Moda sostenibile, lo è anche per il portafoglio?

OLTRE AL MARCHIO C'E' UN MONDO

 

Shopping compulsivo, shopping come antistress, shopping come status quo. La moda segna le epoche ma oggi arriva la necessità di andare oltre all’estetica. E’ ancora accettabile indossare pellicce? E’ etico indossare piumini d’oca? Ma se l’aspetto animalista purtroppo non smuove ancora troppe coscienze, predomina anche l’aspetto salutistico. Cosa ci stiamo mettendo addosso? Quella maglia 100% poliestere che indossi equivale a indossare un sacchetto di plastica che piano piano rilascia sostanze tossiche alla tua pelle. Lo sapevi?

Il settore della moda ricerca continuamente novità e innovazioni, frutto di un consumo diventato quasi compulsivo. Ma a partire dal velocissimo aggiornamento delle bacheche dei social e dalle vetrine dei negozi del centro, con la fast fashion si arriva a un esorbitante e minaccioso spreco delle risorse naturali. Tutto ciò ha portato stilisti e grandi marchi ad una attenta riflessione sulla possibilità di cambiare i metodi e i materiali di produzione. L’alternativa esiste, e viene marchiata come ‘eco-friendly’.  Ne è un esempio il progetto ‘H&M Conscious Exclusive’ la cui collezione viene creata con materiali riciclati o biologici ad hoc. L’intera community della moda è stata indotta ad attivarsi fondando associazioni, organizzando eventi e campagne a scopo informativo riguardo l’argomento ‘ecosostenibilità’. Le basi sono: il riciclo, il riutilizzo di vestiti vintage, l’acquisto consapevole, l’uso di materiali non dannosi per l’ambiente e l’etica del lavoro.

LA PRODUZIONE DELLA MODA SPRECA IL 20% DELL’ACQUA MONDIALE – Ciò che la rende differente la moda sostenibile è la consapevolezza dell’impatto dell’uomo e le sue abitudini sull’ambiente.  La fast fashion nell’arco di un anno è in grado di produrre ben più di cinquanta micro-stagioni, così da richiedere tempi molto rapidi di elaborazione non solo all’interno dell’industria ma anche nella lavorazione e coltivazione delle materie prime.

Secondo le Nazioni Unite, circa il 20% dello spreco mondiale dell’acqua e il 10% delle emissioni di anidride carbonica sono proprio sulle spalle dell’industria della moda; il 24% dell’emissione di insetticidi e l’11% di pesticidi sono dovuti alla coltivazione del cotone; l’85% dei capi venduti durante l’anno finisce in discarica mentre solo l’1% viene destinato al riciclaggio, dato che diventa ancor più significativo se si considera che dal 2000 il consumatore medio acquista il 60% di abiti in più (fonte: Repubblica.it).

CAMBIO ROTTA ANCHE PER I GRANDI MARCHI – Dalle grandi maison quali Stella McCartney e Giorgio Armani, alle catene H&M e Oysho, l’industria fashion dedica sezioni dei propri negozi e degli e-commerce a capi sostenibili. La domanda che sorge spontanea è: questo tipo di vestiario è effettivamente alla portata di tutti? E’ ancora percezione comune che queste alternative sostenibili siano costose e brutte. Ma quello che si nota navigando in rete è che la fattura di questi vestiti non abbia nulla da invidiare alle grandi firme, e che anzi proprio loro hanno già scoperto l’interesse dei consumatori più attenti. Inoltre la scelta dei materiali nella filiera della moda sostenibile è maggiormente sottoposta al parametro della qualità in tutti i suoi aspetti. Il rapporto qualità-prezzo e durata della vita dei capi alla fine diventa superiore.

A PARMA SBARCA LA MODA GREEN- Ormai da più di un anno anche Parma può vantare uno esempio nel campo della moda e dell’ecosostenibilità. ‘Ed Store’ è la prima ‘isola verde’ della moda nel cuore della città, in via Bruno Longhi. La titolare, la giovane imprenditrice Elena Prestigiovanni, porta una preziosa testimonianza diretta sulla crescente attenzione del pubblico per questo tipo di filosofia e prodotti.

