Si può ancora sperare negli Stati Uniti d’Europa?

L’EUROPA È UNA RESPONSABILITÀ DI CIASCUN CITTADINO

“Benvenuti a casa!”: è con queste parole che l’europarlamentare Damiano Zoffoli ha accolto un nutrito gruppo di giovani reggiani in visita al Parlamento Europeo, a Bruxelles, nei primi giorni di febbraio. Poche parole, ma che fanno comprendere il motivo di questo viaggio, organizzato dalla Fondazione Ora di Reggio Emilia, per quei trenta ragazzi: scoprire come sono fatte le mura di casa. Per chi è nato dal 1994 in poi, infatti, sentir parlare di Europa è la normalità. Tuttavia, non è facile sentirsi europei fino in fondo quando le istituzioni che la compongono sono così lontane e le informazioni che arrivano sembrano sempre di più degli slogan politici che degli aggiornamenti oggettivi dell’agenda politica europea. L’occasione ha, quindi,  permesso di riscoprire le radici comuni di noi cittadini europei e di riflettere sui possibili scenari futuri per l’Europa.

Iniziamo rispolverando qualche nozione di storia: nel 1950 i Trattati di Roma danno vita all’ Unione Europea con l’obiettivo di promuovere la pace tramite la cooperazione economica tra gli Stati. Con il passare degli anni si allarga e, oltre a raccogliere la partecipazione di un numero sempre più alto di Paesi del continente (ad oggi 28 e cinque in attesa di entrare), amplia e ridefinisce gli ambiti nei quali legiferare per competenza esclusiva o concorrente (cioè condivisa con gli Stati nazionali), oppure con azioni di sostegno e coordinamento dell’attività degli Stati membri. I poteri dell’Unione sono delimitati dai Trattati Europei ratificati dalla totalità degli Stati membri.

In questi settant’anni di esistenza l’Unione europea ci ha garantito pace, stabilità e prosperità, fattori che hanno permesso a milioni di europei un tenore di vita alto. Grazie all’abolizione delle frontiere tra Stati, le persone possono circolare, vivere e lavorare liberamente in tutto il continente; il mercato unico permette la libera circolazione di beni, servizi e capitali ed è il suo principale motore economico; l’introduzione della moneta unica, l’euro, ha facilitato sia gli scambi commerciali che gli spostamenti; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il rispetto dei diritti umani e obbliga tutte le istituzioni europee a difenderli e rispettarli; la politica estera e di sicurezza comune consente all’Unione europea di esprimersi con un’unica voce negli affari internazionali.

Tra le istituzioni che fanno muovere la macchina dell’Unione europea, i cittadini del continente, ad oggi 510 milioni di cui 87,9 milioni con un età compresa tra i 15 e i 29 anni, eleggono direttamente solo il Parlamento europeo. Gli europarlamentari hanno potere legislativo e di bilancio e, nella loro funzione, non rappresentano il Paese nel quale sono stati votati, bensì tutti i cittadini europei, quindi devono fare la volontà dell’Europa intera. Se fosse semplicemente così, la redistribuzione dei profughi in tutti i Paesi europei sarebbe già sulla carta, invece, il Parlamento europeo deve collaborare con il Consiglio europeo, l’organo all’interno del quale siedono tutti i capi di governo dei 28 Stati membri e che delibera solo all’unanimità. L’alternativa è l’immobilismo dell’intero ramo legislativo dell’Unione.

Ed è su questo punto che sorge spontanea una domanda: ma se questo rapporto Parlamento-Consiglio europeo spesso blocca l’azione delle istituzioni europee, non sarebbe meglio modificarlo? Probabilmente sì. Purtroppo, però, si è già visto negli ultimi anni che votare nuovi trattati che modifichino chiaramente l’assetto esistente dell’Unione non è sempre facile e che molti governi si mettono di traverso anche quando si tratta di cambiamenti positivi per tutta l’Europa.

