Paolo Lagazzi racconta “il grande romanzo della famiglia Bertolucci”

ATTILIO, BERNARDO E GIUSEPPE: TRA CONVERGENZE E CONFLITTI, PER PARMA E PER IL MONDO

Paolo Lagazzi a Parma, 16 giugno 2011Uno tra i critici contemporanei “più originali ed eclettici”: così Doriano Fasoli descrive Paolo Lagazzi in un’intervista pubblicata su Riflessioni.it per la rubrica ‘Riflessioni in forma di conversazioni’ nel giugno 2005. Originario di Parma, dove ha insegnato per diversi anni, Lagazzi si è sempre occupato di letteratura, curando svariate collane ed edizioni e producendo una vasta opera di saggi e scritti critici, ma anche di racconti e fiabe, associata poi anche a diverse attività didattiche nell’ambito della conoscenza della poesia e del cinema. Appassionato di cultura giapponese, conosciuta dopo l’ascolto di ‘Madama Butterfly’, si è interessato di pratica zen e di lirica giapponese come critico.
Molte sono le persone che ha incontrato nella sua vita, ma sicuramente una delle più importanti è Attilio Bertolucci, maestro di vita, oltre che caro amico. Grande amante della sua poesia, Lagazzi ne è diventato uno dei maggiori curatori, producendo saggi e scritti vari per far conoscere e valorizzare l’opera del poeta dal lui ritenuto uno dei più grandi del ‘900. Dopo il primo incontro avvenuto nel 1972, Lagazzi ha frequentato Attilio Bertolucci fino alla sua scomparsa, nel 2000, diventando nel corso degli anni un intimo amico di tutta la famiglia.

 

Cosa può raccontare della famiglia Bertolucci, considerando il vostro rapporto non solo professionale ma anche personale? 

“Quello che so della famiglia Bertolucci deriva dall’amicizia con Attilio, che racconto nel mio libro ‘La casa del poeta‘. Chiunque l’abbia letto sa che io ho vissuto quasi come un membro della famiglia, tant’è che quando abbiamo presentato il libro, con la prefazione di Bernardo Bertolucci, i due fratelli hanno dichiarato pubblicamente di non essersi mai resi conto (se non dopo aver letto il libro) di avere un altro fratello, ovvero io. Attilio è stato per me una sorta di secondo padre, oltre che un amico; ho raccontato solo alcune delle cose che so di lui, altre penso che le terrò per me. Nonostante questo ho sempre cercato di testimoniarne la figura tra la sua grandezza di poeta e la sua anima sottilmente tormentata dall’ansia, da forme segrete e molto poetiche di nevrosi e di incertezza. Anche Giuseppe è stata una persona tormentata, ma allo stesso tempo molto tenera e umana. Grande fumatore, è stato proprio questo vizio a portarlo alla morte: purtroppo è scomparso prematuramente per un tumore ai polmoni. Ci siamo incontrati tante volte a Parma nell’ambito del Premio Internazionale di Poesia Attilio Bertolucci, da me ideato, ma che purtroppo è durato solo pochi anni. Mentre Bernardo, pur facendo parte della giuria, non poteva mai recarsi in città in quell’occasione (aveva già difficoltà di deambulazione), Giuseppe era sempre presente. Infine, di Bernardo posso dire che è un lettore molto attento: ha letto una buona parte dei miei libri, non solo quelli che ho scritto su suo padre. Il suo parere per me conta molto, perché proviene da una persona la cui intelligenza nasce da un grande talento innato e da un suo originale modo di vedere le cose”.

 

Quali sono stati i rapporti tra Attilio, Bernardo e Giuseppe, tre figure diverse ma strettamente legate tra loro? 

“Attilio non è stato solo un grande poeta, ma anche un grande scrittore di prosa, di arte e di teatro, un giornalista, un critico cinematografico, uno sceneggiatore e tanto altro. Giuseppe prima di diventare regista ha fatto il pittore, ruolo stimato tra l’altro da Roberto Longhi. Bernardo, a sua volta, prima di dedicarsi al cinema è stato anche poeta: il suo libro di poesie ‘In cerca del mistero ha vinto il Premio Viareggio per esordienti. Queste tre figure emanano quindi una diversità ed una pluralità di forme espressive intrecciate tra loro ed è tutto questo che rende affascinante, misterioso e nevrotico il grande romanzo della famiglia Bertolucci. L’aspetto che la rende, invece, singolare è proprio l’intreccio tra le loro personalità, fatto di dialogo tra affettività e complicità, ma anche tra competizione e tensione. Non è un mistero infatti che ci fosse una certa rivalità, anche esplicitamente ammessa, da parte di Bernardo verso suo padre e buona parte della sua opera è nata proprio da questo. Basti pensare al tema del parricidio simbolico, presente nel cinema di Bernardo. Simbolico perché alla fine non avviene, per fortuna: se Bernardo avesse veramente ucciso suo padre, avrebbe eliminato anche la possibilità di fare un cinema che Pasolini ha definito ‘di poesia’ ”.

 

Ha parlato di ‘rivalità’ tra Attilio e Bernardo: esistono allora degli elementi che invece li accomunano e li fanno incontrare? 

