Sinodo per l’Amazzonia: tra peccati ecologici, preti sposati e mancata partecipazione femminile

IN BILICO TRA RIFORMISMO E CONSERVATORISMO, UNO SGUARDO ALLE PRINCIPALI POSIZIONI PORTATE AVANTI DALLA CHIESA NEL RECENTE SINODO PER L'AMAZZONIA

La Foresta Amazzonica, da sempre considerata il ‘polmone verde‘ del nostro pianeta, sta letteralmente andando in fumo. É tristemente nota a tutti l’immagine della coltre di smog che sovrasta il cielo di San Paolo, in Brasile. Basti pensare che la superficie amazzonica è grande quanto quella dell’Unione Europea e da gennaio a luglio 2019 sono stati bruciati 18.600 km quadrati di foresta, quasi il doppio rispetto allo scorso anno. Tale questione è stata tra gli argomenti di spicco del Sinodo per l’Amazzonia, tenutosi dal 6 al 27 ottobre scorsi e fortemente voluto da Papa Francesco. L’adunanza in Vaticano ha introdotto i  ‘peccati ecologici‘, che sottolineano l’importante ruolo attribuito alla tutela ambientale e alla ricerca di “modelli di sviluppo giusto e solidale”, permettendo alla Chiesa di prendere una posizione politica forte su questi temi. Parallelamente a questo, il Sinodo ha approvato la possibilità di aprire il sacerdozio in determinati casi anche ad uomini sposati, senza però cedere di un passo per quanto riguarda la partecipazione delle donne al diaconato e ad altri ministeri ufficiali. La Chiesa ha insomma portato avanti una linea diversa a seconda dei casi specifici, secondo modalità che potrebbero apparire per certi versi contradditorie e che hanno scatenato non poche polemiche. Proprio degli ultimi giorni una lettera firmata da 100 studiosi che accusa il Papa di “atti sacrileghi e superstiziosi” commessi durante questa adunanza. In bilico tra riformismo e conservatorismo, cerchiamo di ripercorrere gli esiti del recente Sinodo panamazzonico e di contestualizzare la difficile situazione ambientale nella regione da esso interessata.

LA SITUAZIONE IN AMAZZONIA  L’INPE (l’istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile), incaricato di monitorare la situazione dell’area boschiva dall’alto, ha registrato che dall’inizio dell’anno sono stati oltre 72mila gli incendi rilevati nella sola regione. Ma il  dato che sconvolge di più è quello dell’Instituto Nacional de Pesquisas da Amazônia, secondo cui il 99% dei roghi sono stati accesi dall’uomo, con lo scopo di convertire tali superfici in terreni per la coltura della soia e per il pascolo estensivo, per produzioni destinate al commercio con paesi esteri, in particolare in Europa e Stati Uniti. E proprio in Brasile (che racchiude il 65% della foresta amazzonica) la questione ambientale è sfociata in drammatiche tensioni politiche che hanno visto protagonista il controverso presidente Jair Bolsonaro, accusato di aver incoraggiato l’eliminazione della foresta a scopi produttivi, di aver tagliato i fondi al monitoraggio e alla protezione ambientale e di aver allentato i controlli sulle illegalità. Il presidente brasiliano, nonostante la sua fede cattolica, si è schierato insieme ai conservatori della chiesa pentecostale nazionale, e non ha minimamente nascosto la sua disapprovazione per il Sinodo, dichiarando infatti che “il Brasile è la vergine sulla quale tutti i pervertiti stranieri vogliono mettere le mani”, come riporta Internazionale in un articolo di Tom Phillips originariamente pubblicato su The Guardian. Secondo il medesimo articolo, a causa del Sinodo sarebbero stati mobilitati addirittura i servizi segreti brasiliani (Abin) in almento 4 città amazzoniche, per tenere sotto controllo i religiosi coinvolti.

