Apprezzamenti per strada? Non chiamateli complimenti

CATCALLING, OVVERO TUTTE LE MOLESTIE VERBALI CHE LE DONNE RICEVONO PER STRADA

Velocizzare il passo. Stringere fra le mani le chiavi, a mo’ di artigli. Fingere una telefonata. Se sei una donna, sicuramente, sono azioni che hanno una certa familiarità. Se sei uomo, probabilmente, in rari casi le hai eseguite. È il meccanismo che scatta quando sei in strada e senti di essere in pericolo. Tutto potrebbe essere partito da un ‘apprezzamento’ fatto da uno sconosciuto che ha poi iniziato a pedinarti. Ciò si chiama catcalling, per essere chiari.

È passato un mese dalla Giornata internazionale della Donna, sì, quel giorno in cui si celebra la figura femminile mettendone in luce tutta la sua nobiltà. E, a un mese, ci si ritrova a farsi spazio fra notizie in cui a quella stessa donna si tenta di limitare la libertà in materia di aborto; in cui non importa quanto tu possa aver lavorato per raggiungere certi traguardi, se hai due tette non puoi arbitrare una partita di calcio maschile; in cui se hai subito uno stupro vedrai i tuoi aggressori fuori dal carcere e, per di più, osannati e applauditi.

A un mese esatto, dal 7 al 13 Aprile, è prevista la Settimana Internazionale contro lo ‘street harassment’ e il ‘catcalling’, organizzata dall’associazione no profit Stop Street Harassment. Forse l’inglese non aiuta a comprenderne il significato, ma sono fenomeni che tutti, uomo o donna, conosciamo. Sono quelle molestie di strada, quei fischi fatti mentre passa una ragazza, quei ‘buongiorno, me lo fai un sorriso?’ detti a una sconosciuta, quei ‘ehi bella’, quelle suonate di clacson. Catcalling deriva da quei richiami che si fanno per avvicinare un gatto, rende bene l’idea. Così come ‘Hollaback’, nome di un’altra associazione nata per sensibilizzare sul tema, che ha in sé il ‘ciao’ e il ‘back’, inteso come ‘rispondi’. C’è chi si ostina a chiamarli complimenti e chi, come nel caso di Francia o Portogallo, li considera reati, tanto da aver approvato leggi atte a sanzionarli.

È un tema divisivo, senza dubbio. Per questo è fondamentale parlarne, conoscerlo, dargli un nome.

Innanzitutto, non sono e non possono essere ritenuti complimenti, pur avendone tutta l’apparenza. Perché? Il contesto: se sono in strada e da un uomo mai visto prima, con cui non ho scambiato neanche uno sguardo, ricevo un commento sul mio fisico – nella maggior parte dei casi –  non me ne rallegrerò; al contrario, non cogliendone un’eventuale sincerità penserò a cosa nascondono quelle parole, quali fini (e, spesso, rimanderanno alla sfera sessuale). Di certo non crederò che quel qualcuno abbia interesse a conoscermi. Altro conto lo stesso apprezzamento rivoltomi da un ragazzo a cui ho mostrato interesse, che ha tentato di avvicinarmi in altri modi. Ovvio, poi ci sono persone che hanno piacere a riceverli, ma qui si tocca un altro nodo cruciale per comprendere la questione: la percezione del destinatario. Si parla di catcalling quando non vi è reciprocità, e il soggetto è costretto solamente a subire tali atteggiamenti, finendo per trovarsi in una situazione di disagio e difficoltà. Per cui no, non è libertà di espressione. No, non può ritenersi solo maleducazione. Sono molestie, definendo queste come ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale e atti di corteggiamento ripetuti e rifiutati.

La reazione emotiva di una donna che subisce street harassment è poi il punto cruciale di tutta la situazione. Tenderà potenzialmente a sentirsi come un oggetto al quale ci si può rivolgere in ogni modo, senza minimamente avere rispetto. Scatterà in seguito quel senso di inutilità, quel non poter reagire, fino al sentirsi in colpa e magari pensare “certo, se non avessi messo questo vestito..”. Uomini, dunque, tenetelo a mente: quel ‘che schianto’, seguito da occhiata soddisfatta, non è un modo per approcciare e avrà solo la conseguenza di far accelerare il passo, sperando che a quelle parole non seguano tentativi di avvicinamento fisico.

La grandezza di questi fenomeni è stata ben sottolineata da vari esperimenti sociali. Il primo, realizzato  da Hollaback, mostra come una ragazza in jeans e T-shirt, passeggiando per le vie di New York per 10 ore, abbia collezionato 108 atti molesti fra pedinamenti, commenti sessisti e strizzate d’occhio. Il secondo è partito da Noa Jansma, una studentessa 20enne di Amsterdam, la quale ha deciso di scattare una foto con ogni uomo che la molestasse per strada. È partito così su Instagram il suo progetto #DearCatCallers, il cui risultato è una serie di post in cui la ragazza si trova accanto a uomini sorridenti, che non si rendono conto del fine dello scatto né hanno interesse a chiedere. Queste le parole di Noa, sotto la prima di tutta la serie: “questo profilo Instagram vuole essere una presa di coscienza dell’oggettificazione della donna nella vita quotidiana. Siccome molte persone ancora non sanno quanto spesso e in quanti contesti diversi una ragazza riceva fischi e apprezzamenti indesiderati, vi mostrerò chi mi molesta nell’arco di un mese”.

Catcalling e streetharassment sono solo due rami, in tutto quell’albero di molestie, violenze e femminicidi. Finché non si provvederà a sradicarlo è inutile, uomini, che ci regaliate mimose l’8 marzo o ci facciate gli auguri. Sarebbe più utile che ci diciate ‘buon lavoro’, perché difendere i diritti acquisiti e combattere le diseguaglianze ancora presenti è qualcosa che ci occupa giorno dopo giorno. E se vorrete unirvi, siate certi che apprezzeremmo. Lo apprezzeremmo molto più di quei ‘complimenti’ urlati in strada.

 

di Beatrice Matricardi

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