Padellaro all’Università: il giornalismo tra decadenza, vecchie e nuove sfide

IL DIRETTORE DEL 'FATTO QUOTIDIANO' INCONTRA GLI STUDENTI

padellaro.art“Vi ringrazio per l’invito. Non lo dico in modo retorico, ma perché a me piace molto uscire, quando posso, dalle mura della redazione e avere contatti con la realtà. La realtà non è soltanto quella che immaginiamo ogni mattina nella riunione di redazione ma è molto più complessa, più vasta, più difficile da interpretare”. Apre così Antonio Padellaro, direttore de ‘Il Fatto Quotidiano’, l’incontro con gli studenti del corso di laurea magistrale di Giornalismo e cultura editoriale dell’Università di Parma. Ad introdurre l’appuntamento, nella mattinata dell’11 dicembre in Aula Ferrari, la presidente del corso Annamaria Cavalli, affiancata da Maurizio Chierici, docente di Giornalismo laboratoriale e tra i fondatori del ‘Fatto Quotidiano’, che ha moderato il confronto tra il giornalista e gli studenti.

 

LA CARRIERA – Antonio Padellaro inizia la sua carriera giornalistica molto giovane: nel 1968 viene assunto all’Ansa, l’agenzia di stampa più importante in Italia, e dopo tre anni arriva nella redazione del ‘Corriere della sera’, in cui rimarrà per vent’anni. “Il primo ricordo – interviene il professor Chierici – è quello di un giovane reporter politico, che nella prima pagina del Corriere nell’ ’82 raccontava questa strana storia che era la storia della P2, non sapendo che, tra i corridoi del Corriere, i due editori e il direttore erano iscritti alla P2. È riuscito a raccontare tutto quello che si poteva raccontare – continua Chierici -, poi la storia ha preso una svolta drammatica e voi sapete qual è”. Nel 1990 Padellaro viene assunto al settimanale di approfondimento ‘L’Espresso’ come vice direttore, successivamente arriva a ‘L’Unità’, diventandone direttore dal 2005 al 2008. “Sotto la direzione di Furio Colombo e Antonio Padellaro, L’Unità è rinato – spiega il docente – diventando un giornale liberal, che vuol dire progressista e nello stesso tempo rispettoso di tutte le realtà. Poi il partito di riferimento del giornale ha voluto tornare a gestirne la proprietà e a questo punto i direttori sono andati via, parte della redazione si è sciolta ed è nato Il Fatto Quotidiano”. “Un giornale insolito nella realtà italiana– sottolinea Chierici a proposito del quotidiano fondato e diretto dal 2009 da Padellaro – perché legge la realtà mettendoci le mani sotto, sempre dalla parte del lettore, con una particolare attenzione verso i giovani. Non ha un editore, nasce come una sorta di cooperativa di giornalisti, quindi la libertà è assoluta e le tendenze sono tutte presenti. È anche questo un giornale liberal che però non si limita solamente a registrare la realtà, ma cerca di scoprirne le varie facce nascoste”.

 

IL COMPITO DEL GIORNALISTA – “L’esperienza complessiva della mia attività professionale -prende la parola Padellaro – mi ha convinto sempre di più che quando noi facciamo il giornale e costruiamo l’informazione, immaginiamo un mondo che è il mondo di noi giornalisti”, senza tener conto di alcuni aspetti fondamentali del mestiere: non si può scrivere sulla base dei propri interessi, ma bisogna pensare a informare il proprio lettore. “Il mondo dei giornali è sotto certi aspetti un mondo artificiale, che viene costruito nella redazione secondo uno schema che fa parte della tradizione dei giornali e non tiene conto di tanti aspetti reali. Il giornalista politico – spiega – ambisce ad esser letto dal mondo della politica, utilizzando spesso un linguaggio iniziatico. Se voi leggete le cronache politiche di oggi – continua Padellaro – comprese quelle del ‘Fatto Quotidiano’, vedete che c’è tutto un rituale che non riesce a cogliere il punto. Noi giornalisti stiamo scomparendo, stiamo decadendo, perché riempiamo i giornali di informazioni spesso inutili“.