I PUNTI TRATTATI DURANTE IL SINODO – ‘Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale‘: questo il titolo ufficiale dato dal Vaticano al Sinodo dei Vescovi svoltosi tra il 6 e il 27 Ottobre. Questa assemblea, indetta il 15 Ottobre 2017 da Papa Francesco, aveva l’obiettivo di “trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno, anche a causa della crisi della Foresta amazzonica, polmone di fondamentale importanza per il nostro pianeta”, come riportato su Vatican News.

I temi trattati sono stati riassunti nei cinque capitoli del Documento finale dell’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica, diffuso nella serata del 26 ottobre. In primo luogo, la “Conversione Integrale“: un invito a vivere una vita semplice e sobria, seguendo l’esempio di San Francesco d’Assisi, per avvicinare la Chiesa alle popolazioni indigene.
Il secondo punto è stata la “Conversione Pastorale“, un richiamo alla natura missionaria della Chiesa, che dovrà riuscire a rendere la parola di Cristo “inculturata” tra i popoli. Ciò verrà reso possibile tramite la presenza fissa di avamposti delle maggiori Congregazioni religiose e tramite la creazione di una pastorale indigena.
Il terzo punto è stata la “Conversione culturale“, che include anche la difesa della terra, della vita e della dignità umana. In questa direzione va l’intento di convincere gli Stati a proteggere le popolazioni in isolamento volontario.
Sono stati tuttavia gli ultimi due punti, quelli riguardanti la “Conversione ecologica” e la questione del matrimonio e del ruolo delle donne, ad accendere maggiormente il dibattito.

CONVERSIONE ECOLOGICA  Come accennato in precedenza, una questione importante è stata l’invocazione ad una “Chiesa amazzonica in grado di promuovere un’ecologia integrale ed una conversione ecologica secondo cui tutto è intimamente connesso“. Da questo principio generale, sono partite una serie di affermazioni e richieste specifiche, dirette alla riduzione dello sfruttamento del nostro pianeta, come si legge nel documento finale: “denunciamo la violazione dei diritti umani e la distruzione estrattiva; assumiamo e sosteniamo le campagne di disinvestimento delle compagnie estrattive legate ai danni socio-ecologici dell’Amazzonia; chiediamo una transizione energetica radicale, proponiamo di sviluppare programmi di formazione sulla cura della casa comune progettati da operatori pastorali e fedeli”.

Sul piano strettamente religioso, è stata avanzata la proposta che ha fatto molto discutere: l’introduzione dei “peccati ecologici“, definiti come azioni “contro Dio, contro il vicino, la comunità e l’ambiente”. I vescovi hanno riconosciuto il “debito ecologico” di tutti i Paesi nei confronti dell’Amazzonia, proponendo la creazione di un fondo mondiale che copra, almeno in parte, i bilanci delle comunità amazzoniche impegnate in uno sviluppo autosostenibile. Infine, il testo fornisce anche consigli dettagliati e concreti su come evitare questi peccati ecologici, affinchè le azioni umane vadano ad impattare in maniera meno nociva sulla Terra.
Al di là di queste spiegazioni, la questione che ha fatto molto riflettere riguarda questa apparente apertura e modernizzazione da parte della Chiesa su una simile questione di attualità. Negli ultimi mesi, si è verificata una forte presa di coscienza sulla necessità di difendere il nostro pianeta, come dimostrano le numerose iniziative di cui leggiamo quotidianamente sui giornali. Anche il mondo cattolico non sembra essere da meno, avendo preso nel corso del Sinodo una posizione netta e, almeno da quanto è possibile leggere, molto pratica. Tuttavia, rimangono due questioni aperte. In primo luogo, bisogna chiedersi se questi ‘peccati ecologici’ serviranno davvero a convincere i credenti a fare il possibile per non impattare negativamente sull’ambiente. Secondo gli ultimi dati, relativi al 2017, resi noti nell’ Annuario Pontificio 2019 e nell’ Annuarium Statisticum Ecclesiae 2017, i cattolici nel mondo sono 1.313 milioni: se ognuno di loro si impegnasse attivamente per la salvaguardia della Terra, sicuramente il nostro pianeta sarebbe un posto migliore. É evidente tuttavia che si tratta di uno scenario utopico: rimane da capire quanto questa presa di posizione possa effettivamente influenzare gli animi dei cattolici, fosse solo da un punto di vista politico, magari con scelte elettorali attente sotto questo punto di vista.
Se da un lato questo atteggiamento di modernizzazione e apertura della Chiesa al tema dell’ecologia sembra trovare riscontro nella decisione di estendere il sacerdozio anche ad uomini sposati, seppur in casi particolari, dall’altro è stata confermata dal Sinodo una chiusura piuttosto netta per quanto riguarda la partecipazione delle donne ai ministeri ufficiali, in un momento in cui, tra l’altro, la crisi delle vocazioni si fa sempre più netta.

