Il Governo lascerà che Radio Radicale chiuda?

DA ANNI LA STORICA RADIO FONDATA DA MARCO PANNELLA SVOLGE A TUTTI GLI EFFETTI SERVIZIO PUBBLICO. A MAGGIO RISCHIA DI CHIUDERE A CAUSA DEL TAGLIO DEI FONDI ALL'EDITORIA PREVISTO NELLA FINANZIARIA 2019.

 

International Journalism Festival – Flickr

Dopo il taglio dei fondi destinati al finanziamento di Radio Radicale a maggio, l’emittente radiofonica di Marco Pannella rischia di chiudere. Non riceverà più fondi statali sufficienti per la sua sopravvivenza. Nel dicembre 2018 il Governo giallo-verde aveva, infatti, annunciato il taglio dei contributi all’editoria, fino alla completa abolizione dei finanziamenti pubblici, prevista per il gennaio 2020. In particolare, il Governo ha dimezzato i fondi destinati a Radio Radicale, fino a questo momento ‘tutelati’ da una convenzione sottoscritta dalla stessa radio con il Ministero dello sviluppo economico.

La convenzione prevedeva che la radio trasmettesse tutti i giorni le sedute del Parlamento, senza mai interruzioni pubblicitarie. In cambio, Radio Radicale riceveva un finanziamento annuo pari a 10 milioni di euro. Dal 2007 , la radio non ha mai smesso di percepire dal Ministero quei fondi. 

Grazie a questi contributi, la radio è riuscita a coprire dibattiti parlamentari, processi giudiziari, movimenti sindacali, conferenze dei partiti politici, fino anche le sedute del Parlamento europeo, svolgendo a tutti gli effetti un servizio pubblico. Il materiale raccolto negli anni dalla radio porta con sé un’importanza che è data non solo dal suo contenuto storico e culturale, ma anche e soprattuto dalla sua unicità. La radio conta infatti un vastissimo prodotto audiovisivo (interviste, conferenze, registrazioni, ecc.) che nessun altro possiede. Questo perché Radio Radicale si è saputa imporre come l’unica in grado di assolvere efficientemente questo servizio. Inoltre, fino agli anni 2000 circa, il Parlamento non ha mai registrato le sedute dell’Assemblea, coperte soltanto dalla stazione radio. Alcune registrazioni, pertanto, si trovano solo nell’archivio di Radio Radicale. 

Con la nuova legge di bilancio, il Governo ha tuttavia dimezzato i fondi previsti nella Convezione. Nel 2019, Radio Radicale ha infatti percepito solo 5 dei 10 milioni precedentemente incassati. Ma non è finita qui: proprio grazie al suo ruolo pubblico, Radio Radicale è l’unica a ricevere annualmente 4 milioni dallo Stato previsti dalla Legge 230/1990. Questa impone che lo Stato finanzi le radio private che dedicano almeno nove ore della propria programmazione giornaliera alla trasmissione di  “programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari”. Oggi, questa stessa legge è finita nel mirino del Governo, che intende abrogarla entro il 2020. Una mossa che porterebbe via a radio Radicale ulteriori fondi.

Spero che a voi personalmente non arrechi grande disagio questo contenimento, diciamo, del finanziamento di cui tradizionalmente beneficiavate”, ha commentato il Premier Conte nell’intervento sull’editoria del 28 dicembre 2018. Peccato che in realtà questo disagio lo arrechi eccome: 5 milioni sono infatti insufficienti ad assolvere quella funzione pubblica.

International Journalism Festival – Flickr

Il numero dell’Espresso,Radio Radicale, la voce della Repubblica che il governo vuol chiudere’, del 28 gennaio chiarisce bene il punto: per le sole spese di affitto e utenza, l’impresa necessita di  3,7 milioni l’anno, a cui se ne aggiungono ulteriori per coprire tutti gli altri costi (dipendenti, spese amministrative, produzione esterna, ecc.). La spesa totale annua gira intorno ai 12 milioni, fino all’anno scorso coperti dai contributi provenienti dalla 230/1990 e dalla convenzione con il Mise. Oggi non sarebbe più così.

