Parla mentre mangi: la storia del cibo italiano

ALBERTO GRANDI PRESENTA IL SUO NUOVO LIBRO: DAI FATTI PIÙ CURIOSI A QUELLI PIÙ VERI, ECCO LA STORIA DEL CIBO ITALIANO

Il 15 ottobre, presso il Palazzo del Governatore, si è tenuta la presentazione di ‘Parla mentre mangi – Cose da sapere sul cibo per fare bella figura a tavola‘, libro scritto da Alberto Grandi, docente di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Parma.  Si tratta del primo dei tre appuntamenti della rassegna  “Libri di Storia – Incontri con gli autori”. La rassegna cerca sia di far conoscere più da vicino la ricerca svolta dall’Ateneo che, e soprattutto, di sostenere la diffusione della conoscenza storica e delle sue tante potenzialità. Hanno preso parte alla presentazione anche Andrea Borghini, dell’Università statale di Milano, Maura Franchi e Fabrizio Solieri, entrambi dell’Università di Parma.

PERCHE’ GLI ITALIANI PARLANO SEMPRE DI CIBO A TAVOLA? – Durante un convegno sulla dieta mediterranea, una professoressa americana rivolse ad Alberto Grandi la fatidica domanda: “Ma perché gli italiani parlano sempre di cibo a tavola?”. Come ricorda il docente: “La professoressa, durante la pausa pranzo, era soddisfatta della cucina italiana, ma allo stesso tempo piuttosto stupita nel vedere i suoi colleghi bisticciare a tavola per futili motivi. Se nell’amatriciana ci volesse l’aglio oppure no; se nella carbonara è meglio il guanciale o la pancetta; chi è il vero inventore dei tortelli di zucca? Se il prosciutto San Daniele è migliore di quello di Parma e se il Grana Padano sia paragonabile al ben più titolato Parmigiano Reggiano. O, ancora, se al pesce si può abbinare il rosso e non soltanto e sempre il vino bianco”.

Parlare di cibo ormai per gli italiani è diventata un’ossessione, perché fino a pochi decenni fa gli italiani, secondo l’autore, hanno mangiato poco e male. Dopo gli anni ’70, quando la crescita economica ha esaurito la sua fase più esplosiva, la cucina è diventata lo strumento identitario per eccellenza, ma questa identità è in gran parte inventata.

Partendo da questa constatazione, Alberto Grandi ha deciso di lavorare a questo glossario o, come lui stesso ha definito, a questa sorta di ‘menù’: dall’antipasto al primo, dal secondo piatto al dessert o alla frutta, fino ad arrivare, contro ogni pronostico, al cibo a base di insetti. Tutto questo nell’intenzione di raccontare le storie più curiose di cibi e piatti: “Quello che ho cercato di fare è stato mettere insieme i pezzi e raccontare l’evoluzione di diversi piatti diversamente da come in generale viene raccontata, questo perché io ho visto parti troppo ‘leggendarie’ che, secondo me, andrebbero tolte. Lo storico deve raccontare le cose per come sono avvenute. Ecco perché ho lavorato a questo libro: per svelare meccanismi e particolari del cibo che al pubblico può risultare sorprendente”.

PRIMATI QUASI IMPENSABILI-  Il benessere che gli italiani oggi stanno vivendo, al di là della ripresa economica, non è figlio della nostra cucina ma, viceversa, del benessere che il nostro Paese ha raggiunto negli anni ’60. In tale contesto l’autore ha voluto spiegare come certi cibi, che molti italiani considerano tradizionali, sono in verità frutto del benessere che abbiamo raggiunto ‘solo’ negli ultimi decenni: “Questo primato è dovuto all’innovazione, non certo alla tradizione, che al contrario, è sempre stata molto povera. – spiega il professore – Proprio per questo l’Italia ha investito molte energie nella costruzione di una cucina nazionale, o meglio, di tante cucine regionali che oggi sono una sorta di simbolo nazionale, forse più della bandiera o dell’inno di Mameli”.

Come lo stesso autore spiega, un esempio è dato dagli affettati misti: “Molto spesso ci capita di andare al ristorante e ordinare un tagliere di affettati misti. Nel libro spiego che una cosa del genere, fino alla Seconda Guerra Mondiale o anche poco dopo, sarebbe stata considerata una bestemmia, perché per come era organizzato l’allevamento suino, ognuno non si sarebbe mai sognato di tagliare i prodotti dal proprio maiale. Era uno spreco senza alcun criterio. Quello che facciamo oggi – continua Grandi – è frutto dell’industrializzazione dell’allevamento, grazie alla quale tutti i prodotti, dal prosciutto alla coppa, possono essere consumati contemporaneamente. Cosa che prima era praticamente impossibile”. E’ grazie, dunque, a questi processi di industrializzazione che l’Italia oggi può vantare dei primati che, fino a poco tempo fa, sembravano assolutamente impensabili.

