Quello che Tomorrowland Winter è (ma forse non dovrebbe essere)

SI È APPENA CONCLUSA LA PRIMA EDIZIONE INVERNALE DEL FESTIVAL DI MUSICA ELETTRONICA PIÙ FAMOSO AL MONDO. EPPURE I DUBBI RESTANO: OCCASIONE DI MARKETING O CONSEGUENZA NATURALE DEGLI EVENTI?

Tomorrowland sta prendendo sempre più i contorni di un’azienda: il suo potenziale appare ad oggi illimitato e gli eventi recenti ne sono la conferma. Il festival di musica elettronica, che si svolge dal 2005 vicino alla cittadina di Boom nelle Fiandre, quest’anno ha deciso di alzare nuovamente il tiro proponendo la prima edizione invernale della sua storia. Dal 9 al 16 marzo, una settimana sull’Alpe d’Huez, in Francia, località sciistica che è stata anche teatro di alcune tappe al Tour de France. Tomorrowland è affare da giovani; palchi immensi, dj famosi in tutto il mondo, spettacoli pirotecnici al limite dell’inverosimile, decorazioni e temi fantasy in abbondanza. Non è un mistero che la caccia ai biglietti si faccia più ardua  di anno in anno: il tutto esaurito di solito si registra dopo un’ora dalla vendita libera. Insomma, partecipare al Tomorrowland è da privilegiati. L’edizione belga richiama ogni anno mezzo milione di partecipanti; i numeri degli incassi sono da capogiro, anche perché i prezzi variano da un minimo di 400€ ad un tetto massimo di quasi dieci volte tanto. Quello invernale appena conclusosi è dunque un festival in miniatura, se paragonato al “padre fondatore”: 30.000 tagliandi, ovviamente polverizzati all’istante, e pacchetti a partire da 695€. Dopo francesi e belgi, i più presenti in termini numerici sono stati americani e cinesi. Nulla di cui stupirsi; Tomorrowland è nato in Europa, sebbene abbia già organizzato eventi in Brasile e America, e grazie al fascino del vecchio continente attrae moltissimo pubblico da tutto il mondo.

Quello che ci si chiede, arrivati a questo punto, è se operazioni del calibro di Tomorrowland Winter siano necessarie o meno, se sconfinino nel marketing più puro oppure mantengano un legame di sangue con l’originaria versione di Boom. Difficile a dirsi, siamo in un limbo che lascia aperte più chiavi di lettura. Eppure è innegabile che il Tomorrowland odierno abbia poco o nulla a che vedere con quello delle origini, quello di un festival messo in piedi quasi per scherzo, poco conosciuto e pubblicizzato ma al contempo meno soggetto all’incalzante domanda della massa e alle passeggere mode musicali.

La fortuna di Tomorrowland è sempre stata il suo essere facilmente riproponibile. È un prodotto che non stanca e non si stanca mai: allestisci un palco più grande, ingaggi le star musicali del momento, prepari un tema sempre più accattivante e in soldoni il gioco è fatto. Funziona sempre, e non a caso pare che tra i comuni di Megève, Tignes e Chamonix sia già scattata la gara per accaparrarsi il grosso dei proventi dalla prossima edizione invernale, che ovviamente è già in cantiere (a proposito di marketing…). Il tutto con buona pace dei più accaniti ambientalisti francesi, che più volte durante la settimana del festival hanno ricordato come l’inquinamento sonoro e quello umano non facessero proprio così bene alla montagna.

Tomorrowland Winter rimane dunque in odore di “commercialata”, ma se lo si guarda dal punto di vista dell’azienda e dei fan diventa difficile rispondere del come o del perché non organizzarlo. Ad oggi, se si hanno le possibilità, non esiste motivo per non parteciparvi. Esclusività e qualità dell’offerta rimangono le parole chiave che gli appassionati di musica elettronica leggono nel prodotto Tomorrowland. E poi, quando Martin Garrix lancia l’ultimo drop del suo dj set e in contemporanea si alza uno stuolo infinito di luci e fuochi d’artificio, l’ultima cosa che all’appassionato viene in mente in quel momento è quella di essere al centro di una gigantesca mossa di business più o meno necessaria. Piuttosto pensa di far parte del naturale corso degli eventi.

di Rolando Dazzi

 

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