Le mafie del nord protagoniste della giornata sull’antimafia

"CONOSCERE PER RICONOSCERE", CONVEGNO E LABORATORIO PER CAPIRE LE MAFIE AL NORD ORGANIZZATO DALL'ASSOCIAZIONE CORTOCIRCUITO

‘Conoscere per riconoscere: le mafie in Emilia e nel Nord Italia’. Questo il titolo della giornata di formazione organizzata dall’Associazione culturale antimafia ‘Cortocircuito’ per lo scorso mercoledì 3 aprile nelle aule magne dell’Università di Parma. Un’intera giornata dedicata all’antimafia, in cui un importante e lungo dibattito alla presenza di ospiti autorevoli ha preceduto il laboratorio pomeridiano. Qui, i partecipanti hanno cercato di capire come si muovono i primi passi per la creazione di un’inchiesta giudiziaria, approfondendo la parte tecnica che sta dietro il lavoro dei magistrati. A condurre, Elia Minari, 24 anni, coordinatore dell’Associazione Cortocircuito che nel 2017 ha contribuito attraverso un’inchiesta allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Brescello (RE).

Il dibattito, tenutosi la mattinata, ha visto la presenza di due importanti ospiti: il Procuratore capo di Parma, Alfonso D’Avino, già procuratore aggiunto a Napoli, e il Procuratore capo di Modena, Lucia Musti, che vanta un’importante passato come magistrato nella Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna.

I due relatori, incalzati dalle domande di Munari, hanno cercato di tracciare le linee di contorno attorno alle quali è nato il maxi-processo “Aemilia”, il più grande processo di mafia nel Nord Italia.

IL CONSENSO SOCIALE DELLE MAFIE – Nel suo intervento, D’Avino, racconta e spiega le grosse differenze che sussistono tra l’operato della mafia napoletana, la camorra, e i modi di agire che costituiscono la mafia al Nord. A suo dire, il panorama delle mafie non è quello delle fiction, ma è ben più articolato: “Al sud, la criminalità organizzata è in grado di gestire lo stato sociale, il welfare. Deve mantenersi sul territorio e mantenere le famiglie degli affiliati. È così che si mantiene il consenso interno. Ma come si realizza il consenso sociale? Con la benevolenza e non con la violenza”. A dire di D’Avino, quando il Capo clan vieta di spacciare in un determinato quartiere o in una determinata piazza, arrivando addirittura a gambizzare i suoi stessi uomini, lo fa per trasmettere un messaggio ‘sociale’: qui non si spaccia e i bambini sono sotto la mia protezione. “In Emilia-Romagna è diverso, qui funzionano gli imprenditori. La mafia è camaleontica perché si adatta al territorio. In Campania si spara, in Emilia si sorride”. Sono gli imprenditori del Nord che si gettano tra le braccia della criminalità organizzata. “Sono loro che hanno aperto la porta alla mafia. Questa fa entrare capitale nel patrimonio e consentire di operare nel mercato. Gli imprenditori non sono più collusi con la mafia, sono i loro soci, e il beneficio è reciproco”.

IL PROCESSO ‘AEMILIA’ NON E’ STATO PORTATO DALLA CICOGNA – Più critica è stata, invece, la Musti: “Credete che il processo ‘Aemilia’ sia stato portato dalla cicogna? No, ha costituito una lettura sistematica dei fatti-reato in Emilia-Romagna di 10 anni fa”. Secondo la Musti, quello che i magistrati del processo hanno fatto è stato riprendere la lezione di Falcone e Borsellino, ovvero rileggere e mettere assieme tutti quelli che lei definisce “Reati campanello” del recente passato, e che insieme costituivano degli indizi impossibili da ignorare. E poi attacca: “Perché sembra che il processo Aemilia sia una rivoluzione copernicana? Perché ci si vuole autoassolvere. È più comodo autoassolversi invece che chiedere l’assoluzione. Ritenerla una novità ci fa mettere a posto con la coscienza”. Gli indizi c’erano eccome, a sentire la Musti, che elenca tutta una serie di reati, ritrovamenti di bossoli, attacchi, o spari di cui si è comunque avuta segnalazione negli ultimi 10 anni, ma di fronte ai quali ci si è voltati dall’altra parte, quasi per una sorta di autocommiserazione secondo cui tutto questo era relegato a un mondo lontano, il sud appunto. “E poi andavamo nel casalese a recuperare le macchine sequestrate agli imprenditori mentre davano del visionario a Roberto Saviano a parlare di ‘ndrangheta in Emilia-Romagna”. Fa autocritica, la Musti: “Per quanto diverso da quello di cui ci avevano parlato, quello di diventare soci era il metodo mafioso usato in Emilia-Romagna, e il metodo modifica i costumi. La mafia raggiunge il suo scopo quando ci modifica la vita”. “Le persone per bene si fanno ispirare dal detto ‘pecunia non olet’, è questo che ha consentito alla mafia in Emilia di entrare in imprese sane”, e in questo il ruolo dei colletti bianchi è stato importante: “i commercialisti, i politici e gli avvocati supportano la cosiddetta ‘zona grigia’, ed è questo che consente alla mafia di diventare irrintracciabile e di farsi una verginità che la renda presentabile all’esterno”. Parliamo di una rete di rapporti con la parte sana della società “che rischia di diventare in maniera inconsapevole uno strumento nelle mani delle mafie. E questa mafia è più difficile da sconfiggere perché è invisibile, e rischia di non trasmettere la sua pericolosità ai cittadini”.

