Iyad: “Palestina non è sinonimo di terrorismo”

TRA RASSEGNAZIONE E SPERANZA: LA PALESTINA NON E' LONTANA

Intervista YounisIyad Younis vive da 35 anni a Parma, dove è arrivato per studiare. Ha sposato una donna italiana con la quale ha avuto 3 figli e ora lavora per una ditta che si occupa di riparazione computer.

 

Come si trova qui a Parma?

“Molto bene. La mia generazione è stata la prima a venire a Parma, prima di noi c’era un’altra generazione, magari di qualche anno prima, ma noi siamo arrivati qui per studio e moltissimi sono laureati, il 99% ora lavora. Alcuni sono ripartiti e lavorano in Palestina, altri sono rimasti qui, si sono sposati e sono commercianti, come me”.

Come mai avete deciso di venire proprio Parma?

“Perché il Ministero degli Esteri ci ha indirizzato qui. Appena siamo arrivati in Italia siamo andati ad iscriverci all’Università scegliendo altre città. Roma,Torino, io personalmente avevo scelto Firenze, ma alla fine mi hanno mandato qui a Parma, città che non conoscevo. Poi però mi sono trovato benissimo e ho scoperto che c’era una comunità palestinese. C’era un vero e proprio ambiente per studenti, bar degli studenti, piazze degli studenti palestinesi e arabi”.

Ora è la stessa cosa?

“Si. C’era il gruppo e c’è ancora si chiamava il Gap per gli studenti palestinesi in Italia che era molto attivo politicamente e socialmente“.

Lei precisamente, da dove viene?

“Dalla Palestina, dall’interno. Ci definiamo i palestinesi del ’48 per distinguerci dagli altri. Cioè rimasti in Palestina”.

A Parma siete stati vittime di discriminazioni da parte della popolazione?

“Assolutamente no! Parlo anche per tutta l’Italia. Noi palestinesi non abbiamo mai avuto problemi ad integrarci. A Bologna, ad esempio, c’è una comunità palestinese molto ampia”.

Avete mai chiesto aiuto all’amministrazione cittadina?

“Non abbiamo avuto bisogno di aiuti. Perché eravamo finanziati da noi stessi, dai nostri genitori. Eravamo dei normali universitari che facevano dei lavoretti per arrotondare. Ci siamo sempre impegnati a studiare e a mantenerci e ci siamo riusciti. Dall’amministrazione ci sono stati dati tutti i permessi. Trenta anni fa c’era il Partito Comunista, Mario Capanna, l’attività politica e sociale era molto vasta, ma nei nostri confronti c’era solidarietà e noi rappresentavamo i palestinesi in Italia e il popolo palestinese in Palestina o all’estero nella diaspora“.

Quanti siete più o meno a Parma?

“A Parma tra famiglie e studenti ci sono 200 o 250 persone“.

Ha mai pensato di tornare in Palestina? Stabilmente?

“Si, ci ho provato nel 1992. Poi con la Guerra del Golfo e la conseguente instabilità della zona, sono tornato in Italia. Avevo anche iniziato a realizzarmi socialmente. Avevo già una famiglia, ero sposato, mio figlio è nato nell’89. Lì sarebbe stato abbastanza difficile continuare. Mia moglie è italiana. Ha vissuto benissimo due anni in Palestina, ma poi siamo tornati in Italia. Anche mio figlio ha frequentato l’ asilo e la prima elementare in Palestina, poi siamo tornati in Italia e ha continuato qui”.

Che effetto fa vedere la guerra dall’estero?

“Non piacevole. Sentirsi lontano dalla nostra gente, dai parenti, dalla società ci fa sentire inutili e nello stesso tempo ci siamo attivati a dare il nostro contributo anche da lontano. A suo tempo, con fondi aiuti, medicinali, vestiti o soldi per la nostra società che aveva bisogno dopo la guerra”.

Lei ha dei familiari in Palestina?

“Si. Tutta la mia famiglia. Fratelli, mia madre, nipoti. Alcuni dei miei parenti dopo il ‘48 si sono trasferiti, costretti ad andare via dalla Palestina, in Giordania, Libano, Siria, Egitto, Iraq. Trovi il mio cognome in diversi parti dei Paesi arabi e anche in Europa”.

Saprebbe definirmi lo status politico in Palestina?

“È confuso. Ci sono delle zone come Gaza dominata da Hamas e la Cisgiordania dal nostro presidente Abu Mazen, che io personalmente non condivido, e penso che stia controllando il nostro territorio come tutti i regimi dei Paesi arabi. Non c’è un’autorità, non esiste un’autorità palestinese, ma c’è un semplice soldato che ti blocca tutto, non è autorità! Dovrebbe proteggere la gente, deve dare qualcosa, la speranza che adesso non c’è! Sembra un complotto, ma è un complotto contro il popolo palestinese! A Gaza e in Cisgiordania come si vive? Si vive con gli aiuti! Quindi non serve l’autorità palestinese! Allora siamo sotto occupazione! Per la legge internazionale l’occupante deve occuparsi della gente occupata. La situazione quindi è confusa. Hamas domina e controlla Gaza, gli altri la Cisgiordania e c’è questo giro di giochi: chi controlla una parte chi l’altra. E’ come se ci fosse una torta da tagliare. Ognuno deve prendere la sua fetta. Sappiamo che dopo l’ultima guerra a Gaza non ci sono stati risultati positivi. La luce non c’è, il commercio non esiste e più del 50% della popolazione è disoccupata. Scuola, università, cinema, è tutto paralizzato. Purtroppo non è che si stia cambiando per il meglio, anzi la situazione peggiora”.

