Giovani amori e lezioni superflue: il cliché dell’amore contrastato

IN A UN METRO DA TE JUSTIN BALDONI SI CONFRONTA CON LA SOLITA STORIA STRAPPALACRIME, MA IL TONO LEZIOSO NON VERRÀ CERTO APPREZZATO DAL PUBBLICO TEEN DI RIFERIMENTO

Lo slogan è banale ma vero: amarsi vuol dire toccarsi. A un metro da te è uno di quei drammi sentimentali, scritti apposta per gli adolescenti, dalla trama molto classica: due giovani che si amano e che non possono però godere appieno il proprio amore. Se però in Giulietta e Romeo il limite era il dissidio tra le due rispettive famiglie, nel film diretto da Justin Baldoni l’ostacolo è invece la malattia: Stella Grant (Haley Lu Richardson) e Will Newman (Cole Sprouse) sono affetti entrambi da malattie rare e questa condizione impedisce loro di avvicinarsi a meno di un metro.

I giovani non possono baciarsi né toccarsi, altrimenti si trasmetterebbero batteri maligni a vicenda; la vita in ospedale si trascinerebbe in agonia, se non fosse per la voglia di vivere dei giovani che rompe un po’ l’atmosfera ovattata dei reparti. A farla da padrone nell’intreccio della loro storia d’amore sono i primi piani dei ragazzi, e forse questa è la parte migliore della fotografia. Gli sceneggiatori, forse ispirati dalla scia del film precedente ‘Colpa delle stelle’, si sono fatti prendere la mano nello scrivere scene poco plausibili. La mancanza di verosimiglianza per fortuna viene compensata dalla recitazione, che rende il film ricco di emozioni.

E proprio per la sua intensità, la musica risulta spesso ridondante, troppe volte utilizzata per sottolineare momenti che forse era meglio lasciare alle facce così espressive di Lu Richardson e di Sprouse.
L’insistenza sul tema del respiro, dell’aria aperta in contrapposizione agli ambienti chiusi ospedalieri, e sul tema dell’acqua, del tuffarsi, metafora del coraggio, sarebbero già sufficienti da soli per una narrazione solida.

Il senso di colpa di essere vivi al posto di qualcun altro, e dall’altra parte l’innocenza e l’ingenuità nel correre rischi mortali per amore formano un’altra coppia antinomica nel racconto. La coppia Will-Stella è abbastanza stereotipata, soprattutto per quei simbolismi luna-donna e sole-uomo così atavici: la ragazza è spesso ad occhi chiusi, padrona del buio e della notte (Stella ha la mania del controllo, è intuitiva), mentre il fidanzato vuole “regalarle” la luce (Will è il classico ragazzo ribelle, ma sensibile e ironico).
In realtà si scopre poi, anche qui in maniera stereotipata, che è lei ad avere coraggio, mentre lui rivela un lato pessimista e oscuro: solo l’amore per Stella gli farà cambiare idea.
Non convince il finale con la rottura della quarta parete, e con un messaggio superfluo rispetto a una trama che già da sola suggerirebbe allo spettatore l’importanza del sentimento: i silenzi imbarazzati di ‘A un metro da te’ parlano già abbastanza.

di Fabiano Naressi

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