Dall’officina alle Olimpiadi: “Michelò, tu si ‘na cosa grande!”

LA STORIA DI ALBERTO MICHELOTTI, CLASSE 1930 E TANTA GRINTA ANCORA DA VENDERE

Michelo.1.000Il Don Carlos è una delle opere più complesse e monumentali di Giuseppe Verdi. Il personaggio stesso di Don Carlo, principe delle Asturie, ha una storia intricata e ricca di mistero, oltre che di colpi di scena. Probabilmente nessuno avrebbe potuto impersonarlo nel Club dei 27, gruppo di appassionati verdiani in cui ognuno porta il nome di un’opera del Maestro. A parte Alberto Michelotti, che di storie e aneddoti da raccontare ne ha davvero tanti.

 

DALL’OFFICINA AI CAMPI DA CALCIO – Classe 1930, arbitro di fama internazionale, grande appassionato di calcio, di motori e – come avrete capito – di musica lirica, Michelotti  non ha mai diretto una finale mondiale, ma nella sua carriera ha arbitrato 145 partite di seria A, un quarto di finale alle Olimpiadi di Montreal del 1976, l’incontro inaugurale degli europei di calcio giocati in Italia nel 1980, una finale di coppa Uefa e tre di coppa ItaliaMa lavorare come arbitro non è sempre stato il suo sogno, da bambino voleva diventare concertista, “Suonavo l’oboe ma ero seguito da un maestro che non mi trattava per niente bene. Una volta arrivò addirittura a chiamarmi bastardo perché mia mamma decise di dare a noi figli il suo cognome. Non ho mai avuto il supporto di un padre e quelle parole mi spiazzarono. Raccontai tutto a mia mamma che non ci pensò due volte a confrontarsi con l’insegnante. Alla fine decisi di abbandonare definitivamente la scuola”. A sei anni venditore di caldarroste, a dieci già capofamiglia, a tredici impiegato in officina. Adolescente, Alberto Michelotti comincia a giocare a calcio nella Giovane Italia, poi nel Parma Vecchia ed in seguito nel Fidenza, per poi ritornare nella sua officina. Si è avvicinato al mondo dell’arbitraggio casualmente. “Allora andavo a comprare dei cuscinetti da un ex arbitro che in gioventù mi aveva arbitrato. Avevo ventotto o ventinove anni, lui mi incoraggiava a diventare direttore di gara perché riteneva che il mio carattere fosse adatto. Così ho cominciato che avevo già 30 anni”.

 

MichelottiIL DEBUTTO IN SERIE A – Michelotti inizia la sua carriera arbitrale nella massima serie nel 1968 in Napoli-Varese. “Io venivo dalla Serie B dove allo stadio c’erano tra le diecimila e undicimila persone e quindi, non appena arrivai allo stadio di Napoli, più che emozionato ero frastornato”. Tredici anni dopo proprio nella città partenopea terminerà la sua carriera italiana. “I tifosi napoletani per l’occasione avevano esposto uno striscione Michelò tu si ‘na cosa grande!’: è stato molto emozionante perché ho capito quanto i napoletani siano affettuosi e che quando ‘adottano’ una persona le vogliono bene veramente”.    

 

ROMA-INTER 1972: L’ASSALTO DEI TIFOSI E LA FUGA – Parlare con Michelotti è davvero coinvolgente, perché con le sue parole riesce a trasportarti in quegli anni senza mai tralasciare i numerosi aneddoti che lo vedono coinvolto. Il primo riguarda la partita Roma-Inter del 1972. A pochi minuti dalla fine, l’arbitro parmigiano assegna un calcio di rigore a favore dei nerazzurri. Boninsegna realizza il gol e la tifoseria romanista invade il campo.Sono dovuto scappare di corsa e invece di percorrere l’autostrada, passai per gli Appennini. Nessuno sapeva dove fossi. I dirigenti chiamavano mia moglie, la quale era molto preoccupata. Mentre tornavo a casa, decisi di fermarmi in una trattoria per rivedere la moviola della partita. Alla fine avevo ragione.”

 

MICHELOTTI, RIVERA E CORSO – Famosi rimangono anche i suoi battibecchi con Mario Corso, storico capitano dell’Inter. La partita è contro il Verona e si gioca a San Siro. All’epoca quell’Inter era fortissima, ma nonostante ciò non riusciva a segnare. “All’ennesimo fallo mi si avvicinò Corso e disse: ‘Lei pensa di andare avanti ancora un po’? Se continua così non mette più piede a San Siro’. E io: ‘Vado avanti finché voglio, vai fuori!’. Corso alla fine prese cinque giornate di squalifica”. L’altro episodio col botto è stato con Gianni Rivera. All’ultima giornata di campionato, il Milan è avanti un punto sulla Juve e gioca in trasferta a Cagliari. Michelotti assegna un calcio di rigore per la squadra sarda all’89’. Rivera viene espulso (il calciatore sconterà in seguito due mesi e mezzo di squalifica) perché lo accusa di far parte di un complotto contro il Milan che quindi perde il campionato. Scoppia il putiferio. Qualche anno dopo l’arbitro si reca a Milano in aeroporto per andare a Barcellona a dirigere una partita di Coppa dei Campioni e qui incontra tutta la squadra del Milan in procinto di partire per Madrid per un’altra partita. “Sull’aereo l’allenatore Rocco venne da me e mi disse che al ritorno, noi due più Rivera ci saremmo fermati a Madrid finché non avessimo fatto la pace perché ‘due numeri uno non dovevano essere in collera tutta una vita’. Quell’anno poi arbitrai il Milan otto volte”.

