“Hanno bisogno di essere visti”

LE COMUNITÀ DI TOSSICODIPENDENTI RACCONTATE DALL'INTERNO

Nasce da una sede unica e a seguire, grazie all’importante ruolo che hanno avuto e che hanno tutt’oggi le donazioni, la sede ha potuto ingrandirsi sino ad arrivare a contarne cinque sul territorio dell’Emilia-Romagna. Una studentessa barese diplomata al Liceo linguistico di Bari, Laureata alla Triennale di Scienze e tecniche psicologiche all’Università degli Studi di Chieti e laureanda alla Magistrale di Psicologia dell’intervento clinico e sociale all’Università degli studi di Parma, racconta il suo servizio civile presso una Comunità di tossicodipendenti.

Cosa spinge una ragazza di 24 anni a intraprendere questo tipo di percorso?

Personalmente mi sono buttata in questa realtà con consapevolezza ma la verità è che per quanto tu possa studiarlo sui libri, quando tocchi con mano certi aspetti così tanto difficili, ti rendi conto che non eri preparato del tutto. Io ho una preparazione data dai miei studi però in comunità c’è anche chi ha preferito la via lavorativa – magari qualcuno si trova più in difficoltà nel gestire certe situazioni – ma si tratta di persone che sono qui ormai da tempo e data l’esperienza acquisita, sanno cavarsela molto bene. Secondo me c’è bisogno di essere un certo tipo di persona per “subire” quello che accade lì dentro. Si viene a contatto con tante realtà difficili e a volte occorre necessariamente prendere in mano la situazione.

Tu come la vivi? Ti reputi forte abbastanza da attutire i colpi che provengono da questo lavoro?

Si ma non troppo, perché comunque bisogna avere, secondo me, un aiuto psicologico. Quindi a volte succede che ne ho abbastanza e ho bisogno un po’ di evadere. Arrivano quei momenti in cui è particolarmente difficile e infatti sono i momenti in cui parto o mi assento per prendere del tempo per me dato che succede spesso che non lo abbia vivendo a contatto con queste realtà tutti i giorni. È comunque una cosa che faccio con piacere: mi piace l’idea di lavorare in questo settore un domani o contribuire all’aiuto.

Che relazione si instaura con i tossicodipendenti?

Devi allo stesso tempo essere distaccato ma essere presente a quello che accade, alle persone che incontri, a tutto. Perché si, non è così facile non prendere a cuore e quindi magari se ti imbrogliano – perché è nella loro natura farlo considerati i loro disturbi di personalità – sì succede che ci resti male, però in qualche modo poi giustifichi. A me colpisce l’impegno che ci mettono, non tutti perché non è così facile, però alcuni davvero riescono ad uscire vincenti dal percorso terapeutico. Ho anche conosciuto chi magari è scappato dalla comunità. C’è però, come dicevo, chi riesce ad uscirne e quindi sei abbastanza fiero di loro anche se magari non deve trasparire troppo, però parlando con queste persone giorno dopo giorno, sei abbastanza contento se riescono nei loro risultati.

Dici di essere soddisfatta di loro, ma in minima parte la soddisfazione non è anche per te?

Forse sì, anche se mi reputo una piccola pedina nel complesso comunitario, però se magari c’è un utente che è particolarmente arrabbiato e ha bisogno di sfogarsi, si prova una leggera soddisfazione nel momento in cui si sfoga con te e tu riesci a dargli anche qualche consiglio (che non è facile e in realtà non è neanche un consiglio) però lo indirizzi verso qualcun altro oppure prendi la loro “ira” – intesa come insoddisfazione generale – e magari riesci a trasformarla in qualcosa di positivo. Secondo me è anche molto questo educativo nei loro riguardi: a volte hanno proprio bisogno di essere visti da qualcuno e se loro si rendono conto che tu li vedi è una soddisfazione anche quello.

Cosa intendi per “vederli”?

