L’Iran apre lo stadio alle donne: chi vince questa partita?

DOPO PRESSIONI ESTERNE, L'IRAN HA CONCESSO ALLE DONNE DI ASSISTERE ALLE PARTITE DELLA NAZIONALE IRANIANA

Dalla pagina Facebook Let Iranian women enter their stadiums

Per la prima volta, dalla rivoluzione islamica del ’79, in Iran le donne possono liberamente entrare allo stadio. Il Governo ha però permesso il libero accesso alle sole partite della nazionale. Resta vietata l’entrata per le partite di club.

In Iran non esiste nessuna legge scritta che vieti l’ingresso delle donne negli stadi, ma alle tifose è comunque negato l’accesso. Le Istituzioni ritengono infatti che non sia consono, per una donna, assistere ad uno sport in cui gli uomini indossano calzoncini e maglietta come divisa. Per queste ragioni, il capo della magistratura iraniana aveva definito  “peccaminoso”, per il pubblico femminile, andare allo stadio. 

ECCEZIONI STORICHE – 5 ottobre 1981: è questa l’ultima volta in cui, in Iran, le donne hanno potuto assistere liberamente a una partita. Successivamente, le occasioni sono state poche e rare. Ad esempio nel novembre del 2001, a una ventina di donne irlandesi fu concesso di guardare la partita di qualificazione ai mondiali tra Iran e Irlanda. Mentre le iraniane dovettero attendere fino al giugno 2005, quando qualche decina di loro poté partecipare a un’altra partita di qualificazione, contro il Bahrain. Nel 2018, invece, le donne entrarono allo stadio Azadi – che, paradossalmente, in iraniano significa ‘libertà’ – per vedere Iran-Spagna ai mondiali di Russia. In quell’occasione, Teheran aveva concesso l’apertura dello stadio alle famiglie. Alcune eccezioni sono state fatte anche per l’amichevole contro la Bolivia, nell’ottobre del 2018 e per la finale dell’Asian Champions League, dove la presenza femminile fu di circa 500 donne.

IL MOVIMENTO OPEN STADIUMS – A lottare per l’apertura degli stadi di calcio al pubblico femminile è il movimento iraniano Open Stadiums. Il gruppo nacque nel 2013, ma operava già dal 2005. Una delle tecniche utilizzate dalle attiviste per assistere alle partite di calcio, è quella di travestirsi da uomo, indossando barba e baffi finti. Oppure, il movimento si riunisce davanti agli stadi, chiedendo l’accesso per “l’altra metà della società”. Open Stadiums si è poi rivolto all’organo predisposto, la FIFA, ma anche alle squadre di calcio e alle Organizzazioni Internazionali per i diritti umani. Oggi, le attiviste iraniane operano sui social, nel tentativo di raggiungere un pubblico sempre più ampio. Tra loro c’è Maryam Shojaei, sorella del capitano della Nazionale iraniana maschile, che lo scorso anno sollevò uno striscione con la scritta #NoBan4Women e fu per questo arrestata. Attualmente vive in Turchia e continua a sostenere la causa: “Perché possiamo sederci gli uni accanto agli altri negli spazi pubblici, ma non negli stadi? Mia madre da ragazza andava sempre allo stadio, ma non ha mai visto suo figlio giocare”.

IL CASO KHODAYARI- A convincere la FIFA a prendere una posizione dura contro l’Iran, minacciandone l’esclusione dai mondiali di Russia 2022, è stato il caso di Sahar Khodayari.

Nel marzo 2019,  Sahar si era travestita da uomo e aveva assistito ad una partita di calcio allo stadio Azadi. La ragazza era stata poi arrestata dalla polizia e successivamente rilasciata. A settembre è arrivata la sentenza della Magistratura iraniana: 6 mesi di reclusione. A seguito della condanna, il 9 settembre Sahar Khodayari si è data fuoco davanti a un tribunale di Teheran. È morta dopo due giorni, a seguito delle ustioni riportate.

La ragazza è diventata il volto della protesta femminile contro il Governo, con il nome di Blue Girl. Sahar infatti indossava sempre il blu dell’Esteghal, sua squadra del cuore. La notizia ha fatto il giro del mondo, costringendo lo Stato iraniano a permettere, almeno in parte, l’ingresso al pubblico femminile negli stadi.

UNO A ZERO PER LE TIFOSE? – In Iran, una donna non può cantare o ballare in pubblico, né può lasciare liberamente il Paese senza il permesso di padri o mariti: un fatto che, tra l’altro, ha riguardato la stessa Niloufar Ardalan, oggi capitano della nazionale femminile, costretta per questo motivo a rinunciare alla Coppa d’Asia.

Di fronte alla decisione del governo di concedere l’accesso alle partite della nazionale, si potrebbe pensare a un primo goal delle donne nella loro partita per i diritti. Ma, come sostiene Amnesty International, l’iniziativa di Teheran potrebbe anche essere “una cinica mossa pubblicitaria”. È allora giusto chiedersi se tale evento sia davvero un successo o piuttosto una strategia attuata dalle istituzioni iraniane per “rifarsi l’immagine”. Specialmente se tale decisione è l’esito di pressioni esterne e non il risultato di una democratica riconsiderazione del principio di uguaglianza.

Forse è ora che lo Stato iraniano giunga ad una seria presa di coscienza sul legittimo ruolo delle donne nella società e comprenda che quelle che oggi vengono considerate ‘concessioni’, sono in realtà diritti che finora sono stati negati. Le donne iraniane, invece, devono trarre nuova linfa da questo ‘primo passo’ e sperare di poter essere, un giorno, titolari della propria partita anche fuori dallo stadio.

 

di Federica Mastromonaco e Gabriele Gabbi

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