L’incertezza della Brexit nelle nostre vite

SI TRATTA DELLA PRIMA VOLTA CHE UNO STATO MEMBRO ESCE DALL'UE E LE CONSEGUENZE POTREBBERO SCONVOLGERE LA VITA DI TANTE PERSONE

Christoph Scholz / Flickr

Era il 23 giugno 2016 quando i cittadini britannici si espressero con un inaspettato 51,9 % a favore dell’uscita dall’Unione europea, aprendo così a una lunga fase di instabilità politica ed economica. Da quel giorno sono passati quasi 3 anni, eppure non si è ancora giunti a un accordo tra le parti che possa regolare i rapporti dopo l’effettiva uscita del Regno unito, scongiurando così il rischio di hard Brexit. Quest’ultimo caso sarebbe infatti quello più temuto, per evitarlo è necessario trovare un accordo entro il 31 ottobre di quest’anno, deadline fissata dal consiglio europeo, già frutto di varie proroghe.

A pagare questa indecisione del parlamento e il fallimento delle trattative saranno i cittadini britannici, ma ancora di più i tanti stranieri che vivono e lavorano nel Regno Unito, che si ritroveranno, molto probabilmente ad affrontare una lunga fase di crisi economica, politica e anche sociale. Per vedere la situazione da un altro punto di vista, due italiani residenti nel Regno Unito e due inglesi residenti in Italia hanno deciso di raccontare le loro opinioni e il modo in cui stano vivendo sulla loro pelle il processo di Brexit.

Ilovetheeu / Wikipedia

POCHI PROBLEMI, MA MOLTA INCERTEZZA – Luca da un anno e mezzo lavora a Londra come supervisor per una famosa catena alberghiera: “Fino ad adesso non abbiamo avuto nessun tipo di problema perché la Brexit non è ancora diventata effettiva. Tutto è ancora da vedere, ma di concreto ancora non vi è nulla, solo delle supposizioni. I reali problemi arriveranno dopo l’avvento del Brexit e  riguarderanno vari settori, a partire da quello sanitario: molto probabilmente non basterà più la tessera sanitaria italiana o di un altro paese europeo per avere accesso al sistema sanitario britannico, ma ci vorrà un’ulteriore tessera del posto”. Finora, secondo gli accordi europei, a un cittadino italiano bastava la tessera sanitaria nazionale per poter richiedere l’assegnazione del medico di base e per accedere alle cure sanitarie ospedaliere. “Altri problemi invece riguarderanno sicuramente l’arrivo di nuovi europei sul territorio britannico – prosegue Luca –  poiché i voli costeranno di più e poi non basterà solamente la carta d’identità per entrare in Regno Unito, servirà sicuramente il passaporto e probabilmente anche il visto”, che per adesso non viene richiesto in quasi nessuno stato europeo in virtù degli accordi di Schengen (a cui però il Regno Unito ha sempre rifiutato di firmare). Finora per trovare casa e lavoro non era necessario presentare documenti particolari: l’ Unione Europea ha detto che garantirà le stesse condizioni ai cittadini britannici che risiedono in Europa, a patto che il Regno Unito faccia lo stesso. “La mia personale opinione è che la scelta del leave creerà condizioni davvero pessime, sia per noi stranieri sia per gli inglesi stessi. Unica nota positiva – spiega ancora Luca –  sono le varie manifestazioni che avvengono negli ultimi mesi per esprimere dissenso al Brexit e a favore della permanenza nell’Unione europea. Queste manifestazioni hanno raggiunto, talvolta, un milione e mezzo di manifestanti e da questo percepisco che l’opinione degli inglesi sta cambiando, poiché probabilmente molti se ne sono pentiti di aver votato leave nel 2016.

PREZZI ALTI E TANTE DIFFICOLTÀ PER GLI ULTIMI ARRIVATI – “Gli italiani qui a Londra, almeno per adesso e sempre che abbiano già un lavoro, non sentono molte differenze, se non un forte aumento dei prezzi – spiega Gabriella, che da circa un anno vive a Londra, dove fa l’insegnante di italiano, dopo aver passato un breve periodo a Brighton. “Per farti un esempio: una mia collega mi ha raccontato che mentre prima riusciva a fare una spesa settimanale con 100 £, adesso deve spendere circa il doppio; per non parlare dei prodotti italiani, che hanno raggiunto dei livelli mai visti prima. Questo aumento dei prezzi si è ripercosso anche sul costo dei voli aerei, dato che io per tornare in Italia ho dovuto spendere 350 £, un prezzo davvero assurdo, che corrisponde a un volo per andare negli Stati Uniti”. Oltre ai prezzi, è da segnalare anche una forte difficoltà per i giovani italiani arrivati da poco che cercano lavoro in questo periodo: “Alcuni miei amici che sono rimasti senza contratto stanno facendo molta fatica a trovare una nuova occupazione, poiché molte agenzie di risorse umane rispondono che, in questo periodo di incertezza, preferiscono assumere solamente cittadini inglesi o stranieri extraeuropei. Invece per quanto riguarda la mia situazione – precisa Gabriella – i veri problemi li avrò quando il brexit diventerà effettivo e dunque dovrò rivolgermi all’AIRE (anagrafe italiani residenti all’estero) per richiedere lo status di cittadino italiano residente nel Regno Unito, che è molto difficile da ottenere. Per averlo è necessario soddisfare certi criteri: avere un contratto indeterminato oppure determinato per almeno 3 anni, essere residenti nel Regno Unito da almeno 5 anni e avere un conto in banca. Riguardo le manifestazioni che attraversano Londra e le principali città inglesi in questi mesi, secondo Gabriella “alle manifestazioni partecipano per la maggior parte stranieri e molti pochi inglesi. Magari dall’estero può sembrare che l’opinione della gente sia cambiata, ma invece l’inglese medio è ancora favorevole alla Brexit nonostante i problemi economici che potrebbero esserci. Il motivo più valido è la loro contrarietà alla massiccia migrazione degli europei”.

