Il “Nabucco” del futuro e altre rivisitazioni: innovare un classico

UN CAPOLAVORO SI PUÒ RIADATTARE NEL TEMPO, MA COME SI AMMODERNA UN PUBBLICO?

Prima di Nabucco, Festival Verdi 2019, Teatro Regio di Parma, Foto: Roberto Ricci

Qualche isolata protesta, non tante quanto ci si poteva aspettare, ci sono state durante la prima del Nabucco di Stefano Ricci e Gianni Forte, tenutasi lo scorso 29 settembre al Teatro Regio di Rarma. Le contestazioni, già annunciate in precedenza, si sono puntualmente verificate, all’alzarsi del sipario di questa rivisitazione della celeberrima opera verdiana da parte del ‘duo terribile’ del teatro contemporaneo. A poco è servita la lettera di uno dei fondatori dell’associazione loggionisti che chiedeva di non recarsi a teatro già con “il fischio in tasca”. Il fischio c’è stato, ma non solo quello:  molti gli applausi per gli interpreti, mentre la critica ha generalmente accolto in maniera positiva questo adattamento.

Un capolavoro si può riadattare nel tempo,  ma quello che ci chiediamo invece è: come si ammoderna un pubblico?

Le rivisitazioni avvengono di frequente in vari campi dell’intrattenimento, ma mai come nel mondo dell’opera suscitano clamore e sgomento. Verrebbe da chiedersi per quale motivo ciò avvenga. È giusto, in generale, ‘provocare’ il pubblico con alterazioni di famosi capolavori come il Nabucco? Si tratta di un modo per dare nuovi significati e possibilità di lettura a qualcosa di preesistente o il rischio è quello di discostarsi dagli intenti dell’autore, snaturandone il      lavoro originale? Una questione senza dubbio complessa, che apre la strada a diversi scenari.


VIAGGIO NEL TEMPO DI UN CAPOLAVORO INTRAMONTABILE- L’opera di Verdi è ambientata in un lontano passato in cui gli Ebrei a Gerusalemme sono stati sconfitti da Nabucodonosor, re di Babilonia, il quale viene spodestato da Abigaille, che tutti pensano essere sua figlia, ma che in realtà è solamente una schiava. Quest’ultima decide di condannare a morte tutti gli ebrei, anche perché innamorata di uno di loro, Ismaele, ma non ricambiata poiché egli ama l’altra e legittima figlia del re, Fenena. La ragazza a sua volta ricambia l’amore di Ismaele e si converte all’ebraismo. Nabucodonosor, scoprendo che Fenena verrà uccisa, si rivolge al Dio degli Ebrei, convertendosi anch’egli. I suoi seguaci lo liberano dalla prigionia in cui l’aveva ridotto Abigaille. Il vecchio sovrano riesce così a riprendere il potere e a liberare il popolo ebraico, mentre Abigaille, ormai sconfitta, implora il perdono e si suicida.

Prima di Nabucco, Festival Verdi 2019, Teatro Regio di Parma, Foto: Roberto Ricci

Nonostante tematiche di portata universale quali la tirannia, la sottomissione di popoli, la religione e l’amore, ciò che ha scatenato maggiormente l’ira dei melomani del loggione è stata la scelta di trasportare le vicende del Nabucco in un distopico 2046, in cui gli autori hanno immaginato, secondo le loro stesse parole, tratte dalle note di regia: “Un’imbarcazione, una nuova Arca, una apparente terra santa in realtà luogo di potere ed orrore reazionario e anticulturale. […] Tradurre in un futuro prossimo il risveglio spirituale di Nabucco, il senso di colpa e l’autoannientamento di Abigaille raccontano un’Europa di oggi che non vuole arrendersi al baratro culturale incipiente“.

Ecco che allora il palco diventa una nave militare, l’ambientazione durante le feste natalizie del terzo atto sottolinea l’assenza dell’atmosfera religiosa ai giorni nostri e i personaggi sono seguiti da cameramen e giornalisti. A proposito della loro rappresentazione, Ricci e Forte non avevano alcun dubbio, tant’è che, in un’intervista a Repubblica, antecedente alla prima, avevano affermato: “I loggionisti ci fischieranno. Verdi voleva parlare dell’Italia e degli italiani, anche se l’azione avveniva in mondi esotici. Noi, coerentemente, continuiamo a parlare di noi stessi.”

In seguito, quasi a voler prendere le loro difese, su La Stampa si legge: “Con questa regia è assolutamente legittimo non essere d’accordo. Quel che Ricci/Forte fanno può anche non piacere; è però indiscutibile che lo sappiano fare benissimo”. Anche recensioni su siti del settore, come quella di Connessi all’Opera, danno man forte, sostenendo che “il dislocamento della narrazione in un tempo diverso da quello immaginato da Verdi e Solera (librettista, N.d.R.) nulla toglie all’efficacia del dramma, ma anzi in alcuni casi ne potenzi il messaggio“.