 

ABOLIRE L’ORDINE DEI GIORNALISTI –  Entrando nel vivo del confronto, con la schiettezza che spesso lo contraddistingue, Padellaro interviene ‘a gamba tesa’ sulla questione dell’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti. “L’Ordine – ricorda – è stato istituito in epoca fascista. Il fascismo aveva deciso in maniera intelligente, ma ovviamente autoritaria, che il giornalismo doveva essere inquadrato e controllato. È un residuo del passato assurdo, inutile, costoso, vessatorio“. Un’esperienza in cui il giornalista è stato coinvolto direttamente. Durante il Governo Berlusconi, infatti, Padellaro è stato processato dall’Ordine dei Giornalisti per il reato di omesso controllo, per cui, secondo la norma, il direttore di un giornale ha l’obbligo di conoscere tutto ciò che viene pubblicato sulla sua testata, ma anche ciò che sta alla base dell’informazione. Responsabilità che si complica se si considera però la mole di notizie locali pubblicate che arrivano da altre sedi rispetto a quella centrale del giornale. “Il nostro inviato Antonio Massari – spiega il direttore – aveva scoperto che c’era un’indagine della procura di Trani perché Berlusconi stava cercando di sabotare la trasmissione di Santoro ‘Il raggio verde’, e uno degli indagati era Augusto Minzolini, allora direttore del Tg1. In una prima edizione diciamo che Minzolini era indagato per concussione, poi il giorno dopo rettifichiamo e diciamo che l’accusa era un reato minore: aveva raccontato a Berlusconi l’esito di una sua testimonianza resa davanti a un magistrato. Minzolini, quindi, mi porta davanti all’Ordine che ha anche il compito di vigilare sulla deontologia professionale, ovvero deve tutelare la deontologia e soprattutto dirimere le controversie tra giornalisti decidendo le sanzioni. Quando vengo convocato – continua – c’era questo tribunale, ma formato da chi? Personaggi che non ho mai visto scrivere una riga, anche piuttosto accigliati e severi, che hanno iniziato a interrogarmi. Così sono stato ammonito dall’Ordine”, racconta.
Un esempio su tutti a sostegno della decisa posizione di Padellaro a favore dell’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. “È assurdo che uno che scrive su un giornale deve essere iscritto all’Ordine. Ma perché Barbara D’Urso non può fare interviste? Perché deve avere il timbro, l’autorizzazione di chi? Di qualche burocrate della professione che decide chi deve fare l’intervista e chi non deve farla, chi deve scrivere e chi non deve scrivere, chi deve essere sanzionato e chi no?”. Prosegue poi ricordando che una legge del Parlamento impone l’aggiornamento professionale ai vari ordini. “Ma il giornalista su cosa si deve aggiornare? – si domanda Padellaro -. Spesso i docenti che tengono questi corsi sono personaggi ignoti agli stessi giornalisti. Quindi cancelliamo l’Ordine“, esorta Padellaro.

 

LA PAROLA COME BIGLIETTO DA VISITA – Tra gli altri temi affrontati durante l’incontro, l’uso sempre più frequente, anche da parte di alcuni giornalisti, di un linguaggio basso, volgare: le cosiddette “brutte parole” come le chiama una studentessa proponendo la questione. “Le cattive parole -sostiene Padellaro- non dovrebbero essere trasferite su un giornale. Non per un senso del decoro aggiunge – ma perché spesso la parolaccia, se non è un elemento che serve a descrivere un ambiente, un personaggio, una situazione e diventa un uso comune, è il segno di una semplificazione che non consente al giornalista di approfondire un tema e al lettore di comprendere il valore del tema trattato. La banalizzazione è un modo primitivo per non affrontare i problemi“. Un uso del genere, secondo il giornalista, viene riscontrato spesso anche nell’ambiente politico. “Oggi la politica è fatta di cattive parole. Si preferisce la battuta al ragionamento e quindi si svilisce la politica e la si fa diventare qualunquismo. La parola – continua – è l’espressione più alta dell’intelletto. I più grandi leader politici sono stati dei grandi oratori ed essere un grande oratore non significa usare un linguaggio aulico, retorico, ma significa avere l’arte della convinzione. Convincere”. Si sofferma quindi su alcuni tra i politici che, a suo avviso, hanno saputo utilizzare al meglio le capacità espressive del linguaggio: da Bill Clinton a Tony Blair, i Kennedy e Barack Obama. Una competenza fondamentale per un giornalista, ma non solo. “Sapersi esprimere è il nostro biglietto da visita quindi più il linguaggio si imbarbarisce e si semplifica, più non si esprimono concetti ma soltanto cattivi umori. E con i cattivi umori non si combina nulla. Né nella vita normale e tanto meno nella politica”.

