle protesi. Dopo l’arrivo a Bologna, viene derubato e obbligato, a forza di bastonate, a chiedere l’elemosina davanti al cimitero“, racconta Pirani. Questa è una delle testimonianze che lo hanno spinto a decidere di svolgere delle ricerche sulla violenza di strada, assieme al collega di Stefano. Le indagini incominciano a Bologna nel 2013, quando viene costituita un’unità di strada per avvicinarsi direttamente alle potenziali vittime. “Quando abbiamo iniziato ad andare in strada a contattare queste persone era autunno, quindi abbiamo deciso di portare qualcosa di caldo da offrire loro per stabilire un primo contatto. Abbiamo poi preparato una piccola brochure con le indicazioni sui servizi presenti in città e abbiamo dato a queste persone la nostra disponibilità per qualsiasi cosa avessero avuto bisogno”. Accanto all’unità di strada, gli operatori continuano a portare avanti una ricerca sul fenomeno, come spiega Andrea di Stefano: “L’accattonaggio è, come lo sfruttamento della prostituzione, un fenomeno commerciale, risponde alle regole di mercato. La città è organizzata: persone più ‘brave’ vengono collocate in luoghi più redditizi, persone più fragili vengono confinate in posti meno redditizi.” Dai dati emerge anche che ad ogni nazionalità corrisponde un tipo particolare di accattonaggio. “C’è una divisione del territorio: i magrebini, ad esempio, sono specializzati nella vendita di fiori a gambo reciso e vengono riforniti tutti dalla stessa persona che invia loro la merce da Parma”. E anche l’attività segue regole precise. “Nell’ambito nigeriano c’è un’organizzazione alla base con una regia ben strutturata: i ragazzi più volte ci hanno detto che non sono liberi di scegliere dove si va a lavorare e che hanno, tendenzialmente, il dovere di dare un ‘pizzo’ a qualcuno. Lo sfruttamento, quindi, si concretizza nel pagamento del posto”.

ACCATTONAGGIO A PARMA – Anche a Parma si stanno svolgendo delle indagini tramite il già citato progetto ‘Oltre la strada’ per capire cosa si nasconde dietro alle richieste di elemosina. Silvia Chiapponi, operatrice sociale del Comune di Parma e referente del progetto in atto ne illustra le motivazioni e le modalità: “Si è deciso di indagare sul fenomeno di accattonaggio innanzitutto perché è in costante aumento nella nostra città. Abbiamo incominciato a strutturare delle mappature delle presenze per capire quali luoghi fossero più interessati al fenomeno, e abbiamo svolto alcune interviste qualitative con testimoni privilegiati ricavando preziose informazioni. Infine, abbiamo incominciato a strutturare delle attività di contatto.” Carlotta Villazzi, educatrice professionale che partecipa all’unità di strada, racconta: “Sono state effettuate 30 uscite di contatto e sono state raggiunte 108 persone. I luoghi della città individuati comprendono il mercato della Ghiaia, i vari punti vendita, supermercati soprattutto, e le vie del centro storico.” Nei due anni di ricerca finora svolti è emerso che la maggior parte delle persone coinvolte nell’attività di accattonaggio sono di provenienza nigeriana e senegalese. “Quasi tutti uomini”, precisa Carlotta Villazzi. Al contrario delle aspettative, da parte loro non risulta alcuna volontà di impegno per trovare un lavoro regolare. “La maggior parte delle persone riferiva di essere in grado di pagarsi vitto e alloggio.”

“Un accattonaggio diffuso ed esemplare. Strutturato in maniera organica, perfetta”, commenta il presidente dell’associazione ‘On the Road Onlus’, Vincenzo Castelli. Come affrontare un problema così complesso? “È tutto da costruire – aggiunge – a livello di ricerca, di prevenzione, di servizi di prossimità, lavoro e accoglienza.”

di Eva Skabar 

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