Recensione: Veltroni tra i grandi registi del ‘900, per lui ‘C’è tempo’

PRESENTATO A PARMA IL NUOVO FILM DELL'EX SEGRETARIO DEL PD: OMAGGI (FORSE TROPPI) AL CINEMA D'AUTORE

 

Tanto Bertolucci, un pizzico della magia di Fellini e le risate tipiche della commedia all’italiana: ecco gli ingredienti, forse un po’ ambiziosi, di “C’è tempo”, il primo film da regista di finzione di Walter Veltroni. Suo, a ben dire, perché dietro tutte le eco dei giganti della cinepresa, dietro la nostalgia che si fa pellicola, è impossibile non scorgere la firma personale della ridondante voce del regista. Il film è stato presentato a Parma venerdì 8 marzo in un Cinema Astra da tutto esaurito, alla presenza dello stesso Veltroni e di Simona Molinari, interprete di uno dei personaggi del film.

LA TRAMA – “C’è tempo” racconta la storia di Stefano, 40enne e massimo ricercatore italiano di arcobaleni, che passa la vita a rincorrerli mentre si occupa di uno specchio gigante. E quella di Giovanni, 13 anni, puntiglioso, preciso e con una testa troppo più grande della sua età. Alla morte del loro padre, i due si scoprono improvvisamente fratelli, uniti da una responsabilità burocratica che farà sentir loro il bisogno di farsi del bene reciprocamente. Inizia così un lungometraggio on the road a percorrere i paesaggi del cinema italiano più cari al regista. Prima Rimini, per inseguire i sogni di Fellini, poi Parma, sui luoghi e le suggestioni di “Novecento” e di Bertolucci, per finire poi a Parigi e incontrare Jean Pierre Leaud mentre fa colazione in un café.

La coppia, a bordo di un maggiolino targato “PR”, farà la conoscenza di Simona e Francesca, mamma e figlia che diventeranno le compagne di viaggio dei due. Come da copione, tra i quattro sboccerà un buffo amore, impacciato quanto coraggioso per i bambini, fedifrago ma estremamente divertente tra i due adulti.

 

GLI ATTORI – Stefano Fresi, finalmente protagonista, interpreta il suo ruolo cucendolo su sè stesso, ridendo ma soprattutto facendo ridere. Dà voce a una generazione di precari, come lo stesso Veltroni ammette, e lo fa raccontando la riflessione che si nasconde dietro il sorriso. Fresi riesce, in ogni momento, a tenere alta l’aspettativa, anche quando la sceneggiatura, forse un po’ scontata, non glielo consentirebbe.

Giovanni Fuoco (così come Francesca) è un ragazzino portato sul set per provare a recitare, ma, come poi lo stesso Veltroni farà intendere, riuscirà a essere un vero attore solo quando potrà improvvisare. I dialoghi, finti per una considerevole parte del film, non gli rendono gioco facile, non dal momento in cui un ragazzino che ha dei tempi comici spontanei si trova a doverli studiare. Quando, seduti in riva al Ponte Tiberio a Rimini, lui e Stefano improvvisano una scena con un gabbiano, le risposte libere del ragazzino restituiscono il suo talento o, quantomeno, la sua vera personalità e fanno ridere per questo.

Simona Molinari, una cantante prestata alla cinepresa, è la vera scoperta di Veltroni. Affascinante, brillante nell’interpretazione, riveste benissimo il suo ruolo di musa erotica, senza mai strafare. Le sue performance da cantante non sono affatto da meno a quelle da attrice, e nessuno potrebbe biasimare Stefano (quello del film) per essersene innamorato.

Francesca Zezza è la ragazzina che, figlia del suo tempo, non crede che Giovanni veda ancora i film, e che, con indiscutibile professionalità, si presta al bacio del suo coetaneo pur parecchi centimetri più basso di lei. Il suo personaggio (un po’ stereotipato a dirla tutta), è quello meno profondo, forse quello con cui la sceneggiatura banale stona meno fra tutti.

LA REGIA- D’autore, anche se a qualcuno potrebbe venire in mente “quale autore?”. Sì perché forse, la buona prova di Veltroni rischia di arrivare meno nitida a causa del suo continuo cercare di rendere omaggio e riverenza ai maestri del ‘900 (italiani e non). Cosa avrebbe potuto creare Veltroni rinunciando alle sue citazioni?

Al termine della proiezione, il giornalista Filiberto Molossi ha condotto il dibattito in sala interrogando, anche grazie alle domande del pubblico, Veltroni e l’attrice Molinari. Nella scelta del titolo del film, Veltroni racconta di essersi ispirato ai due versi finali dell’omonima canzone di Ivano Fossati, quelli che recitano “c’era un tempo sognato/che bisognava sognare”: è in quel tempo, a metà tra l’onirico e l’impossibile, che Veltroni vorrebbe inserire il suo film.

LE SCENE A PARMA- Quella a Parma è la porzione centrale del girato, la più corposa e la più pregna di significati. I parmigiani in sala non hanno mancato di ringraziare per questo l’ex segretario del Partito Democratico. Veltroni, a sua volta, ha raccontato il suo amore per il cinema italiano, la sua passione fin dall’infanzia, che proprio a Parma ha visto nascere quello che lui definisce “il più italiano di tutti i registi del ‘900”, Bertolucci, “qui si inciampa in lui in ogni passo”. È nei luoghi di “Novecento”, infatti, che i quattro protagonisti danno vita a una delle scene più significative del film, mentre il Labirinto del Lamasone e Piazza Duomo emergono in tutta la loro magia durante altri due lunghi spezzoni.

VELTRONI A CACCIA DI NUOVI ATTORI- Simona Molinari racconta di quando tutto è iniziato, quasi senza che se ne accorgesse Il regista era seduto sul suo divano a spiegarle l’idea di un film del quale sarebbe stata co-protagonista. E lei, cantante e non attrice, come tiene a sottolineare, ha deciso di buttarsi in questa avventura. “Lo rifarebbe?” “Sì”, e la risposta trova il consenso del pubblico.

“Giovanni – racconta il regista Veltroni – è così come lo vedete nel film. È un bambino di un altro tempo, avrebbe potuto essere il personaggio di un film di Chaplin”. Il regista racconta di aver conosciuto lui e Francesca Zezza durante le riprese di “Indizi di felicità”, il suo ultimo documentario. “Quando abbiamo girato la scena del bacio – continua ancora – è stata lei a prendere l’iniziativa, sveglia e precoce come tutte le ragazzine di quell’età”.

E arrivati alla fine, quasi due ore scorrono con facilità: tra le risate e le riflessioni; ma lasciano allo spettatore quell’amaro in bocca di chi si chiede cos’accadrà ai protagonisti dopo la scena finale. Veltroni supera decisamente l’esame alla sua prima prova in fiction, pur con alcuni limiti. L’appunto più grande, al di là delle forse troppe citazioni di film d’autore, che lo stesso regista conferma (ben 50), ci sono i dialoghi e la sceneggiatura. Risulta impossibile non trovarla un po’ scontata, nonostante i tentativi di naturalezza che le reiterate espressioni comuni in romanesco, poste sulla bocca di Stefano, tentano di nascondere. Ma, come la sua storia personale ci insegna, per Walter Veltroni “C’è tempo”, sempre.

di Pasquale Ancona

 

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