Certo, adesso Radio Radicale potrebbe aprirsi al mercato, come del resto ha anche suggerito lo stesso Conte. Tuttavia, la possibilità di nuove entrate pubblicitarie non è così semplice. È infatti chiaro che gli spazi destinati agli spot pubblicitari non sempre riescono ad incontrarsi con i ritmi che un servizio pubblico richiede. In poche parole: come può la radio interrompere la trasmissione di un’importante seduta parlamentare per esigenze pubblicitarie? Non sarebbero, dunque, molti gli inserzionisti disposti a investire sulla radio di Pannella.

L’amministratore di Radio Radicale, Paolo Chiarelli, è intervenuto assieme al direttore Alessio Falconio e all’editore Maurizio Turco alla conferenza ‘Stampa Estera – È la fine di Radio Radicale?’, tenuta a Roma lo scorso 25 febbraio. Durante l’incontro, Chiarelli ha parlato della possibilità che la stazione venga venduta ad una radio commerciale che faccia anche intrattenimento radiofonico. Le radio commerciali, infatti, riescono ancora a stare nel mercato e a registrare buoni profitti.  Il rischio, ovviamente, sarebbe però quello di snaturare Radio Radicale stessa e di perderne quella unicità che ne fa un modello italiano di buona informazione.

Una prospettiva che non sembra preoccupare i vertici al potere, anche se è nota la contrarietà del Governo giallo-verde, e in particolare del Movimento 5 Stelle, nei confronti del finanziamento pubblico al sistema editoriale. Una battaglia che in certe occasioni sembra, però, nascondere un’altra verità: l’ostilità del Governo di fronte a quelle testate giornalistiche che non condividono la linea politica di Roma e che non si censurano nelle opinioni. 

dumplife (Mihai Romanciuc) – Flickr

La radio di Pannella non è, però, una semplice radio privata che trasmette opinioni generali su temi politici. È un emittente che svolge un servizio pubblico in cambio di un corrispettivo e ha per questo sottoscritto una specifica convenzione con lo Stato. Siccome al momento non esiste una radio che possa eguagliarne l’efficienza (nel 1998, la Rai lanciò senza successo Rai GR Parlamento), negare alla stazione quei fondi significa negare ai cittadini l’accesso ad una copertura completa e competente dei dibattiti politici italiani ed europei. Significa ostacolare l’informazione su ciò che accade nelle aule di Montecitorio. Significa togliere la voce a coloro che in quelle aule dibattono. Radio Radicale dà infatti spazio a tutti quei parlamentari che non rilasciano dichiarazioni in televisione. Pertanto, con la sua chiusura, coloro che ogni giorno compaiono sugli schermi degli italiani rimarranno i pochi ad avere una copertura mediatica, contribuendo a diffondere l’idea che il Parlamento sia la voce di pochi.

Fortunatamente, una parte importante del mondo politico si è schierata in favore della causa di Radio Radicale: i partiti all’opposizione hanno infatti sottoscritto un’emendamento che chiede la proroga della convenzione per un altro anno. Anche la stampa estera sta seguendo la questione con interesse, dimostrando il proprio supporto al servizio che svolge Radio Radicale. Intanto, però, gli scenari sul futuro della storica emittente sono tutt’altro che rosei, anche a causa della difficoltà che la stazione sta incontrando nell’avere un’interlocuzione diretta con il Governo.

Il direttore di Radio Radicale, da parte sua, ha lanciato un appello ai Presidenti delle Camere, al Presidente Mattarella e a tutti i parlamentari affinché “ci aiutino ad aiutarli a continuare ad avere voce”. 

Di Martina Santi

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