Ma quanto ha influito l’industria nella qualità del cibo? “Tantissimo, fino a quando la produzione di cibo era quasi interamente artigianale, la qualità e la sicurezza erano sicuramente più basse. – continua Grandi – E’ stata l’industria che ha imposto certi prodotti a livello mondiale, come la Nutella o il Cornetto Algida, veicolando l’immagine di un Paese all’avanguardia anche dal punto di vista alimentare. Questi grandi successi, a loro volta hanno permesso l’affermazione di alcune specialità artigianali e in generale hanno imposto uno stile italiano, che prima non esisteva”.

Tuttavia, però, l’Italia ‘vanta’ anche un primato negativo: la cattiva alimentazione. Infatti, il primato gastronomico che gli italiani hanno ancora oggi è molto più recente di quanto possano immaginare. “Da pochissime parti mangerei male come in Italia“, diceva  Johann Wolfgang von Goethe nel saggio Viaggio in Italia (1829). Con questa citazione, Alberto Grandi afferma che in Italia, sia nell’800 che nel 900, c’era chi mangiava bene, ma se si voleva mostrare la propria eleganza nel consumare i cibi ci si rifaceva alla tradizione francese, perché quella locale era ritenuta di basso valore. “Nel parlare di questo recupero della tradizione io riconosco, quindi, una grande capacità imprenditoriale. – dichiara Grandi – Noi, da paese affamato che mangiava male, ci siamo trasformati in uno dei più grandi capitali della gastronomia italiana. Forse i migliori in assoluto”.

PARMIGIANO REGGIANO O… ‘AMERICANO’?  E’ dal XII secolo che l’Italia può vantarsi di aver dato vita a quello che oggi è un simbolo per il nostro Paese, un inno alla tradizione: il Parmigiano Reggiano, un formaggio che, come più volte dicono nella pubblicità, “lo si produce solo con le mani esperte del casaro”.

Tuttavia, nel libro “Denominazione di origine inventata“, Alberto Grandi ha affermato che il parmigiano reggiano originale è quello prodotto nel Wisconsin. Nel libro, infatti, l’autore scrive: “Il Parmigiano Reggiano come lo conosciamo oggi è molto diverso da quello di 50-60 anni fa. E invece quello dei nostri nonni assomiglia al tanto odiato Parmesan del Wisconsin. A portarlo negli USA sono stati gli italiani tra le due guerre mondiali. Mentre quello è rimasto uguale, il nostro si è evoluto. Non posso dire che non sia migliorato, ma quello del Wisconsin è l’originale”.

Sicuramente buona parte degli italiani, se non tutti, è della convinzione che la patria del Parmigiano è sempre stata l’Italia, non è un caso che il nome del formaggio sia accompagnato dal titolo ‘Reggiano’. Quindi, quanto può esserci di vero o di falso nella probabile origine americana del parmigiano? Il professore risponde: “Più che parlare di quanto sia vero o falso sarebbe meglio parlare di evoluzione storica e originalità. E io vedo che la ricetta originale sta appunto nel Parmesan del Wisconsin, che non è il prodotto che facciamo qui che, invece, è il frutto di un’evoluzione molto recente”. Per dare valenza alla sua teoria, il professore ha voluto ricordare che fino agli anni ’60 il parmigiano reggiano pesava tra i 20 e i 30 kg, con la pasta molto più grassa e più morbida. Mentre oggi il parmigiano ha una forma di 40 kg.

Nonostante, quindi, non si sappia con totale chiarezza se il parmigiano sia italiano o americano, quello che è certo è che le mani del casaro che hanno dato vita a questo capolavoro alimentare sono di un nostro connazionale. Come infatti dichiara Grandi: “Il Wisconsin, in generale, è uno stato dove si produce molto formaggio ma, come è storicamente dimostrato, andando a rivedere i nomi dei caseifici più antichi, si nota che quelli nati tra il ’20 e ’30 hanno tutti nomi italiani, per es. Rossi e Magnani. Persone che hanno emigrato negli Stati Uniti e che hanno lavorato la produzione del parmigiano con le stesse tecniche che si usavano in Italia”.

Con questo libro, quindi, il professore dà piena conferma del fatto che gli italiani siano un popolo ossessionato del cibo, ma questo è dovuto al fatto che noi, rispetto alle altre nazioni, riusciamo a guardare oltre il semplice mangiare: siamo interessati alla storia che c’è dietro ogni pietanza. Ma siamo sicuri di conoscerla bene la nostra storia?

di Mattia Celio

 

 

 

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