 

Michelotti2PERSONALITÀ E AUTOREVOLEZZA: LE DOTI DI UN ARBITRO – Chi è appassionato di calcio può rendersi conto quanto la figura dell’arbitro sia cambiata durante il corso degli anni. “Oggi un arbitro è un professionista a tutti gli effetti. Quando lo facevo io pagavano solo le spese minime”. Probabilmente oggi è più facile arbitrare perché ai tempi l’élite era formata da avvocati, ingegneri e non da meccanici. “Dovevo fare la finale mondiale in Argentina ma siccome ero un metalmeccanico e un socialista mi hanno rubato questa opportunità”. Ma Michelotti ha la stoffa giusta, sa farsi voler bene e fermarlo è davvero difficile. “Durante la mia carriera ho trovato della gente che mi ha aiutato, perché non avevo molta dimestichezza nello scrivere. Noi arbitri infatti dobbiamo redigere sempre un referto sulle partite. Mi aiutarono figure come Brera e Zavattini”. Ha personalità da vendere ma non cambia mai carattere: dà del tu ai giocatori e qualche volta non frena la lingua. Sostiene da sempre che l’arbitro debba avere personalità e autorevolezza e andare in campo sereno senza essere influenzato da altre persone. Ma a differenza di altri apporterebbe delle modifiche al regolamento. “Già nell’82-83 io e Lo Bello dicevamo che nel calcio occorrono due semplici cose: un dispositivo che segnala se la palla è entrata effettivamente in rete  e l’introduzione del tempo effettivo come nel basket nel corso del quale si gioca intensamente senza interruzioni”.  Afferma che i migliori arbitri  italiani oggigiorno sono Tagliavento e Rizzoli.

 

IL CALCIO MODERNO? NON C’È PIÙ ITALIANITÀ – Su una cosa è certo Michelotti: il mondo del pallone è cambiato e non in meglio. “La serie A non è più il mio sport. La televisione ha alterato il modo di concepire il calcio. La gente va molto meno allo stadio perché ci sono partite quasi tutti i giorni. Non è più come prima, ora comandano gli sponsor”. Una considerazione anche sui molti giovani italiani con tanto talento  ma che non riescono ad inserirsi nei grandi club. “Il mondo del calcio è cambiato a danno dei nostri giovani. Ci sono tanti stranieri nelle squadre, probabilmente perché costa meno il loro debutto rispetto a quello dei nostri. Conte sta avendo molte difficoltà nella selezione dei calciatori, questo perchè fanno giocare gli esordienti italiani per  cinque o dieci minuti e logicamente non riescono a dimostrare il loro effettivo valore. Non c’è più Italianità!”   Michelotti3

 

ANCORA INARRESTABILE – Per molti aspetti Michelotti è considerato oggi uno dei migliori arbitri italiani e la sua bravura è dovuta in parte anche al suo passato da calciatore. “Avendo giocato a calcio capivo come funzionava in campo. Molti arbitri, invece, non avendolo mai fatto  spesso trovano difficoltà. Io sapevo dove stare e come muovermi. Spesso quando facevo l’appello capivo già come dovevo comportarmi e chi poteva dare fastidio. Si tratta di empatia, qualità che probabilmente avevo.” La sua carriera sportiva non si è conclusa con la fine dell’arbitraggio, dopo aver fatto parte del Coni per trentadue anni  si è dedicato all’insegnamento. È stato anche presidente della Lega di pallavolo nazionale,il direttore degli arrivi e partenze del Giro d’Italia e responsabile del Centro Avviamento allo Sport, dove fino a qualche anno fa si dilettava ad allenare bambini a cui insegnare il gioco del calcio. Un uomo tutt’ora inarrestabile, scrive libri e, conosciutissimo e stimato nella sua città, continua a parlare (e far parlare) di calcio, come opinionista nelle tv locali. Appassionato di Verdi, ha pubblicato anche una racconta di opere del Maestro per far conoscere al pubblico anche quelle meno famose ma ugualmente emozionanti.

 

 

di Luisa Di Capua, Elisa Zini, Chiara Corradi

1 Commento su Dall’officina alle Olimpiadi: “Michelò, tu si ‘na cosa grande!”

  1. ok eccellente.

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