L’INCHIESTA DI ‘CORTOCIRCUITO’ – “Quando abbiamo cominciato, volevamo solo fare delle domande – spiega Elia Minari, in queste settimane in libreria con ‘Guardare la mafia negli occhi’ (Rizzoli), il libro che racconta l’inchiesta di Cortocircuito. “Siamo partiti incrociando le fonti pubbliche, gli appalti. E questo è importante perché ci fa capire l’importanza delle fonti pubbliche, delle tante a cui oggi si può accedere più facilmente. Noi non avremmo mai immaginato di arrivare allo scioglimento del Comune di Brescello partendo dalla lettura di un piano regolatore.

La chiusura della mattinata è stata poi affidata a Luca Ponzi, il giornalista Rai originario di Parma che ha seguito in prima persona lo svolgersi del processo ‘Aemilia’, e che tante volte si è trovato a raccontare queste vicende. “Il limite di questo territorio è stato non aver saputo e voluto riconoscere la presenza della mafia. Le istituzioni hanno fatto finta di non sapere con chi andavano a cena. Qui la ‘ndrangheta è arrivata con le false fatture guadagnandosi un consenso popolare, ma sfondava una porta aperta perché le false fatture si facevano già”.

La giornata si è conclusa con un laboratorio interattivo su come realizzare un’inchiesta sul tema della mafia, organizzato dal prof. Emanuele Castelli e guidato da Elia Minari.

POMERIGGIO: LABORATORIO INTERATTIVO – L’incontro pomeridiano è iniziato con la riproposizione del video del Tg1, già proiettato in mattinata, in cui sono stati presentati i ragazzi autori del progetto e dell’inchiesta. Da qui Minari, che anche durante il pomeriggio ha assunto l’onere di condurre l’incontro, ha spiegato come il progetto sia nato ai tempi del liceo, quando insieme ai suoi compagni era solito frequentare una nota discoteca di Reggio Emilia che organizzava varie serate e feste d’istituto. Da lì i ragazzi hanno iniziato fare ricerche per scoprire la veridicità di alcune voci di corridoio che vedevano i gestori del locale immischiati in affari illeciti. Mostrando come è possibile risalire alla partita IVA di un’attività e, grazie ad essa, al nome del/i proprietario/i tramite il Registro delle Imprese online, Minari ha spiegato ai partecipanti al laboratorio come reperire dati di vario tipo sul web. E’ stato reso noto come si possa costruire un’inchiesta partendo da dati pubblici, aperti a tutti. Ed è proprio così che i ragazzi hanno portato avanti il loro lavoro, partendo da queste informazioni di pubblico dominio e “sapendole soprattutto comprendere e collegare tra loro“, ha detto Minari. Durante il laboratorio svoltosi nell’Aula Magna della sede centrale dell’Università, Minari e i suoi colleghi hanno mostrato come costruire un’inchiesta, partendo dagli strumenti messi a disposizione dal web, spiegando alle quasi 200 persone presenti come sia possibile ricavare notizie da dati di pubblico dominio come i bilanci, le delibere, ecc. I modi per reperire dati di questo tipo sono molteplici e, con un po’ di dimestichezza con i vari portali di ricerca, si possono arrivare a risultati strabilianti.

di Pasquale Ancona ed Eleonora Di Vincenzo

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