Quando anche Sanremo diventa un pretesto per la politica

DOPO LA VITTORIA DI MAHMOOD, LEGA CHIEDE MAGGIORE TUTELA DELLA MUSICA ITALIANA. MA MERCATO E STORIA DIMOSTRANO CHE NON CE N'E' BISOGNO

Foto ANSA

Nei giorni scorsi, ha fatto molto parlare la proposta di legge Morelli, sulla programmazione radiofonica. Si tratta di un’iniziativa a firma leghista che cerca di tutelare la produzione musicale italiana, imponendo alle radio nazionali e private un limite alla trasmissione di artisti stranieri, in favore di quelli italiani.

Un recente articolo dell’Internazionale (dal titolo: L’autarchia non può che far male alla musica italiana) ha, però, fatto notare che le stazioni radio hanno già una forte tendenza alla trasmissione di ‘pezzi’ italiani, favorita dalle ottime posizioni che i nostri artisti raggiungono nelle classifiche musicali. La proposta di legge andrebbe, dunque, a garantire una tutela che in realtà già esiste, ma non perché dettata da una legge del Governo, quanto del mercato.

Al di là della proposta in sé, tuttavia, ciò che lascia davvero perplessi sono le argomentazioni a favore di tale iniziativa. A convincere l’esponente leghista a farsi primo firmatario del testo di legge sarebbe stata la recente vittoria al Festival di Sanremo di Mahmood. Il ragazzo è stato, infatti, travolto dalle polemiche per le sue origini, in parte, egiziane. Ma la debolezza di tale argomentazione è evidente: l’italianità di Alessandro Mahmood, nato e cresciuto a Milano, semplicemente non può essere messa in discussione.

                                                     

Ma anche accettando la retorica del “prima gli italiani”, le argomentazioni di Morelli non trovano comunque giustificazione: contestare il vincitore del Festival per le sue origini significa contestare la stessa storia del Festival. Sanremo è un esperimento di inclusione ed espansione della musica: è l’evento che ha diffuso la canzone italiana Oltreoceano (basti pensare al fenomeno Nel Blu dipinto di blu) e che ha ispirato l’Eurovision Song Contest. Dire che Sanremo rappresenta la tradizione italiana sarebbe perfino riduttivo. Il Festival è lo specchio dell’evoluzione socio-culturale del nostro Paese. Gli artisti che si sono esibiti sul palco dell’Ariston non si sono limitati a portare in scena una bella canzone, ma hanno interpretato i cambiamenti della società, disinibendo i propri testi e liberalizzando le proprie interpretazioni. Hanno arricchito la storia della canzone italiana con nuove contaminazioni sonore, anche straniere, contribuendo a plasmare l’intero panorama musicale mondiale.

Chi oserebbe, oggi, criticare Adriano Celentano per aver sconvolto la tradizione, portando nelle case italiane un diverso sound tutto rock’n’roll? Io penso nessuno.

La stessa legittimità della presenza di Mahmood sul quel palco può essere letta in quest’ottica. Egli riflette l’Italia di oggi: un paese multiculturale che condivide gli stessi problemi di tante altre persone “pienamente” italiane (in questo caso, l’essere abbandonati dal proprio padre). Appellarsi al sentimento nazionalista per contestarne la vittoria non è dunque credibile. Bisognerebbe, piuttosto, accettare il fatto che la tradizione è soggetta a mutamenti ed evoluzioni.

Insomma, più che di tutela della tradizione italiana, sarebbe più giusto parlare di strumentalizzazione del Festival di Sanremo per avvalorare una proposta di legge dal chiaro volto sovranista. Una mossa che, oserei dire, disonora il Festival stesso.

di Martina Santi

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