La fotografia di reportage: intervista a Marco Gualazzini

IL VINCITORE DEL WORLD PRESS PHOTO 2019 RACCONTA IL RUOLO DEL FOTOGRAFO DI REPORTAGE OGGI. LA FOTO COME 'ARMA' DI DENUNCIA SOCIALE

 

 

Quale ruolo ricopre la fotografia nel mondo contemporaneo? Questo è il tema al centro della nostra chiacchierata con il fotografo italiano di fama mondiale Marco Gualazzini, nato a Parma nel 1976 e fresco vincitore del prestigiosissimo premio internazionale ‘World Press Photo 2019’.

Reportages fotografici di indagine politica e sociale soprattutto in territori a noi lontani come quelli dell’ Africa centro-meridionale, sono il suo pane quotidiano. “La fotografia per me non è mai stata un piano A, mi ci sono un po’ trovato per caso”, spiega Gualazzini. Il suo avvicinamento al mondo della fotografia avviene durante gli anni di studi universitari in Conservazione dei beni culturali quando, grazie all’ incontro con Gianluigi Colin, si affaccia al mondo del fotogiornalismo. Dopo una breve esperienza di studio presso l’Istituto Europeo del Design, conseguentemente ad un consiglio ‘preso un po’ troppo alla lettera’ dispensato dagli stessi professori “iniziai a fare esperienza sul campo e partii per l’Afganistan. Dopo aver fallito il servizio in Afganistan andai a bussare alla Gazzetta di Parma dove mi presero per fotografare la cronaca quotidiana”.

Ciad, Bol, 2018 (M. Gualazzini)

IL PRIMO LIBRO- Dalla cronaca contemporanea nasce ‘Resilient’, edito da Contrasto. Ricordando il suo primo libro, Marco Gualazzini sottolinea l’importanza del racconto e della presa di coscienza da parte del mondo, di avvenimenti che altrimenti rimarrebbero nella penombra; nelle sue fotografie l’aspetto estetico non è irrilevante, ma ci tiene altresì a sottolineare che l’estetica non deve per forza essere quella canonica del ‘bello’, ma “come ben insegna la storia dell’arte, anche l’anti-grazioso può essere ritenuto estetico”.

Il fotografo Marco Gualazzini

INFORMAZIONE- Questa è la parola chiave attorno alla quale ruota tutto il suo operato. “Cerchiamo forse – commenta Gualazzini pensando al ruolo del fotografo – di non permettere che si ripeta ciò che è successo nel secolo scorso”. Gualazzini dichiara di non porsi troppo il problema di chi sarà il fruitore della sua fotografia; ma è pur conscio del fatto che un pubblico lontano dagli avvenimenti raccontati potrebbe essere più interessato alla sua opera. L’autore insiste sull’importanza di informare, tenendo in considerazione il dovere di non scegliere in maniera eccessivamente selettiva gli eventi da riprendere, anche se talvolta ‘forti’ o cruenti. L’onestà e la non falsificazione del documento fotografico sono per lui una linea guida.

LA PROFESSIONE- Parlando dei cambiamenti che nel corso degli anni sono subentrati in questa professione, Gualazzini sostiene che “al giorno d’oggi anche nei paesi in via di sviluppo esistono fotografi capaci, senza tralasciare il fatto che le persone hanno accesso ad apparecchi che permettono di fare ottime fotografie; per questo motivo è venuta a meno la necessità che siano fotografi provenienti dai paesi ‘sviluppati’ a recarsi ‘dall’ altro capo del mondo’ per fare breaking news . Al contrario, a parte pochi eletti, oggi chi fà il mestiere del fotoreporter  va alla ricerca di una storia da raccontare, è una fotografia più lenta e ragionata, di approfondimento“.

“La professione del foto-giornalista permette di entrare strettamente in contatto con ‘culture altre’, immergendosi in situazioni nelle quali la proprio presenza non sarebbe giustificata senza avere un ruolo come quello di giornalista, fotografo, medico, umanitario o missionario, un ruolo attivo insomma”.

Coerentemente con gli intenti informativi, secondo Gualazzini il ruolo del fotografo di reportage è assolutamente complementare con quello del giornalista, arrivando addirittura a negare la compiutezza del lavoro foto-reportagistico se non accompagnato da quello giornalistico.

Somalia, Bosaso, 2015-M. Gualazzini

FRIUZIONE DEL PRODOTTO FOTOGRAFICO- Qual è il luogo ideale per esporre una fotografia di reportage? Gualazzini riconosce nella carta stampata, nei papers e magazines questo luogo, ma indica la mostra fotografica come apogeo nella ‘vita’ di una fotografia, che nasce per essere stampata su carta fotografica, non per finire sul web”. “Esponendo in una mostra questo genere di fotografie il rischio è quello di creare un’ estetizzazione del dolore, alienando il vero significato dell’ immagine, creandone un’ opera d’ arte; per questo motivo – spiega il fotografo – alcune teorie sostengono che certe foto dovrebbero essere usufruite solo da ‘addetti ai lavori'”.

di Alessandro Castellani

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