 

Alla conclusione della visita del Parlamento, è chiaro che questa macchina non è perfetta. Ci sono temi, infatti, che in questi anni sono stati spesso messi da parte per dare voce soprattutto a problematiche di tipo economico, a causa della crisi finanziaria del 2008, e che ancora ci trasciniamo. Austerity,fiscal compact,Europa a due velocità sono le parole che hanno definito di più l’Unione negli ultimi dieci anni e ci siamo dimenticati che per far funzionare questo sistema serve, prima di tutto, l’unità.

A ricordarci delle origini dell’Unione ci ha pensato la ‘Casa della storia europea’, nella quale i ragazzi hanno ripercorso la vita dell’Unione dal mito di Europa fino ai giorni nostri, passando per le sofferenze delle due guerre mondiali e la propaganda anticomunista della guerra fredda. Questo museo ha permesso loro di capire quanto le differenze degli Stati membri in realtà siano le peculiarità che ci avvicinano e quante parti della loro storia hanno, invece, in comune. È da questo senso di comunità, oggi un po’ spezzato, che si deve ripartire per ritrovare il senso di quegli Stati Uniti d’Europa che negli ultimi anni si è perso. Se la Costituzione europea è andata a finire nel dimenticatoio per correre ai ripari di un’emergenza economica che sembra spingerci verso la fine del percorso europeo, nulla ci impedisce di recuperarla partendo dalle fondamenta del futuro: i giovani e l’istruzione.

In quest’ottica, dal 2009, sono sempre di più i progetti che spingono le nuove generazioni ad andare a studiare in un altro Paese europeo, a lavorare a contatto con le istituzioni europee, a fare esperienze di volontariato, oppure a viaggiare per scoprire il continente e a sostenere la propria attività culturale o sportiva allacciando relazioni europee. Questo non solo permette ai giovani di accrescere il proprio bagaglio esperienziale, ma li rende sempre di più cittadini europei responsabili. È da loro che la nuova Europa deve partire e sono loro a doversi far carico del suo destino.

L’Europa è una responsabilità di ciascun cittadino. Non solo nel momento delle elezioni europee, ma ogni giorno, informandosi e facendosi portavoce dei valori di libertà, democrazia e opportunità che l’Unione custodisce. L’Europa deve necessariamente ripartire dall’istruzione, proponendo un programma scolastico che includa lo studio della Storia europea e non solo nazionale, e recuperando l’ora di educazione civica perché in ogni Stato le giovani generazioni possano riconoscersi da subito nei valori unitari dell’Europa e scoprire le opportunità di crescita che essa offre per i cittadini, ma anche per il territorio nazionale.

L’Unione è una macchina ferma in garage, pronta a partire ma senza benzina. I governanti dei diversi Stati europei dovrebbero capire che solo mettendo da parte i personalismi e gli interessi cinici delle nazioni si riuscirà a far ripartire una collaborazione che per tanto tempo ha garantito ai cittadini europei e agli enti locali numerose opportunità di sviluppo. Questo non vuol dire perdere la sovranità degli stati nazionali, ma iniziare a pensarsi all’interno di una Unione di Stati che non si fronteggiano per avere un +1% nel PIL, ma che mettono in campo ogni loro energia per far sì che il divario tra nord e sud Europa venga definitivamente colmato, che tutti gli Stati si adeguino a una legislazione fiscale univoca e che i lavoratori abbiano un salario minimo europeo, così che andare a lavorare in Europa, o rimanere nel proprio territorio, non sia uno svantaggio ma uno scrigno di possibilità. Tutti questi risultati però non possono concretizzarsi se insieme a una spinta dall’alto non ne arriva una dal basso, dai cittadini e dalle giovani generazioni che più di tutte le altre vivono e vivranno l’Unione Europea nei prossimi anni. A loro si chiede di alzare la voce, di pretendere di contare di più in Europa per non essere solo una ‘x’ sulla scheda elettorale.

La speranza per rispolverare il progetto degli Stati Uniti d’Europa è la generazione Erasmus che può raccontare da un gradino privilegiato che cosa è l’Europa e come la vede nei prossimi decenni. Chi più dei giovani ha il diritto di dipingere le pareti della casa europea?

di Sara Lasagni

 

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