 

TRA FATTO QUOTIDIANO E M5S – Gli studenti di giornalismo affrontano anche la tematica del rapporto tra organi di stampa e politica. Una delle domande poste in questo senso riguarda la linea editoriale adottata dal Fatto Quotidiano nei confronti del Movimento 5 Stelle. “Non ritenete di essere troppo morbidi nei confronti di questo partito?”, viene chiesto. Padellaro riparte dalle origini: “Il Fatto Quotidiano è nato nel 2009 ma la sua gestazione è cominciata nel 2008. A quei tempi il M5S era un movimento di opinione. Quelli erano anche gli anni di Berlusconi, che aveva stravinto le elezioni dopo la debacle di Prodi. Intanto stava montando su un movimento anti-casta, espresso benissimo dal libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, ‘La Casta’. Questo elemento è stato colto solo in una fase successiva dal movimento di Grillo. Il giornale ha colto prima del movimento questo vento che spirava, poi il M5S si è inserito con i risultati che tutti abbiamo visto.” Padellaro, scendendo nel vivo delle domanda, poi aggiunge: “Noi simpatizziamo per i motivi che hanno spinto 9 milioni di elettori a votare M5s, ma non sempre ne parliamo bene. Marco Travaglio, ad esempio, è uno di quelli che ha scritto i pezzi più feroci contro il M5S, specialmente sulle questioni riguardanti gli scontrini.” C’è tempo per soffermarsi anche sulle ultime vicende legate al movimento di Grillo: “Approvo la decisione del M5S di non entrare a far parte della giunta Marino a Roma, anche se da un lato dovrebbero imparare a rispettare chi li ha votati, cioè le persone che si aspettano che loro facciano veramente qualcosa per il Paese”.

 

CRISI DELL’EDITORIA – In ultima istanza si arriva alla questione dei finanziamenti ai giornali e alla crisi dei gruppi editoriali. “Il nostro giornale ha camminato sulle proprie gambe grazie ai lettori, molti dei quali poi sono diventati abbonati generando così ulteriori entrate. Ma non solo, la società per azioni del ‘Fatto Quotidiano’ ha chiuso ogni anno in utile”, dichiara Padellaro. “Oggi – ha aggiunto però – abbiamo dei problemi: avevamo raggiunto il picco massimo di vendite nel 2012, ma abbiamo perso abbonati e lettori negli ultimi anni”. Il direttore del ‘Fatto’ ha anche sottolineato quanto l’attuale momento di crisi abbia una portata tale da non coinvolgere semplicemente il settore dell’editoria: “Ciò è legato anche a fattori economici, la crisi dell’editoria è la stessa di libri e cinema. Viviamo un momento straordinariamente preoccupante – ha osservato Padellaro -. C’erano tre settori, forti, trainanti e parte del nostro stile di vita. Sempre più italiani fanno a meno di questi strumenti di arricchimento culturale.”
Possibili soluzioni? Padellaro illustra la ricetta del Fatto Quotidiano: “La crisi la stiamo affrontando con i tagli, abbiamo anche noi la nostra ‘spending review’ ed è giusto così. I nostri giornalisti devono essere pronti a fare dei sacrifici, perché tutti sanno di non essere semplici ‘burocrati dell’informazione’ ma di essere parte di un’impresa, come dico sempre, unica e senza precedenti.”

 

 

di Francesca Matta, Luca Mautone

Foto di Arianna Belloli

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