Vederli come persone e non come tossicodipendenti, è proprio questa la soddisfazione più grande forse. Sono persone. Io mi rendo conto che sono entrata in comunità con un grande pregiudizio e poi ho capito che sono diversi da te ma solo perché hanno avuto un percorso diverso a livello di persone con le quali sono cresciute, di esperienze e quindi magari ti reputi anche fortunato di non aver vissuto lo schifo che hanno vissuto loro. Al di là del carcerato che ha commesso un piccolo crimine in passato o di un tossicodipendente che è stato per tanto tempo schiavo della droga, c’è una persona che vuole essere vista e ascoltata e che magari ha bisogno che i tuoi occhi incrocino i suoi per un momento.

Sei soddisfatta del tuo presente, vedi il tuo futuro a Parma?

Questa è una domanda difficile, non lo so. Magari mi piacerebbe continuare su questa scia però altrove, non ne sono sicura. Parma è una bella città, mi trovo bene però forse è troppo piccola per me. Per ora penso a laurearmi e a fare l’esame di Stato e quindi diventare Psicologa ed iscrivermi all’ albo. Mi piacerebbe fare un tirocinio in mobilità.

Come vedi il futuro di queste realtà? Credi che possa crescere anche l’interesse anche degli altri cittadini o credi ci sia un disinteresse e che dunque potrà esserci ancora più disinteresse?

Secondo me l’interesse c’è ma c’è anche molta paura. È una sottospecie di tabù la droga così come le vite che conducono queste persone, basti pensare a quanto siamo disinformati su questo tema a livello di effetti collaterali che la droga può causare e causa, e purtroppo ne vedo tante di realtà.

So che a livello politico si tratta di tempi difficili perché si stanno chiudendo i SERT – SERvizio Tossicodipendenze (Pubblico) – e molte norme stanno cambiando a discapito delle comunità. Si preferisce chiudere il tossicodipendente in un centro psichiatrico e trattarlo da malato, piuttosto che in una comunità terapeutica che permette di avere un senso dell’ordinario in cui la vita è fatta di relazioni con gli altri. Credo si voglia togliere la droga dalla strada ma nel modo sbagliato. Io credo molto nelle comunità terapeutiche nonostante sia davvero un percorso difficile e sono fervidamente convinta che se non ti vuoi far aiutare non puoi essere aiutato. Molti sono in comunità perché devono in quanto hanno scelto questa strada rispetto agli anni in carcere quindi il loro percorso è diverso rispetto a chi percepisce la propria condizione come un qualcosa che gli causa del disagio e nonostante magari abbia più problemi ne riesce ad uscire.

Il mio futuro lo vedo ormai in questo settore, per quanto avessi intrapreso questo servizio civile con la convinzione di voler indirizzare i miei studi verso una specializzazione nella selezione del personale: ho praticamente cambiato idea. È un settore che tutti evitano perché appunto fa paura parlare della tossicodipendenza e invece credo proprio che la gente debba avere qualche informazione in più per evitare di caderci o indirizzare qualcuno che ci è caduto a cercare aiuto. Questo magari non diminuirà il tasso della tossicodipendenza in Italia però magari può far capire le conseguenze o anche educare le persone al mondo del volontariato. La cooperativa in cui lavoro è in espansione, ha dei progetti attivi ma è l’ambito politico che mi spaventa per il futuro della comunità e per il mio di conseguenza.

Pensi che potresti avere un futuro tornando al sud? La tua famiglia cosa pensa del tuo percorso?

Non penso di tornare al sud. Ci sono troppi tabù uno riguarda gli psicologi che non vengono visti di buon occhio. Ci sarebbe la possibilità di un futuro nel momento in cui ce ne fosse davvero bisogno, cambiasse la mentalità e si capisse che lo psicologo è un aiuto e non una punizione, non necessariamente aiuto al malato ma aiuto al cittadino. Al momento la vedo dura. La mia famiglia all’ inizio era molto preoccupata, non l’hanno presa bene, anche un po’ per la questione tabù, poi hanno capito che mi piaceva quella realtà e che quello che stavo facendo mi regalava piccole soddisfazioni. Sono e saranno sempre preoccupati però mi conoscono, sanno che sono in grado di affrontare ogni tipo di situazione e rispettano la mia scelta.

di Desiree Vitucci

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