Stephen Darlington / Flickr

PAROLA AGLI INGLESI – Se le testimonianze degli italiani erano abbastanza concordi, intervistando gli inglesi sono sorte opinioni totalmente opposte. Martin, sessantenne pensionato inglese che vive da molti anni a Parma, che ha spiegato chiaramente che ” sono favorevole alla Brexit, perché non voglio che le decisioni del Parlamento europeo possano influire sul governo del Regno Unito e dunque sulla mia vita. Voglio semplicemente che il mio destino e quello della mia nazione non siano sotto il controllo di altri stati europei come la Germania e l’Italia. Per quanto riguarda gli italiani all’estero, non penso ci siano problemi se sei nel Regno Unito per studiare, lavorare o comunque se hai una buona situazione economica”.

L’opinione di Tobias Jones, giornalista del Guardian che risiede stabilmente in Italia da 2 anni, è completamente opposta: “Sono favorevole al remain, ma capisco bene le ragioni che hanno portato tanti cittadini britannici a votare leave, perché anche se in misura minore anch’io sono scettico verso l’Unione Europea, come lo sono tutti credo. A questo proposito mi sono accorto che qui in Italia non sono stati spiegati bene i motivi del voto referendario e i dubbi dei cittadini inglesi: l’Unione Europea non è mai stata esplicita sul progetto che voleva fare, quando il Regno Unito ha deciso di farne parte, quasi 50 anni fa. Era un’unione commerciale e nient’altro. Invece adesso le competenze specifiche dell’Unione aumentano di anno in anno e allo stesso modo si incrementano i paesi che ne fanno parte. Questo passaggio non è mai stato chiarito o chiesto ai britannici e in seguito a questi cambiamenti così radicali, dal punto di vista della sovranità, è normale che ad un certo punto un popolo si chieda: ‘Siamo noi la nazione o non lo siamo più?”. Siamo arrivati al punto che, conclude Tobias, “o gli inglesi si dicono pronti di dire addio al proprio concetto di nazione in senso stretto, che a me non farebbe nessuna differenza, oppure in caso contrario non si può più andare avanti con l’Unione Europea”.

t-a-i / Flickr

GOVERNO IN STALLO E TRATTATIVE A RILENTO –  Negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi, il governo britannico guidato dalla conservatrice Theresa May sta cercando di trattare con i leader europei per giungere a una ‘soft Brexit’, cioè un uscita dall’Unione con un accordo favorevole per entrambe le parti. Ma il problema è che questo accordo deve essere approvato anche dal Parlamento britannico, cosa che fino ad adesso non è mai avvenuta; ad oggi, di fatto sono stati respinti tutte le possibili tipologie di accordi, il che rende sempre più possibile l’hard Brexit. L’unico risultato che ha raggiunto fino ad oggi il governo sono state delle continue proroghe alla data di uscita dall’Unione, un risultato molto scarso, che delude tanti cittadini britannici. Il problema principale è che la coalizione di governo non ha la maggioranza assoluta, si tratta dunque di un governo di minoranza, che fa molta fatica ad approvare gli accordi. Ma i problemi non finiscono qui perché, come spiega Tobias Jones, “vi è anche una forte spaccatura fra gli stessi conservatori: mentre alcuni seguono la linea della May e quindi del soft Brexit, altri vorrebbero spingere per un hard Brexit e quindi uscire dall’Unione velocemente e senza accordi. Inoltre, l’altro problema nella maggioranza è il partito degli irlandesi del nord (Partito unionista democratico), principale alleato della May, che fa del confine irlandese una questione vitale, sul quale non vuole fare passi indietro”. Si tratta del cosiddetto ‘backstop’, cioè un accordo per garantire il mantenimento di un confine non rigido tra la Repubblica d’Irlanda (parte dell’Unione Europea) e l’Irlanda del nord (dentro al Regno Unito). “Ma i problemi non sono solo nella maggioranza – spiega Tobias – anche nell’opposizione ci sono delle grosse difficoltà, a partire dal leader laburista, Jeremy Corbin, che a mio parere è abbastanza incapace a gestire questa fase”.

di Davide Sereni

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