Le trouvère di Festival Verdi 2018, regia di Bob Wilson, foto: Roberto Ricci

VERDI E SHAKESPEARE TRA MATCH DI BOXE E GIOVANI D’OGGI –   Questo è solo l’ultimo tra i numerosi tentativi di modernizzare il teatro lirico. Un altro caso, sempre a Parma, risale allo scorso anno, quando ha avuto luogo la produzione a cura dell’americano Robert Wilson di Le Trouvère, la versione francese de Il Trovatore di Verdi. Anche in quest’ultimo caso le critiche non sono mancate. Si è trattato infatti di una rappresentazione minimale, incentrata sull’utilizzo delle luci e nella quale la musica ha fatto da vera protagonista. Inoltre, Wilson ha deciso di mettere in scena, secondo le sue stesse parole: “Una realtà parallela silenziosa, ispirata dalle cartoline vintage e popolata di gente comune del diciannovesimo secolo, gente che Verdi avrebbe visto in città e nei paesi limitrofi. Un uomo anziano seduto, una vecchia signora alla fontana, una giovane ragazza che spinge una carrozzina: queste figure silenziose vivono in un altro mondo, fatto di movimenti rigidi e luci fredde, un mondo di ricordi. Esse esistono al fianco dei personaggi di Verdi ma raramente interagiscono con loro. Come il balletto del terzo atto, sono in contrappunto col resto dell’opera. Ed è proprio questo ‘balletto’ la maggiore particolarità dell’adattamento: il palco viene occupato da vari boxeur che si affrontano.

Tuttavia, questi casi non sono gli unici: lo scontro tra autori e pubblico, oggi più che mai, si estende a vari ambiti dell’intrattenimento. Ciò è dovuto al desiderio di sperimentare e di rivisitare secondo i linguaggi dell’attualità opere celeberrime e, al contempo, di coinvolgere le nuove generazioni. Basti pensare ai numerosi riadattamenti di opere shakespeariane, anche con attori famosi tra il pubblico più giovane, come la versione moderna dell’Amleto con Benedict Cumberbatch, protagonista della serie tv “Sherlock”. In questo “Hamlet” del 2015, per la regia di Lyndsey Turner, i personaggi compaiono in scena con abiti e hobby odierni, ad esempio il protagonista in felpa e scarpe da ginnastica, mentre ascolta David Bowie e Ofelia si aggira per il palco con una macchina fotografica. Altre scelte stilistiche curiose sono ad esempio l’ambientazione in quella che appare essere una casa signorile della campagna inglese, anziché il castello reale danese, e il resto del cast che si muove in slow-motion, mentre Amleto espone i propri soliloqui.

Un altro caso, più popolare, di rilettura di un’opera shakespeariana rivolta a un pubblico giovane, è per esempio quello di Baz Luhrmann con il suo film “Romeo + Juliet” (1996). Qui la città veneta in cui ha luogo la vicenda lascia il posto a un’immaginaria e kitsch Verona Beach, in California, negli anni ’90. Contemporanei sono anche i costumi e le musiche, che sembrano ‘fare un occhiolino’ ai teenagers di quegli anni, alla ‘generazione di MTV’. Il regista, inoltre, si rifà a diversi generi cinematografici, come ad esempio gli spaghetti western e i gangster movies.

TROPPA INNOVAZIONE O POCA FANTASIA? – Moltissimi sono i casi in cui il mondo del cinema, quindi, ma anche delle serie tv, dove ormai dilagano termini come remake, reboot, sequel e spin-off, risultano coinvolti in questa prassi. Ecco che allora abbiamo i live-action dei film Disney, in cui si gioca la ‘carta della nostalgia’ oppure film che raccontano ciò che accade successivamente alla conclusione di una serie tv, come i recenti casi di “Downton Abbey” e di “El Camino – Il film di Breaking Bad”.

Il pubblico viene così costantemente ‘stuzzicato’ e incuriosito, preparandosi ad accogliere positivamente o a criticare, anche prima della visione, ciò che gli viene presentato. In questo modo, tuttavia, soprattutto per quanto riguarda il cinema, sembra quasi non esserci più innovazione, mentre in altri casi, come in quello del  teatro lirico, sembra essercene più di quanto alcune persone siano disposte a tollerare.

Si trovano così affermazioni come quella che uno spettatore del Nabucco ha rilasciato alla Gazzetta di Parma: “Questi due registi vengono dalla prosa e va detto che non tutte le opere si prestano a questo tipo di approccio. Loro dicono che vogliono suscitare domande nel pubblico ma io le domande su temi d’attualità me le faccio tutti i giorni guardando il Tg. A teatro voglio evadere e godere della storia come è stata pensata”. La critica si estende allora a un tipo di arte ‘impegnata’, all’interno della quale le innovazioni infastidiscono poiché ci riconducono al nostro presente e a ciò che ci circonda.

Che si apprezzi o meno tutto ciò, è inevitabile pensare che qualsiasi forma di intrattenimento abbia la possibilità di evolversi nel tempo e in qualche parte del mondo ci sarà sempre qualcuno che coglierà l’occasione per dare una propria, personale interpretazione, anche e soprattutto di grandi capolavori del passato.

 

di Federica Mastromonaco

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