Milano Fashion (Green) Week. Ma è davvero così?

IL 2020 POTREBBE ESSERE L'ANNO DELLA SVOLTA GREEN, MODA COMPRESA: LA MFW FA SCELTE ECO-FRIENDLY. MA E' DAVVERO UN CAMBIAMENTO GENERALE?

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Il 2020 potrebbe essere l’anno della svolta green dell’Occidente, moda compresa. Se nell’anno passato Greta Thunberg ha smosso le coscienze dei leader mondiali con i suoi appelli ecologisti, oggi la Milano Fashion Week sembra aver recepito il messaggio con scelte eco-friendly degne di nota. Ma è davvero così?

LE PASSERELLE GREEN – Ripercorrendo le tappe della settimana della moda milanese, emergono voti positivi e scivoloni negativi. Tra i promossi, colui che ha aperto la kermesse, Gilberto Calzolari: per 15 anni consigliere fidato dei brand di lusso nostrani come Alberta Ferretti, ValentinoGiorgio Armani, dal 2015 si è messo in proprio, creando un marchio legato alla moda sostenibile. Nella sua sfilata, denominata Tilt System, ha sottolineato il fashion che emerge dai social, attraverso l’accostamento di elementi invernali ed estivi assieme, di tagli maschili e femminili, di colori accesi e fantasie mischiate alla rinfusa. Uno stile eclettico, a metà tra contrasti voluti e denuncia sociale, che si è avvalso dell’aiuto di tessuti interamente green seguendo i valori del brand: organze di seta organica; finte pellicce; vinili recuperati, rasi semi-lucidi di poliestere riciclato da bottiglie PET, stock di magazzino e persino teli di ombrelli rotti recuperati con stile.

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Ha usato la carta green anche Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci: quest’anno ha deciso di dire basta ad inviti in carta, plastica o quant’altro, limitandosi ad un audio su Whatsapp per tutti i giornalisti e gli invitati. Il tutto corredato da una fotografia della sua mano, smaltata ed attorniata da anelli dorati, elegantemente posata su una clutch giallo ocra, a sua volta poggiata su un cappotto a quadri dal quale si intravvede una sneaker a fiori.

Come Calzolari, anche per Flavia La Rocca è stato l’esordio nella MFW2020. Premiata nel 2014 come “Emerging Talent in Sustainable Fashion” alla sfilata della moda londinese, nonché vincitrice del premio Emerging Designer Award 2019, La Rocca è stata coerente con la sua ideologia green e ha portato in passerella abiti modulabili e unisex, realizzati con tessuti sostenibili – come la canapa – e versatili grazie a zip e bottoni, che permettono di modificare a piacimento lunghezza e forma dei capi.

Che dire poi di Laura Biagiotti, che malgrado la sfilata a porte chiuse è riuscita a portare la primavera nel milanese. In pieno regime sostenibile, ha fatto scrivere sulle sciarpe della sua collezione Be Green, grazie anche alla scelta di tessuti a basso impatto ambientale, come cashmere di recupero e pelliccia ecologica e biodegradabile, abbinati a stampe fiorate e sfumature di verde.

MA SONO VERAMENTE GREEN? – Insomma, capito il mood generale. Ma a parte qualche eccezione, quanto sono green le scelte delle big maisons? Non tanto, a quanto pare.

L’ultima analisi di Mediobanca Ricerca e Studi (Mbres) intitolata Report on Large Italian and European Fashion Companies ha evidenziato le tendenze delle maggiori imprese della moda italiane (ad esempio D&G, Prada, Moncler, Valentino, Ferragamo, Armani, Benetton), attraverso il confronto con 46 aziende europee del settore, che nel 2018 hanno fatturato più di 900 milioni di euro (come Chanel, Puma, Adidas, Rolex, Hermès, Pandora, Burberry). Dallo studio è emerso che l’83% di questi brand ha stilato un report sulla sostenibilità aziendale, come riprova dell’importanza del tema; ma in concreto hanno fatto ben poco. Se da una parte è in aumento l’uso di energie rinnovabili (la metà delle case produttrici italiane ha dichiarato di fare affidamento su fonti green al 100% nel 2019), dall’altra aumenta anche la quantità di anidride carbonica emessa nel complesso (+5,5%) e la quantità di rifiuti di scarto pari al +5%.

Senza fare di tutta l’erba un fascio, sia ovvio: molti di questi gruppi sono all’avanguardia nelle scelte sostenibili. Ma bisogna raccontare anche che alcuni hanno raddoppiato l’emissione di CO2 e la produzione di rifiuti con l’incremento delle vendite – e ciò evidenzia come si è ben lontani dalla idea diffusa di una moda più eco-sostenibile.

SOSTENIBILI DI NOME, NON DI FATTO – In sostanza, ciò che emerge da questi dati e dalla MFW in generale è una sostenibilità di facciata: pochi brand hanno concretamente guardato al futuro del pianeta. I grandi marchi puntano perlopiù alle tematiche sartoriali – come l’artigianato di qualità – e culturali. Quest’ultimo punto in particolare si fa strada, dal generale ritorno ad una moda più accollata, riservata ed austera, al particolare di Armani, con la collezione dedicata alla Cina in difficoltà.

Passa in secondo piano l’ambiente, sebbene sia uno dei discorsi più in voga del momento: la moda non ascolta, non recepisce il messaggio, torna indietro non solo di stili ma anche di idee, non innova rispetto agli anni precedenti. Sebbene non si vedano più vere pellicce, le maisons continuano a preferire fibre sintetiche (e dunque non biodegradabili) a quelle naturali e a scegliere tessuti come la lana (che attraverso gli allevamenti intensivi aumenta la produzione di CO2) al posto di altri sostenibili come canapa e lino.

Non bastano pochi virtuosi per fare una rivoluzione. I dati parlano chiaro: di questo passo, nel 2050 le emissioni di anidride carbonica aumenteranno fino a raggiungere il 26%, a seguito di un consumo di 300 milioni di tonnellate di energia. Si aggiungeranno inoltre 22 milioni di tonnellate di microfibre negli oceani, con un impatto devastante per gli ecosistemi marini.

Si spera che a breve tutti i big della moda si decidano a dare una svolta non solo sartoriale, ma anche sostenibile ai propri abiti, tenendo anche in considerazione lo sguardo attento all’ambiente dei Millennials e della Generazione Z – ma anche della neonata Generazione Alpha. In caso contrario, un eventuale crollo delle vendite sarà il minore dei problemi.

di Silvia Vazzana

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