Arizona Dream: il deserto della vita

UNA BREVE RECENSIONE SUL FILM DI EMIR KUSTURICA

Nell’irrealtà del reale si dipana la matassa della vita che s’intreccia con i fili dei sogni: da questo nasce il film distribuito nel 1993 con il titolo ‘Il valzer del pesce freccia‘ che, accolto tiepidamente dal pubblico italiano, venne riproposto nel 1998 con il titolo originale ‘Arizona Dream‘.

La storia inizia a New York dove un giovane di nome Axel (Johnny Depp), intendente alla caccia e alla pesca, si è trasferito qui seguito alla morte dei genitori, ma dopo tre anni riceverà la visita di Paul (Vincent Gallo) che, informandolo del matrimonio dello zio Leo (Jerry Lewis) e del suo desiderio che Axel faccia da testimone, lo riporterà in Arizona. La vicenda si dipanerà tra la casa dello zio e la sua rivendita di Cadillac, per incentrarsi poi su una casa in mezzo al deserto in cui vivono una ragazza, Grace (Lili Taylor), e la sua matrigna, Elaine (Faye Dunaway), le quali si scontreranno per l’amore nei confronti del giovane.

Tema portante è il sogno, ogni personaggio ne ha uno, ma l’incapacità di conciliarlo con la vita reale li rende irrequieti e nevrotici, e così si avranno l’incarnarsi in una tartaruga per Grace, l’essere un attore per Paul, Axel che vorrebbe trasferirsi in Alaska e il poter volare per Elaine. Eppure, il mondo non sarebbe tale senza i suoi opposti ed ecco che la morte sarà l’altra grande attrice di questa storia che andrebbe assaporata con attenzione e osservata dall’alto con gli occhi del sogno disincantato.

Il merito di Kusturica è di aver saputo trattare una tematica quale il passaggio dall’infanzia alla fase adulta con un’apparente leggerezza che rende il film scorrevole, vi è poca dinamicità, in questo caso, da considerare quale elemento positivo perché permette allo spettatore di potersi concentrare per assorbire a pieno tutti i messaggi veicolati. Un’ottima resa degli attori con Johnny Depp ancora in fase di definire il suo taglio attoriale, che fa proprio l’essere e non essere nella realtà del suo personaggio; Jerry Lewis ben inserito nel ruolo dello zio a cui non manca di concedere la comicità che gli è propria dosandola con la serietà che il ruolo richiede; complessi ma ben strutturati i ruoli di Faye Dunaway e Lily Taylor che accompagnano la recitazione con una mimica e gestualità che ipnotizza; meno positivo Vincent Gallo che, a tratti, sembra smarrito sulla scena.

Nel complesso un film ben strutturato, accompagnato da colonne sonore ed effetti scenici che si amalgamano alla perfezione con i vari momenti creando situazioni emozionali molteplici in grado di far scaturire grandi domande e di entrare nell’anima e nella testa lasciandovi quel qualcosa d’inspiegabile che fa riflettere su se stessi.