Ma essere alla moda in maniera ‘sostenibile’ cosa vuol dire? E’ anche alla portata di portafoglio?

È tutta una questione culturale” sostiene Elena. “Di solito, almeno tra gli amanti della moda, non storciamo il naso quando il prezzo di una semplice maglietta firmata supera il prezzo che pensavamo. Non ci rendiamo conto di quel che indossiamo, se alla fine miriamo unicamente al marchio. Ma molte sono le alternative che il campo dell’ecosostenibilità ci può offrire”.

Elena vanta, nonostante l’età di soli 32 anni, una buona esperienza nel settore moda e vendita al dettaglio. Dapprima buyer presso una delle più importanti marche a livello mondiale, resasi conto delle grandi responsabilità che il settore tessile ha nell’impatto ambientale, “è la seconda causa di inquinamento dopo l’allevamento intensivo” spiega Elena, e nell’utilizzo delle pelli di animale, si è data al piccolo commercio: prova così a sfidare la grande distribuzione, puntando sull’artigianato e la ricerca attenta del prodotto che guarda alla sostenibilità. Un’azione coraggiosa, che però sembra vedere il consenso del pubblico.

Dopo estenuanti ricerche, Elena ha deciso di dare il via alla sua attività in proprio, affiancata a due filiere: ‘RE-BELLO’ di Bolzano e ‘Progetto Quid’ di Verona. La prima – affiancata da grandi brand come Prada, Miu Miu, Margiela, Celine – seleziona i suoi materiali solo fra le migliori fibre sostenibili: produce maglie in bambù, con le proteine del latte, in legno di faggio, eucalipto, foglie d’ulivo, cotone organico, e molto altro, mirando a una produzione ‘senza sprechi’. La seconda invece è un’impresa sociale che, trattando tessuti di scarto delle aziende tessili del Nord Italia, dà lavoro sicuro e offre integrazione a persone – in particolare a donne – vittime di abusi o di tratta, di situazioni difficili sia personali che sociali, ex-detenuti ed immigrati, persone con disabilità o che lottano contro l’alcolismo e la dipendenza da droghe.

BASTA SAPER CERCARE? –“Ciò che fa la differenza fondamentalmente è il Made in Italy – spiega Elena – Al di là dei materiali di utilizzo, ciò ci garantisce la qualità e i diritti per i lavoratori delle industrie tessili”. Gli standard normativi nel campo sono molto alti su ogni aspetto, in particolare su quello dei rifiuti e delle colorazioni, e la garanzia di qualità non permette un costo basso. “Preferisco sapere che nessun lavoratore sia stato maltrattato per fare il mio vestito, che la mia pelle non è sempre a contatto con i tessuti e le sostanze chimiche di cui è impregnato – continua- Anche la produzione di cotone, a cui molti forse non pensano, richiede enormi quantità di acqua e risorse energetiche, pesando molto sull’economia e sull’ambiente”.

“Manca l’informazione, senza dubbio alcuno. Io stessa ho dovuto cercare a lungo per dar adito sia ai miei ideali che ai valori estetici della moda. – conclude Elena – La maggior parte delle persone che vengono da me rimangono sbalordite nel constatare che si possono realizzare bellissime maglie con la caseina del latte o col bambù, che non sono solo comode ma sopravvivono più a lungo ai lavaggi. Una semplice maglietta Dolce & Gabbana può costare anche sugli 80 euro. In questi casi vale più il brand rispetto al materiale. Una t-shirt realizzata con materiali ecosostenibili si può trovare a meno della metà del prezzo, ma di migliore qualità e resistenza”.

A prezzi simili, se non addirittura inferiori, quindi, la moda sostenibile sembra proporre una alternativa a chi è attento al suo outfit. Occorre forse farsi un’analisi di coscienza dunque al momento di rimpinzare nuovamente il nostro guardaroba: è importante il nome sull’etichetta dei vestiti oppure il grado di tossicità dei tessuti? Importa più essere ‘alla moda’ a scapito di riflessioni più importanti? Siamo sicuri che la nostra felicità non dipenda da altri fattori oltre a un marchio? La salute e l’etica, per esempio, ora che estetica e sostenibilità iniziano ad andare a pari passo.

di Violetta Longhitano e Laura Ghidotti 

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