“Le visioni di Attilio e Bernardo, rispettivamente quella della poesia e quella del cinema, si possono confrontare nonostante la loro diversità. Secondo me la convergenza sta nella volontà di creare qualcosa di etico. Durante il ‘900 si diffonde la necessità di testimoniare con forza lo scontro di classe, con una conseguente divisione della società (proletari e borghesi, comunisti e fascisti). Anche in Attilio esiste questa necessità, ma è ammorbidita. Ciò che conta principalmente per lui, più che la divisione, è l’appartenenza di ognuno di noi al genere umano: viviamo tutti all’interno di una stessa grande verità che trascende dalle regole ideologiche. E anche in Bernardo sussiste la stessa priorità. Non a caso i due protagonisti di ‘Novecento’, Olmo e Alfredo, rappresentanti rispettivamente del mondo proletario e del mondo borghese, instaurano un rapporto fraterno che trascende la divisione di classe. Più che scontrarsi, alla fine si incontrano, esattamente come Attilio e Bernardo”.

 

Ci sono immagini ben precise che legano la poesia di Attilio e il cinema di Bernardo? 

“Tra le righe si possono leggere moltissimi riferimenti cinematografici di Bernardo alla poesia di Attilio. In ‘L’ultimo tango a Parigi’ la scena, appunto, del tango era già presente nella poesia di Attilio ‘Cronaca 1946’, esattamente come la scena finale di ‘Novecento’, con il tentativo di suicidio sui binari, è riscontrabile in un’altra poesia, ‘Ottobre’. Il rapporto tra nonno e nipote, per esempio, è presente sia ne ‘La camera da letto’ sia in ‘Novecento’; il rapporto fortemente edipico con la madre è ricorrente nella poesia di Attilio ed è raccontato ne ‘La luna’ da Bernardo. Impossibile elencarli tutti”. 

 


arIn ‘La casa del poeta’ sostiene che
l’opera di Attilio Bertolucci non sia ancora stata compresa fino in fondo e che nasconda dei segreti da scoprire. A cosa si riferisce? Che cosa tuttora non si è ancora colto? 

“Uno dei motivi per cui Attilio è rimasto a lungo isolato risiede nel non essere facilmente assimilabile a nessun movimento letterario. Può essere definito un libero creatore, fuori da tutte le categorie di matrice novecentesca: non è certo ascrivibile all’ermetismo o al post-simbolismo, ma non è riconducibile neanche alla cosiddetta linea lombarda. Secondo il pensiero della modernità un autore, per essere riconosciuto, deve essere classificabile, altrimenti è destinato a rimanere nell’ombra. E così è stato. Da quando ho iniziato ad occuparmene io e dopo la pubblicazione del suo Meridiano Mondadori, curato da me e da Gabriella Palli Baroni, la sua figura è stata riconosciuta tra i grandi autori, nonostante continui a rimanere tra i poeti meno noti, meno letti e meno stimati”.

 

Che impronta ha lasciato su Parma la famiglia Bertolucci? 

“Attilio ha vissuto a Parma fino ai 40 anni, poi si è trasferito a Roma. A Parma dirigeva la casa editrice Guanda e la collana ‘La Fenice’, punti di riferimento europei e mondiali: paradossalmente, i diritti di traduzione e produzione di alcuni autori dovevano essere chiesti ad una piccola casa editrice parmigiana. Dopo il trasferimento il rapporto con la città natale non si è mai interrotto: negli anni ‘50 è stato creato un inserto culturale per la Gazzetta di Parma, ‘Il Raccoglitore’, con il quale Attilio collaborava da Roma e negli anni ‘60 è stato il pilastro portante di ‘Palatina’, rivista non ideologica (al contrario di ‘Officina’ di Pasolini) e capace di trasmettere un concetto fondamentale al quale Attilio era sempre stato molto affezionato: nella sperimentazione artistica non è tanto importante il livello di grandezza di uno sperimentatore, quanto il potenziale che egli possiede. All’interno della rivista, quindi, comparivano testi di grandi e piccoli autori senza distinzione, trasmettendo un profondo valore morale”.

 

L’arte della famiglia Bertolucci gode di fama nazionale e mondiale. Qual è stato il suo contributo? 

“Mi considero un allievo di Attilio e per questo ho realizzato, per suo conto, diversi progetti: ‘Il nuovo raccoglitore’ che ho diretto con Davide Barilli; il convegno Officina Parmigiana, un panorama a tutto tondo dell’attività culturale a Parma; l’Archivio della Letteratura presso l’Archivio di Stato di Parma, nato nel 1992 proprio grazie ad una donazione di materiale autografo (testi in versi e in prosa) da parte di Attilio che io e Valentina Bocchi abbiamo successivamente inventariato per renderlo consultabile. Inoltre uno studioso siciliano (un universitario) sta realizzando attualmente un’edizione informatica, utilizzabile in un’ottica flessibile, di una parte del materiale presente nel fondo che, a mio parere, ha arricchito molto la conoscenza del lavoro di Attilio in estensione e in profondità. Sono stato riconosciuto come colui che più di ogni altro ha cercato di valorizzare al meglio l’opera di Attilio e, di riflesso, dell’immagine della città di Parma che in essa è custodita in tutto il mondo. Ho da poco presentato la traduzione de ‘La camera da letto a New York e quella di ‘Luce di Parma’, contenente un’intervista fatta ad Attilio, in Giappone. Grazie ad importanti collaborazioni sono riuscito ad esportare nel mondo non solo l’arte di questa famiglia ma l’intera cultura di Parma, con la quale anche io, nonostante abiti a Milano da anni, continuo a mantenere un legame profondo”.

 

di Silvia Granziero, Marica Musumarra, Marco Rossi

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