Un concerto non può toglierti la vita (e la speranza)

DALLA PAURA ALLA RABBIA: QUESTO MUOVE LE NUOVE GENERAZIONI. MA GLI OVER NON LI CAPISCONO?

“Ai concerti si può perdere la voce, non la vita”.

Questa la frase scritta sugli striscioni appesi davanti alle scuole delle vittime di Corinaldo. Giovani strappati alla vita. Una vita che avrebbero dovuto continuare ad assaporare con lo spirito libero tipico degli adolescenti e che invece, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, ha trovato la parola fine. Stroncati da quegli avvenimenti ai quali non sappiamo dare una risposta, perchè troppo paradossali e folli per poter essere spiegati, capiti, accettati.

Che un genitore debba seppellire il proprio figlio è contro natura. In questo caso, lo diventa anche il fatto che a perdere la vita sia stata anche una giovane madre che, in quella discoteca, aveva accompagnato la figlia per farle un regalo: per farle vivere un concerto come quello a cui vanno quelli più grandi. Chi non è mai stato un bambino che brama di vivere un’esperienza da ‘grande’? Un regalo fatto con la coscienza di una mamma amorevole che la figlia ha poi protetto con tutte le sue forze affinchè almeno lei si salvasse. Ma quando la catastrofe arriva, come una tempesta inaspettata, non c’è logica che tenga, c’è solo il delirio. Questo, forse, se lo sono dimenticati i tanti haters che sui social si sono scagliati nei giudizi contro la donna.

Foto ANSA

Quando esci di casa con l’intenzione di divertirti, morire non rientra sicuramente tra i tuoi pensieri. Non puoi aspettarti che qualcuno, all’improvviso, cominci a spruzzare dello spray al peperoncino seminando il terrore tra la folla, trasformando un momento piacevole in un incubo. La parola chiave di tutto questo infatti è: paura. Siamo talmente terrorizzati da quello che sentiamo accadere  intorno a noi che al primo, minimo, segnale di pericolo veniamo assaliti dal panico e smettiamo di ragionare. Date la colpa ai media, date la colpa ai politici che seminano insicurezza, ma  siamo anche animali, con istinti primitivi di sopravvivenza. I sociologi intervenuti dopo la tragedia ci hanno spiegato che nei momenti di panico della folla, le persone tendono a correre a destra e seguire solo il primo gruppo che si è dato alla fuga, creando un imbuto di persone impazzite. È la paura che genera scompiglio, che ci fa scappare, che non ci lascia guardare in faccia a nessuno. L’importante è andar via, uscire, salvarsi. Ma in questo momento di follia questi ragazzi non hanno dimenticato la solidarietà per i loro coetanei, costretti ad accudirsi l’un l’altro prima dell’arrivo dei soccorsi in scene strazianti che nessuno vorrebbe provare e che questi giovanissimi ricorderanno forse per sempre.

Questi ragazzini non sono altro che adulti in miniatura molto spaventati. Da tutto. A partire dalla scuola, proseguendo con la famiglia, gli amici e gli affetti, per finire con quel mondo incapace di accoglierli e che, infatti, disprezzano il più delle volte. Ascoltano canzoni cariche di rabbia, rancore, di disprezzo nei confronti di quello che sta loro attorno che non li soddisfa, non li appaga. Le canzoni vanno oltre le singole parole, rispecchiano i loro stati d’animo, la frustrazione per quello che vorrebbero ma che non possono avere. E amano i rapper come Sfera Ebbasta perchè vedono in loro degli idoli che si ribellano, dei megafoni per le loro sensazioni. Un canale per dar voce a quello che vorrebbero urlare. Di adolescenti ribelli ne è piena la storia. L’Heavy metal lascia spazio alla Trap, ma il significato non cambia.

Se quelle di oggi sono nuove generazioni ancora più arrabbiate, hanno ragione. Perchè vorremmo tutti andare al concerto del cantante che ci piace, con i nostri amici o con i nostri genitori, per cantare a squarciagola, tornare a casa stanchi e con le orecchie che fischiano, ma felici. Invece ci si ritrova ad andare ad un concerto e a morirci. Perchè il mondo è ingiusto, le persone sono cattive, perchè la sicurezza è sempre troppo poca, perchè la paura predomina e non resta più spazio per la leggerezza, perchè i ‘grandi’ portano solo parole di cordoglio, ribadiscono banalità quando non servono.

Quindi sì, si capiscono gli adolescenti arrabbiati, ne hanno ben donde quando la loro prospettiva di felicità e carriera lavorativa è deludente. Fra il 2007 e il 2017, nella fascia d’età 25-34 anni, il numero di occupati è calato del 27,3%, spiega il Censis. E questo crea sfiducia anche nel sistema di istruzione. Se nel 2007 si contavano 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani, nel 2017 si è scesi a 143. Siamo un’Italia dove solo il 23% sostiene di essere in una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori. Manca la prospettiva di crescita personale e collettiva per il 53% dei giovani. Siamo un’Italia di gente ‘incattivita’. Ci sono le radici sociali di un sovranismo psichico.

E ancora sì, la tragedia di Corinaldo poteva essere evitata. Ma questo è un altro discorso. A noi non resta che prenderne atto e cercare di far sì che non possa più accadere. Affinchè i nostri ragazzi, che saranno il nostro futuro, possano ancora credere in un sentimento fondamentale: avere speranza. La speranza che non tutto faccia schifo, che non tutto sia marcio, che esistano ancora le bravate sane che non li uccidono e che al massimo li fanno mettere in punizione, che non tutti sono pazzi e che ci sia ancora spazio per loro. La speranza che ci sia qualcosa di buono, alla fine. La speranza, appunto, di poter andare ad un concerto e perdere al massimo la voce, ma non la vita.

 

di Arianna Belloli e Marica Musumarra

 

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