I PRETI SPOSATI E IL RUOLO DELLE DONNE – Le proposte avanzate nel Sinodo panamazzonico hanno suscitato reazioni contrastanti all’interno della comunità cattolica nazionale e non. In particolare, le più dibattute sono state le ipotesi di ordinare sacerdoti gli uomini sposati, a patto però che siano già consacrati diaconi permanenti, e di attribuire ministeri ufficiali alle donne, in un contesto come quello amazzonico in cui sono spesso le madri di famiglia a mantenere viva la fede, soprattutto in quei villaggi sperduti dove, a causa della carenza di preti, la messa viene celebrata anche una volta ogni 3 anni. Per porre rimedio a situazioni come questa, il Sinodo propone, al punto 111, di “ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, con una formazione adeguata per il presbiteriato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile”. La proposta è stata avanzata nel contesto amazzonico ma alcuni vescovi si sono pronunciati a favore per un approccio universale al tema. Ampia parte del Sinodo è stata inoltre dedicata alla partecipazione delle donne agli organismi decisionali della Chiesa. In molti ritengono infatti inaccettabile la loro esclusione dai ministeri, sia ordinati (diaconato, presbiterato ed episcopato) sia istituiti (lettorato e accolitato). Gli interventi in questa direzione sono stati numerosi e i Vescovi, dopo aver condannato gli orrori dei femminicidi e della violenza di genere, hanno aperto il dibattito. Inizialmente è stata suggerita la creazione ex novo di un “ministero istituito di donna dirigente di comunità”, per riconoscere il lavoro svolto dalle laiche cattoliche che rappresentano il 70% degli operatori pastorali della zona amazzonica. La proposta tuttavia non è piaciuta a molte sorelle sudamericane, schierate per l’accesso ai ministeri già esistenti e non all’istituzione di nuovi uffici di genere, che rischierebbero solo di rendere ancora più marginale la presenza delle donne all’interno della Chiesa. La situazione attuale, infatti, è ancora fortemente discriminatoria. Non solo le donne sono gravemente sotto rappresentate (35 su oltre 200 partecipanti), ma viene negato loro il diritto di voto all’interno del Sinodo. Come sostiene Victoria Lucia Tauli-Carpuz, osservatrice dell’ONU per i diritti dei popoli indigeni, la cui opinione viene riportata su un articolo de Il Messaggero, questo gap è assolutamente da colmare con “iniziative da prendere per la tutela della parità delle donne indigene“.

In conclusione, questo potrebbe essere definito un Sinodo in un qualche modo contraddittorio, come dimostrato in precedenza. Ciò dovrebbe portarci a riflettere sul ruolo che al giorno d’oggi può ricoprire la Chiesa, si tratta senza dubbio di un organismo che esercita un potere enorme, soprattutto sui suoi fedeli. Questo gigante sembra però in crisi, diviso tra l’obbedienza ai suoi secolari principi e la necessità di aprirsi e modernizzarsi, per non perdere fedeli e risolvere la crisi delle vocazioni che sta attraversando.

 

di Lara Boreri e Eleonora Di Vincenzo

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