Molti parlano di genocidio.

“Si, ma queste cose ci sono da anni. Io penso sia un genocidio mirato, controllato da altre parti. Inoltre questa brama di controllo su Gaza, sembra che la Palestina sia una vastissima regione da controllare, quando invece tutta la Palestina, compreso Israele, è di 20’000 km quadrati ed è rimasto solo il 15% della Palestina ai palestinesi“.

Lei è religioso?

“Io non sono molto religioso. Non sono ateo, ma condivido solo alcune cose. Sono moderato forse. Nel senso che sono d’accordo su alcune cose a causa della mia educazione, ma io preferisco pensare, riflettere, trovare il perché, sapere il perché e discutere. Per me non deve essere una cosa impostata. Solo i ciechi accettano! Io no. Io voglio sapere per capire se posso condividere o non condividere. Voglio discutere“.

I suoi figli invece?

“Anche la mia famiglia vive in questo modo. I miei figli sono musulmani, ma non obbligo nessuno a seguire determinati costumi e regole”.

Lei partecipa agli incontri della comunità palestinese? Di cosa si discute?

“Si, ne faccio parte. Noi discutiamo su come trasmettere l’immagine giusta di ciò che accade in Palestina. Perché questa guerra, chi l’ha creata, perché la fanno. La gente perché deve soffrire, perché non hanno i diritti di vivere in pace? Avere una patria? Uno Stato indipendente come tutto il resto del mondo? Perché agli israeliani hanno dato uno Stato e ai palestinesi no? Due pesi e due misure! Noi cerchiamo di far capire alla popolazione europea, italiana che c’è altro. La Palestina non è terrorismo, è un popolo, l’80% è dovuto migrare nei Paesi arabi, nei campi profughi. Perché un bambino palestinese non deve vivere come un altro bambino? Come altri gli israeliani. Perché non deve studiare, lavorare”.

Negli incontri c’è anche una componente di parmigiani?

“Questo è un fattore positivo. Ci sono anche italiani. Molto attivi, di sinistra. Vengono perché vogliono sapere, conoscere la realtà, sono molto solidali. Quando c’è una manifestazione la maggior parte dei partecipanti è italiana. Questo non avviene grazie ai telegiornali, ma tramite social network o passaparola. Inoltre noi non parliamo solo di politica, ma anche di eventuali manifestazioni musicali, folklore, arti culinarie. C’è una risposta molto positiva”.

Lei era d’accordo con la richiesta, da parte del suo popolo, di togliere la bandiera di Israele dal ponte delle nazioni?

“Noi siamo stati tra i primi a chiedere, non di togliere quella di Israele, ma di mettere anche quella palestinese. Abbiamo chiesto ciò ottenendolo, alcuni hanno anche chiesto di togliere quella d’Israele, ma la maggior parte di noi non era d’accordo sia perché sapevamo che non sarebbe stato possibile toglierla, che perché noi non neghiamo l’esistenza di un popolo ebraico. Quella bandiera appartiene ad un popolo. Comunque sia la bandiera è stata aggiunta, anche se in maniera silenziosa. Noi volevamo fare qualcosa di diverso loro l’hanno messa di nascosto, togliendoci questa gioia”.

Avete anche richiesto il boicottaggio dei prodotti israeliani.

“Si e io ho aderito all’iniziativa, anche se non ci credo tanto agli effetti in quanto i prodotti devono essere negati dagli Stati. Devo però muovere un’autocritica. A Gaza dopo la guerra che prodotti hanno? Il 90% dei prodotti sono israeliani. Sorrido perché noi chiamiamo al boicottaggio in Europa e loro consumano quei prodotti“.

Lei ha dei contatti con persone israeliane, ebree?

“Si, abbiamo molti amici, famiglie, conosco anche un rabbino che viene a casa mia. Abbiamo un rapporto familiare perché i nostri figli studiano insieme, ma anche perché siamo amici. Trascorriamo il fine settimana insieme ed è anche un mio cliente. Discutiamo anche di politica, loro difendono il loro Paese, ma condividono alcune cose. Sono ovviamente contro la guerra, contro i massacri a favore della pace. C’è una parte israeliana che vuole la pace, non negano i diritti ai palestinesi, ma c’è una bella fetta di estrema destra religiosa, integralista che non accetta l’esistenza della Palestina, nega l’esistenza dei palestinesi. Quelli che hanno investito bambina di 8 anni qualche giorno fa, sono degli integralisti, non sono solo i terroristi islamici musulmani”.

 

di Eliana Tripaldi

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