Fuori campo: le voci dei detenuti del carcere di Parma

IL 13 MAGGIO SI È TENUTO L'INCONTRO "UNIVERSITÀ E CARCERE. IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI", PRESSO IL CARCERE DI PARMA. STUDENTI DETENUTI E NON HANNO MESSO IN SCENA UNA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE, A CUI È SEGUITO UN MOMENTO DI DIBATTITO SUL FUTURO DELLA FUNZIONE RIEDUCATIVA DELLA PENA DETENTIVA.

“Anche se io non sono mai andato all’Università, qui l’Università è venuta a trovarci”.

Lunedì 13 maggio alcuni studenti dell’Università di Parma hanno incontrato i detenuti degli Istituti Penitenziari di Parma, in occasione dell’incontro Università e carcere. Il castello dei destini incrociati.  Erano presenti Vincenza Pellegrino, docente di Sociologia dell’Università di Parma e delegata del Rettore per le attività universitarie negli Istituti Penitenziari di Parma, Paolo Andrei, rettore dell’Università, Vincenzo Picone, regista e sceneggiatore teatrale, Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà e Franco Prina, presidente della Conferenza nazionale dei delegati dei Rettori per i PUP (CNUPP).

L’iniziativa è la prima dei quattro appuntamenti organizzati in occasione della tre giorni (13-15 maggio) dedicata alla relazione Università-carcere. L’obiettivo di questi incontri è avvicinare le due istituzioni , affinché la didattica e la ricerca universitaria pongano maggiore attenzione sul senso che ha il produrre e consumare cultura in un istituto penitenziario.

Durante l’incontro, i detenuti presenti hanno messo in scena una piccola produzione incentrata sull’opera ‘Il Castello dei destini incrociati’ di Italo Calvino. Il romanzo racconta l’arrivo di alcuni viandanti in una taverna, dove trovano ristoro e cominciano a banchettare. Il momento si interrompe, però, quando i viandanti scoprono di aver perso la facoltà di parola. Interviene allora l’oste che, poggiando un mazzo di tarocchi sul tavolo, permette a ciascuno di raccontare la propria storia attraverso quelle carte. Si tratta di storie distanti, ma intrecciate. Allo stesso modo, i neo attori si sono persi nel ‘bosco della vita’ per poi ritrovarsi, insieme, in un luogo afono dove la loro storia trova voce grazie ai tarocchi, o ‘invarianti narrativi’, come li chiama la Pellegrino.

Foto di Cultura – Biografieonline
Tarocchi marsigliesi

Alle voci dei reclusi si alternano quelle dei tutor: studenti universitari che seguono all’interno del carcere alcuni detenuti nel loro percorso scolastico e che hanno partecipato al laboratorio teatrale. Insieme a loro, i ragazzi hanno recitato Calvino e dato rilievo alla storia dei propri studenti. Il rapporto confidenziale e di reciproco insegnamento creatosi durante questa esperienza, è apparso evidente, tanto che, per parlare della propria esperienza da tutor, una studentessa ha deciso di leggere alcune righe della tesi di laurea del suo ‘alunno’.

Alcuni detenuti si destreggiano con confidenza sul palco. Altri inciampano nelle parole. Ciò che non manca, tuttavia, è la determinazione a raccontarsi e a mettere in scena della cultura. “Noi abbiamo un sapere limitato, incarcerato”, confida il detenuto X, ma la speranza è che progetti come questo laboratorio costituiscano solo un primo passo nel processo di rieducazione che spetta ad ogni detenuto. Rieducazione non intesa, però, come ‘correzione’, ma come un augurabile ‘possibilità di’. Secondo Vincenza Pellegrino, infatti, è essenziale che ciò che è ‘possibile’ smentisca la propria componente utopica e riesca ad istituzionalizzarsi. È in quest’ottica che Università e carcere di Parma stanno collaborando per la nascita del PUP (Polo Universitario Penitenziario).

Che valore ha, però, una laurea conseguita in carcere? Secondo il garante nazionale Mauro Palma non è sufficiente ridurre la barriera fisica, sociale e culturale tra chi sta ‘fuori’ e chi sta ‘dentro’. È tempo di riconsiderare la concezione stessa del carcere. Lo Stato, sostiene Palma, non deve muoversi affinché il detenuto stia nel miglior modo possibile all’interno della cella, ma affinché ci stia il meno possibile. “Si va in carcere perché si è puniti, non per essere puniti”. In altre parole, è importante che il detenuto non inizi un percorso di studi per ‘passare il tempo’, ma nell’ottica di un arricchimento personale e di un’auspicabile vita futura fuori dall’istituto. Al binomio università-carcere andrebbe dunque aggiunto il fattore ‘città’. Questa deve affrontare la questione del ‘dopo’ e rivedere il proprio ruolo nel processo di integrazione del detenuto. Oggi, sostiene Palma, il carcere è considerato un posto di esclusione, ed è destinato ad esserlo fino a quando non passerà dall’essere ‘non luogo’ a luogo di conoscenza.

All’anno 2018-2019 sono circa 800 gli studenti detenuti iscritti all’Università: circa l’1,3% della popolazione detenuta. Un numero irrisorio. Invece, la recidiva è al 70 % e il sovraffollamento al 129,3 %. Quest’ultimo dato, tuttavia, non è dovuto all’aumento degli ingressi, ma al calo delle uscite. Questo tema è stato anche al centro della conferenza ‘Marcire in carcere’ al Salone internazionale del Libro di Torino 2019. Al dibattito ha preso parte Emilia Rossi, membro del Collegio del Garante nazionale dei detenuti. “Marcire in carcere – sostiene la Rossi – è un’espressione vecchia creata da una volontà politica, ma in aperto contrasto con il dettato culturale. Oggi serve una riflessione seria su una alternativa alla pena detentiva“.

di Martina Santi

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