Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: a 25 anni dalla morte non si archivia

MENTRE VIENE CHIESTA LA CHIUSURA DELLE INDAGINI, PARMA ORGANIZZA UNA GIORNATA IN MEMORIA DELLA GIORNALISTA UCCISA


Sono già trascorsi 25 anni da quella tremenda giornata del 20 marzo 1994, nella quale furono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Tutt’oggi non si sa né chi né perché compì quel massacro. La giornalista romana e il cineoperatore triestino si trovavano in Somalia per seguire per conto del TG3 il ritiro delle truppe statunitensi dal paese, dove era in corso da anni una sanguinosa guerra civile. Ma i due stavano parallelamente indagando su un presunto traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici, che con la copertura della missione umanitaria avrebbe coinvolto anche società italiane. Il giorno dell’assassinio Alpi e Hrovatin erano appena tornati da Bosaso, una città costiera a nord di Mogadiscio, dove avevano intervistato un potente sultano locale a proposito del sequestro di una nave da parte di alcuni pirati, che sospettavano potesse essere stata usata per i traffici su cui stavano indagando. La loro macchina venne affiancata nei pressi dell’hotel Amana, poco distante dall’ambasciata italiana di Mogadiscio, e crivellata da colpi di mitragliatore. Hrovatin morì sul colpo, Ilaria poco dopo; sopravvissero l’autista e un uomo della scorta.

COSA È SUCCESSO QUEL MALEDETTO GIORNO DI 25 ANNI FA? – Ancora oggi è un delitto senza colpevoli. L’ipotesi più probabile è che avessero scoperto qualcosa che non dovevano scoprire, e quindi qualcuno li avesse fatti uccidere; soltanto nel 2013 si scoprì che in una nota dei servizi segreti scritta nei giorni successivi all’omicidio si sosteneva che Alpi fosse stata uccisa per le sue indagini sui traffici di armi e rifiuti tossici, e che i mandanti andassero ricercati ‘tra militari somali e cooperazione’. In realtà, per via delle forti pressioni mediatiche e della famiglia Alpi, fu trovato un colpevole che però, come si scoprirà molti anni più tardi, non aveva niente a che fare.

L’allora governo Prodi incaricò l’ambasciatore in Somalia Giuseppe Cassini di sveltire le indagini. Cassini si concentrò sulla pista di un omicidio casuale, non legato alle inchieste di Alpi e Hrovatin, e nel 1998 portò in Italia Omar Hassan Hashi, un cittadino somalo accusato da due testimoni (l’autista della macchina su cui viaggiavano i due italiani, Sid Abdi, e un testimone oculare, Ali Ahmed Ragi, che si trovava nella zona al momento dell’omicidio). Nonostante la scarsa affidabilità delle testimonianze (ad esempio uno dei testimoni continuava a cambiare versione dei fatti, mentre l’altro sparì poco prima di testimoniare in aula) e il fatto che tre cittadini somali avessero fornito un alibi all’imputato, Omar Hassan Hashi venne comunque condannato a 26 anni di carcere. L’uomo, innocente, scontò più della metà della pena, fino a che ci fu una riapertura del caso nel 2015, anche sotto la spinta della madre di Ilaria -Luciana- che non aveva mai creduto che Hashi fosse il vero colpevole.  Quattro anni fa, infatti una troupe della trasmissione della Rai ‘Chi l’ha visto?’ riuscì a intervistare il testimone oculare Ragi a Birmingham, in Inghilterra. Egli raccontò di aver accusato Hashi in cambio di un visto per lasciare la Somalia, perché «gli italiani volevano chiudere il caso». In seguito a queste dichiarazioni Hashi venne scarcerato. Nel frattempo però non sono stati fatti altri passi in avanti nelle indagini e la procura di Roma. a febbraio, ha chiesto l’archiviazione.

PARMA DEDICA UNA GIORNATA AL RICORDO DI ILARIA – Mercoledì, proprio in occasione del 25° anniversario della morte dei due ragazzi italiani, in varie città italiane si sono tenuti degli eventi in commemorazione della tragica ricorrenza. A Roma ad esempio c’è stata una tre giorni di incontri (martedì 19 marzo in Rai, mercoledì 20 marzo alla Camera dei Deputati e venerdì 22 marzo al WeGil) dal titolo “Noi non archiviamo. Il giornalismo d’inchiesta per la verità e la giustizia”. Nell’occasione anche il Presidente della Repubblica Mattarella si è espresso: “L’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin lacera profondamente, a 25 anni di distanza, la coscienza civile del nostro Paese e suona drammatico monito del prezzo che si può pagare nel servire la causa della libertà di informazione. In questo triste anniversario rivolgo un pensiero di solidarietà alle famiglie dei due giornalisti, insigniti della Medaglia d’oro al Merito Civile della Repubblica italiana”.

A Parma invece la biblioteca Internazionale intitolata alla sfortunata giornalista romana ha organizzato una giornata in suo onore. Alle 10 c’è stata la proiezione del film a lei dedicato ‘il più crudele dei giorni’; mentre alle 17:30 si è svolto un incontro con il giornalista Flavio Fusi, collega alla Rai di Ilaria e Miran, con la presentazione del libro ‘Cronache Infedeli’. Flavio fu colui che diede la terribile notizia al  pubblico italiano con l’edizione straordinaria del Tg3.

“Non avevo mai lavorato personalmente con Ilaria, in quanto lei operava soprattutto in Africa, ma ero stato parecchio fianco a fianco con Miran durante la crisi balcanica. Lui capiva bene la lingua quindi era il nostro punto di riferimento; non ci muovevamo mai se lui pensava che non fosse sicuro”.

Tuttavia anche con Ilaria il rapporto era molto stretto e lo racconta attraverso un ricordo personale: “Era la notte prima della mia prima partenza in Bosnia; ero preoccupato, inquieto e non riuscivo a prendere sonno, così chiamai in redazione dove c’era Ilaria che faceva la notte. Parlammo come sempre, scherzammo, mi aiutava ad alleggerire la tensione. Quella telefonata senza alcun significato fu l’ultima volta che parlai con Ilaria“. Il giornalista, ormai in pensione, ricorda anche le difficoltà nel trovare un operatore che seguisse Ilaria in Somalia “Nessuno voleva andarci, finché qualcuno le suggerì Miran. Lui non era mai stato in Africa, seguiva con costanza la guerra dei Balcani ed infatti i due si erano conosciuti a Belgrado. Nonostante tutto lui accettò subito e qualche giorno prima della partenza lui mi chiamò contento del fatto che avrebbe trovato caldo e non più il freddo balcanico”. Flavio , tra i toccanti passi del suo libro, ricorda anche la madre di Ilaria, Luciana, che è scomparsa poco tempo fa. “La signora Luciana non si era mai arresa nella ricerca della verità, sapeva che il ragazzo incarcerato non era il vero colpevole. Infatti lo andava a trovare regolarmente in galera, lui la chiamava addirittura mamma“.

di Pierandrea Usai

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