di Galasso Marzia

1 Commento su Arizona Dream: il deserto della vita

  1. Sergio Martella // 17 novembre 2020 a 16:38 // Rispondi

    E’ facile aspettarsi un basso tono delle critiche di professione su questo film di Emir Kusturica, infatti in apparenza può sembrare persino ingenuo, ridondante in alcune scene e scoordinato nella sua insistenza a voler fornire una visione onirica della commedia della vita e degli affetti.
    In realtà il regista ha volutamente ambientato in uno stato “balcanico” degli Usa questa vicenda per dare un carattere cosmopolita ad un discorso molto più serio e velato nella dinamica psicologica del rapporto concnorrenziale tra due donne di diversa età e ruolo. La trovata geografica ha anche il piacevole risvolto di assimilare l’utilizzo rituale dei musicanti messicani alle cerimonie di festa esattamente come nella migliore tradizione balcanica.
    Tuttavia il reale valore del film risiede nello studio psicologico del conflittoo tra la signora più anziana e la figliastra nel contendersi le attenzioni di un Alex Blackmann (un giovnissimo Johnny Depp). Il sesso e la seduzione affettiva sono travolgenti nella donna più matura e ancora bellissima: lei rappresenta la ostinazione vitale, erotica e depressiva della donna che non si rassegna ad invecchiare perché non ha vissuto con sufficiente realizzazione le sue aspirazioni di soddisfazione affettiva ed esistenziale. E’ un tema antico, mai risolto; lei non intende invecchiare ma soprattutto sbarra ogni possibilità alla sua giovane figliastra di poter a sua volta accedere alla sfera della soddisfazione esistenziale e affettiva. La matrigna e la figliastra si confrontano con malcelata psicosi in un’alternanza di dipendenza e di odio distruttivo ed autodistruttivo. Di questo il regista sembra essere molto consapevole ed infatti usa a profusione il simbolismo onirico della assenza di gravità espressa nella mania di volare della donna più anziana – una mania assecondata dal desiderio di corrispondenza affettiva del giovane – e di altri simbolismi quali il pesce-vagina, anch’esso volante, il riferimanto alla luna ed alla sua licantropia di sogno.
    Questo tema del conflitto generazionale è una costante per nulla banale: costituisce il substrato causale di ogni fallimento esistenziale nella storia umana, è la causa remota di ogni infelicità umana e della specie. Sebbene la storia si svolga in modo piacevole con continui colpi di scena e trovate fantastiche ciononostante l’aspetto depressivo e distruttivo è sempre in agguato. La consapevolezza del regista descrive così il suo pessimismo in amore. La continua disgregazione psicotica dell’umore femminile sovrasta ogni scena. Tuttavia l’eclatanza isterica del femminile rappresenta la costante nella realtà esistenziale della donna, per via della sua infelicità strutturale che deriva proprio dalla mancanza di soluzione del nesso figlia-madre in termini di soddisfacimento della dipendenza e quindi di sviluppo di un sufficiente narcisismo per nutrire la soggettività della figlia e la conseguente possibilità di instaurare, a sua volta, un livello accettabile di maturità affettiva nella proiezione sull’uomo nel rapporto di coppia. Nessun rapporto d’amore infatti è possibile se la donna non risolve la questione fondamentale e strutturale del suo amor proprio, del suo nercisismo, della sua autostima; tutte istanze deivate direttamente dalla qualità reale del rapporto di rispecchiamento con la madre. Tutte istanze puntualmete disattese dall’immaturità affettiva corrente.
    Nel film la trattazione di questa dinamica è eccellente. Il conflitto sul medesimo oggetto d’amore è evidente ma anche l’ambivalenza irrisolta della dipendenza tra le due stesse donne! Quando al fine la più giovane sembra aver vinto nel succedere alla matrigna in relazione alle attenzioni del giovane, proprio allora la ragazza realizza la sua impotenza a reggere una “normalità” generazionale che avrebbe dovuto favorirla e collassa nell’autodistruzione consapevole di un fallimento senza speranza. Questo è esattamente il messaggio di Kusturica. E non è affatto banale. Un mondo senza l’accesso della giovane donna alla felicità affettiva è un modo destinato alla sconfitta di specie. La luna resta un sogno, volare è sconsigliato, il pesce resta un anacronismo nell’aria.
    La scena finale che ricongiunge il giovane all’intesa emotiva dello zio (uno splendido Jerry Lewis) è surreale, esattamente come surreale è la realtà disattesa degli affetti umani.
    Il regista imbrocca anche dei parallelismi più che credibili nella clinica dei rapporti affettivi come il bilanciamento tra la coppia dell zio con una ragazza più giovane e la relazione tra la donna matrigna con il giovane Alex; nella realtà della vita queste corrispondenze sono reali. Quindi, a dispetto di non essere capito dalla gran parte degli estimatori di cinema che utilizzano solo criteri di valutazione estetica, affermo che la validità di questa opera del regista jugoslavo va ben oltre le apparenze e i favori stessi della critica.
    Sergio Martella

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