“Fiume o morte”: un epico D’Annunzio nell’ultimo fumetto di Manlio Bonati

L'ULTIMA GRAPHIC NOVEL DEL FUMETTISTA PARMIGIANO SCOMPARSO IL 17 GIUGNO 2019


Quella di Manlio Bonati, scrittore e fumettista morto il 17 giugno, è stata una carriera ricca e variegata: nato nel 1952 a Parma, città dove ha sempre vissuto fino alla sua morte, ha sceneggiato numerosi fumetti storici per Il Giornalino, storico settimanale per ragazzi delle Edizioni San Paolo, oltre a numerose storie di Tarzan e di Topolino. Appassionato di testi storici, di cui era un assiduo collezionista, ha scritto anche libri e articoli per importanti riviste di storia.

Forse proprio perché storia e fumetto sono stati gli interessi che più hanno caratterizzato la sua vita, vale la pena di spendere alcune parole sulla sua ultima opera: Fiume. L’epica impresa di Gabriele D’Annunzio e dei suoi uomini 1919-1920, graphic novel basata su un’idea di Carlo Sicuro e disegnata da Mauro Vecchi (anch’egli parmigiano) e Yildirim Orer, pubblicata nel 2018 da Allagalla ma che per il centenario della presa di Fiume è stata riedita quest’anno da Ferrogallico, con il titolo Fiume o morte.

L’opera, suddivisa in 4 episodi, racconta la celebre impresa di Gabriele D’Annunzio e dei suoi seguaci: il primo episodio, La presa di Fiume, racconta le origini dell’operazione che li portò a occupare nel 1919 la città, che era stata promessa all’Italia dagli Alleati dopo la Prima Guerra Mondiale salvo restare in mano agli iugoslavi; il secondo, Una libertà mai vista, descrive il modello politico che D’Annunzio tentò di creare a Fiume con la Reggenza del Carnaro, qualcosa che non si era mai visto fino ad allora, almeno in Occidente; il terzo, Fiume, un bel sogno tradito!, racconta la fine dell’impresa, terminata con il massacro noto come ‘Natale di Sangue’, in cui nel 1920 le truppe regolari italiane attaccarono Fiume e sconfissero i legionari di D’Annunzio. Infine, nell’episodio Da Fiume all’esilio de Il Vittoriale si narrano gli ultimi anni di vita di D’Annunzio, trascorsi nel celebre complesso di edifici sul lago di Garda dove morì nel 1938.

L’opera riesce a raccontare fedelmente un’impresa che oggi viene erroneamente etichettata come legata al fascismo, complice il fatto che D’Annunzio fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti del ’25, ma che al contrario fu una rivoluzione che portò avanti istanze che oggi diamo per scontate, ma che allora furono qualcosa di mai visto prima: si diede pieno diritto al divorzio, in anticipo di 50 anni sulla legge Fortuna-Baslini del 1970; si diede il diritto di voto alle donne, mentre in Italia arrivò dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; venne depenalizzata l’omosessualità e legalizzato l’uso di droghe. Questa filosofia libertina è perfettamente rappresentata dal personaggio di Guido Keller, uno dei luogotenenti di D’Annunzio, un uomo eccentrico che fondò persino un centro dove si praticava yoga, che nel 1920 era ben lontano dalla diffusione di oggi.

L’immagine che emerge di Gabriele D’Annunzio, o il Vate, cioè il poeta, come venne soprannominato, è quella di un uomo pieno di contraddizioni, che però ne fanno un personaggio a tutto tondo difficile da categorizzare: amava molto fare la bella vita, tra relazioni infuocate e pasti di lusso, ma allo stesso tempo era un nazionalista fedele alle proprie idee per le quali era pronto a rischiare la vita; un’uomo dai modi romantici e raffinati soprattutto con le donne, che però in presenza dei suoi compagni si lasciava andare a parolacce che per noi sono scontate ma che allora erano un tabù nell’alta società.

L’unica pecca dell’opera, se così si può dire, è la velocità eccessiva con cui si narrano alcuni fatti, quando invece potevano meritare un approfondimento più scorrevole: forse si imita la velocità con cui scrivevano i poeti futuristi nel 1919, ma risulta eccessivo per un lettore del 2019.

In conclusione, con la sua ultima opera, Bonati ha dimostrato nuovamente il suo profondo amore per la storia, cosa da tenere in forte considerazione in tempi in cui l’insegnamento di questa materia viene sempre più sminuito dai politici di ogni colore.

 

Di Nathan Greppi

 

 

 

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